La pace (Ferretti)
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Questo testo fa parte della raccolta Centoventi sonetti in dialetto romanesco
XI.
LA PACE.
Com’è stato? Ecco qua: propio ar momento
Ch’entravo a visità le quarantora
Lì a la Minerba,1 ecco che me sento
Chiamà da quela sgrinfia2 de mi’ nora.
Io, pe’ prudenza, entro subbito drento;
E lei appresso! Ch’avréssi fatto allora
Ar posto mio? Io pianto er Sagramento
E, sempre pe’ prudenza, esco de fora;
E lei appresso! In quer punto me pija
Un nonsocché, ch’er sangue ce l’avémo
Tutti drent’a le vene, e allora, fija ...!
Basta, s’è mess’ in mezzo un pizzardone,3
Cià fatt’arifà pace, e accusì semo
Rientrate assieme a la binidizzione.
- ↑ La Minerva, cioè la Chiesa di Santa Maria sopra Minerva, detta così, perchè costruita sull’area d’un tempio dedicato a quella dea.
- ↑ Sgrinfia è propriamente l’amorosa; ma significa pure, come in questo luogo, «donna facile a innamorarsi.» C’è anche il verbo sgrinſià, che vale amoreggiare, o meglio, per dirla con una parola nuova e degna di far fortuna, amorazzare.
- ↑ Chiamano, per ischerno, pizzardoni, le benemerite guardie municipali, perchè portano un bel cappello a navicella, che somiglia a una pizzarda. A Firenze, quando le guardie portavano un cappello a tuba piuttosto grande, le chiamavano i cappelloni.