La morte der zor Mèo

Giuseppe Gioachino Belli

1835 Indice:Sonetti romaneschi IV.djvu sonetti letteratura La morte der zor Mèo Intestazione 30 giugno 2024 75% Da definire

La ggiustizzia der Monno Li padroni de Roma
Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti del 1835

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LA MORTE DER ZOR MÈO.

     Sì, cquello che pportava li capelli
Ggiù pp’er gruggno e la mosca ar barbozzale,1
Er pittor de Trestevere, Pinelli,2
È ccrepato pe’ ccausa d’un bucale.3

     V’abbasti questo, ch’er dottor Mucchielli,4
Vista ch’ebbe la mm.... in ner pitale,
Cominciò a storce5 e a mmasticalla male,6
Eppoi disse: “Intimate li fratelli.„7

     Che aveva da lassà? Ppe’ ffà bbisboccia8
Ner Gabbionaccio9 de padron Torrone,10
È mmorto co’ ttre ppavoli in zaccoccia.11

     E ll’anima? Era ggià scummunicato,12
Ha cchiuso l’occhi senza confessione...13
Cosa ne dite? Se14 sarà ssarvato?

9 aprile 1835.

Note

  1. Mento. [V. la nota 8 del sonetto: Don Micchele ecc., 14 dic. 34.]
  2. Bartolommeo [Mèo] Pinelli, nativo di Trastevere, incisore, pittore e scultore, morì il primo giorno di aprile 1835, nella età di anni cinquantacquattro. Nella sera antecedente, aveva presa all’osteria la sua ultima ubriacatura.
  3. Boccale. [Di vino, si sottintende. Un po’ più di due litri.]
  4. Alcuni del popolo credono che il medico di Pinelli fosse costui, noto in sua gioventù per poesie romanesche che andava recitando per gli spedali in occasione di pubbliche dimostrazioni anatomiche degli studenti di chirurgia: ma fu realmente un dottor Gregorio Riccardi.
  5. A torcere il grifo in aria di dubitazione.
  6. Masticarla male, in senso di “presagir male.„
  7. Coloro che convogliano i morti alla sepoltura.
  8. Per far tempone. [Far bisboccia, bisbocciare, bisboccione son vivi anche a Firenze; ma mancano tuttora perfino al Giorgini-Broglio e al Rigutini-Fanfani. Che maraviglia dunque che il povero Belli ricorresse alla frase posticcia del far tempone? V. l’ultima nota del sonetto: L’età ecc., 14 marzo 34.]
  9. Il Gabbione, nome della osteria dove il Pinelli consumava tutti i suoi guadagni mangiando e bevendo e dando a bere e mangiare. Havvi sù la insegna di una gabbia con merlo.
  10. Torrone, nome dell’oste.
  11. [Tre paoli: poco più d’una lira e mezzo.] Circostanza storica. Il funerale fu fatto con largizioni spontanee di alcuni ammiratori della di lui eccellenza nell’arte. Molti artisti, vestiti a lutto, e quali con torchi, quali con ramoscelli di cipresso in mano, lo accompagnarono alla tomba nella chiesa dei SS. Vincenzo ed Anastasio a Trevi.
  12. Nel giorno di san Bartolommeo dell’anno 1834, il nome del nostro Bartolommeo Pinelli fu pubblicato in S. Bartolommeo all’Isola Tiberina sulla solita lista degl’interdetti per inadempimento al precetto pasquale. Avendovi egli letto esserglisi attribuita la qualifica di miniatore, andò in sacristia ad avvertire che Bartolommeo Pinelli era incisore, onde si correggesse l’equivoco sull’identità della persona. [Tra le bizzarrie del Pinelli, è molto bellina anche quest’altra, che m’è stata raccontata da uno che lo conobbe, cioè dal valente pittore e mio buon amico cavalier Silvestro Valerj. Una volta er zor Mèo abitava una cameretta, sotto la quale, in carnevale, gli altri casigliani ballavano e facevano un chiasso del diavolo fino a tarda ora di notte. Il Pinelli se ne dolse, ma quelli risposero: Noi stamo a ccasa nostra, e volémo fà quer che ce pare. Poche sere dopo, mentre le danze erano sul più bello, il palco cominciò a gocciolare, e poi a piovere fitto su i danzatori e sulle candele di sego. Che è, che non è: corrono su dar zor Mèo, e trovano la camera convertita in una specie di lago, e lui tranquillamente seduto sul letto con una canna in mano. “E cche vve bbuggiarate?„ — “Sto a ccasa mia, e ppesco!„ — V. anche il sonetto: Er conto ecc., 30 agosto 35.]
  13. All’intimazione de’ sacramenti, volle l’infermo essere lasciato qualche ora in pace, per riflettere, come egli disse, ai casi suoi. Il parroco lo compiacque, ma ritornato al letto di lui lo trovò in agonia! Si narra però che il moribondo corrispondesse ad una stretta di mano del prete. Questa circostanza deve aver fruttato al corpo la sepoltura ecclesiastica e all’anima la gloria del paradiso.
  14. Si.