La particola
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Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti del 1832
LA PARTICOLA.
Avess’inteso1 quelo storto cane
Che sse messe l’antr’anno er collarino
Come spiegava chiaro er Belarmino,2
J’averessi sonato le campane.
“Nun te fidà ddell’occhi e dde le mane,„
Disceva a un regazzetto piccinino:
“Quello che ppare pane nun è vvino,
Quello che ppare vino nun è ppane.
Cos’è la riliggione senza fede?
Sarebbe com’a ddì cquattro e ddua venti,
E mmette3 un fiasco senza vesta in piede.
Pe’ cquesto, fijjo, quer che vvedi e ssenti
È inganno der demonio, e nnu’ lo crede.4
Quelli so’, fijjo mio, tutti accidenti.5„
5 gennaio 1832.
Note
- ↑ [Se tu avessi inteso.]
- ↑ La dottrina cristiana del cardinal Bellarmino.
- ↑ Mettere.
- ↑ Non crederlo.
- ↑ [S’intende che il Romanesco piglia accidente non nel senso teologico, che ergli non può capire, ma nel senso volgare, il quale dal colpo apoplettico si allarga per analogia a molte altre cose, o straordinarie, o spaventose, o cattive, ecc. Che accidente de toro! Sti du’ regazzi so’ du’ accidentini: nun ce se poò commatte; ecc.]