La liberazione della donna/XI/2
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2. Alle figlie del popolo
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Voglio dire due parole a voi, figlie del popolo, che sedete sull’infimo gradino della scala sociale. Voi che sostenete il peso della giornata, del freddo e del caldo, voi che portate la doppia maledizione biblica che ha colpito la razza umana, perché partorite nel dolore, servite nel corpo e nell’anima e sudate affannosamente un pane che non basta alla vostra fame, voi sole potete capirmi...
... Non avete sentito dire tante volte dai vecchi che il galantuomo trova sempre chi l’aiuta, non avete letto in tutti i libri e sentito predicare nelle chiese che Dio aiuta la gente onesta, che la virtú è sempre ricompensata, che il pane non manca mai a chi lavora, che volere è potere e tante consimili cose che vi hanno consolato e raddoppiato in voi la potenza della volontà e la fiducia nella felicità?
Tu hai sentito tutto ciò, o figlia del lavoro, ma pochi anni sono passati e tu ti accorgi che la vita non è bella come prima ti apparve, che talora manca la forza al lavoro, e manca talora il pane anche a chi lavora. Tu vedi che il padrone dei campi dove lavori o della casa dove abiti, senza far nulla arricchisce o intasca quella pigione che ti costa tanto sudore. Tu ti accorgi che la dama che ti lesina il soldo sulle fatture getta a piene mani il denaro che non le costa nulla in fronzoli e chincaglie che paga assai piú che non valgano, e che il mercante che paga con pochi soldi il merletto che ti cava gli occhi e ti tiene inchiodata sullo sgabello dall’alba a notte, lo rivende, senza averlo fatto, per molte lire e ingrassa pel lavoro stesso che ti dimagra...
Tu ti accorgi che il tuo marito benché volonteroso e solerte, cade presto ammalato di stenti e di pellagra, che egli si trova talora senza lavoro o deve adattarsi ad una diminuzione di salario se pur vuole lavorare perché la concorrenza cresce e il piccolo industriale è assorbito dal grosso, per la morta stagione, per una pubblica calamità, per una novella allarmante che arresta il commercio e sgomenta gli speculatori.
Tu ti accorgi che il contributo di sangue, di carne e di braccia che tu presti alla famiglia ti diviene ogni giorno più grave, ed il padre dei tuoi figli che ti riguardava un tempo come la confidente e la depositaria delle sue cure, ti considera oggi come lo sfogatoio naturale delle sue ire e dei suoi malumori. Crucciata al par di lui, al par di lui bisognosa, meno forte di lui, giorno e notte angosciata dai bisogni e dal pianto dei bambini, tu devi ancora sopportare rimproveri e maledizioni, portare la tua croce e la sua, e s’egli cerca nel vino e nella compagnia degli amici un sollievo alla sua tristezza, al suo rincasare tu pagherai ancora quei conforti con rincrudimenti di sdegni, con cipiglio piú iroso, con fame più intensa.
Se tuo marito ti maltratta, se ti percuote e te ne lagni al pretore, egli ti risponde: «Andate in pace, non vi sono gli estremi legali.» Se te ne lagni al prete egli ti risponde: «È la tua condanna, la tua schiavitú è la legge di Dio.» Se ti confidi a persona prudente e di consiglio, essa ti persuade che bisogna piegare il capo alla forza maggiore e che la signoria dell’uomo nella famiglia è una necessità dell’ordine, quand’anche vi crei il disordine. Se ne piangi in seno a tua madre, ella ti risponde piangendo: «Anch’io ho sofferto cosí.»
Sconfortata tu rivolgi lo sguardo all’ultima tua speranza, a tuo figlio che hai vestito della tua carne, hai nutrito del tuo sangue, hai cresciuto a spese del tuo digiuno, del tuo lavoro, del tuo riposo e che sarà il tuo orgoglio e il tuo sostegno.
No, infelice, t’inganni ancora. Or che l’hai fatto e cresciuto, il re te lo prende per farne puntello al suo trono e lo assoggetta a fiera disciplina onde assicurarsi della sua ribellione. Chi non ha fatto nulla per tuo figlio può tutto su di lui, tu che hai fatto tutto non ci puoi nulla.
Se tuo figlio è morto in guerra e il re ha vinto non ti è permesso di piangere, - saresti una cattiva patriota ed una vile femminuccia. - Se il re fu sconfitto e tuo figlio ritorna a casa sano e salvo, tu non devi rallegrartene perché v’è al mondo una cosa che si chiama patria il cui bene è inseparabile da quello del re, alla quale tu devi tutto, anche il sangue dei tuoi figli...
La patria! Come spiegare a te con parole che tu possa capire e che tocchino a te e ai tuoi interessi, che cosa è questa terribile patria che incorona, strappandoti i figli, l’immane edificio dei tuoi dolori?
Per il re la patria è il trono, è il potere, è il fasto, è la lista civile, è il diritto di far piegare tutto quello che esiste nel regno ai suoi interessi - per il ricco la patria è la culla d’oro dove nacque, il palazzo dove alloggia senza lavorare, le ricchezze che possiede, le leggi che gli garantiscono le sue proprietà, il diritto di occupare i posti piú alti, - per l’uomo di qualunque classe la patria è il paese nel quale egli può dare il suo voto per eleggere quelli che amministrano e che governano, è la legge che gli garantisce la padronanza della sua propria persona e della sua casa, che lo fa padrone dei tuoi figli e lo garantisce della tua stessa servitú ed assicura nelle sue mani la tua catena.
Per te, o donna del popolo, che cosa è la patria? È il gendarme che viene a prendere tuo figlio per farlo soldato - è l’esattore che estorce la tassa del fuocatico dal tuo focolare quasi sempre spento - è la guardia daziaria che ti fruga indosso per assicurarsi che tu non abbi risparmiato qualche soldo sul pane sudato per i tuoi figli - è il lenone e la megera che, protetti dal governo, inseguono la tua figlia per trarla nelle loro reti - è la guardia di questura che la trascina all’ufficio sanitario - è il postribolo patentato che la ingoia - è la prigione - il sifilicomio - il patibolo, - è la legge che dà i tuoi figli in proprietà a tuo marito e che dichiara te stessa schiava e serva di lui. - Delle glorie di questa patria, delle sue gioie, dei suoi beni, dei suoi favori, neppure uno arriva fino a te.
- «E patria non conosce
- Altra che il cielo...»
è il ritornello che adopera allora il prete per asciugare le tue lagrime intanto che mantiene con la paura dell’inferno la tua rassegnazione su questa terra.
Se un caso, frequente pur troppo, fa che la famiglia ti resti sulle braccia, non ti varrà sorgere prima del giorno e ricoricarti a notte tarda, né lo aver il sussidio della macchina da cucito, né l’andar lontano nelle risaie o nei campi a cercar mercede. Lo speculatore sa che tutte le donne sono condannate a farsi concorrenza in pochi lavori e che le operaie debbono per di piú sostenere la concorrenza delle non operaie.
La macchina non ha fatto che aggiungere alle tue fatiche senza aggiungere al tuo salario. Invece di cucire una camicia in tre giorni per tre lire, tu cucirai tre camicie in un giorno e non avrai ancora che una lira e per dipiú avrai il petto dolente, la testa intontita e avrai diminuita la domanda della tua mano d’opera avendo fatto una maggior produzione.
La trebbiatrice, la falciatrice saranno venute a rubarti il faticoso guadagno della messe; la macchina ha fruttato solo allo speculatore del tuo lavoro.
Se disperando di sfamarti ricorri alle Congregazioni di Carità, nuove delusioni ti aspettano. Quante strade, quante scale, quanto tempo, quante lagrime per ottenere la derisione di tre lire al mese! Quanti rabuffi nelle anticamere e nelle sale! Eppure quel denaro è proprietà del povero, è cosa tua, e il tuo bisogno è vero, i tuoi figli piangono e la tua guancia incavata accusa i lunghi digiuni! E quei cavalieri ben nutriti, sepolti in comode poltrone, in un’atmosfera tepida che ti fa pensare al freddo malinconico della tua stamberga, passeggiano su soffici tappeti, pranzano lautamente e passano fra i plausi delle turbe illuminati dalla aureola di filantropi e benefattori dei poveri...
Tu guardi quel meschino soccorso, lo confronti colla grandezza del tuo bisogno e con la fame dei tuoi figli e un assalto di disperazione ti stringe il cuore...
Se tu segui l’istinto passionato dell’animo, un odio selvaggio s’impadronirà di te e tu odierai la vita e l’umanità con tutte le forze dell’anima tua. Ogni dolcezza, ogni virtù sparirà con l’ultima speranza e tu non penserai che a vendicarti, odiare i felici, trovare qualche briciola di bene in qualsiasi modo. Tu venderai la tua carne, tenterai sorprendere la buona fede, speculerai sulla pietà dei buoni, mentirai, ingannerai, insegnerai ai tuoi figli a fare lo stesso e reputerai arme di buona guerra qualunque artificio col quale tu possa strappare dalle tasche altrui qualche soldo e vendicare i tuoi patimenti diminuendo le gioie altrui...
Ma se tu sei buona e generosa, se è rimasta in te una scintilla di quel fuoco sacro che ti fa amare gl’infelici più ti senti infelice, nelle lunghe notti insonni pel digiuno tu penserai alla causa dei tuoi mali che somigliano a quelli di tante altre donne della tua classe. Tu capirai che questa causa non è un destino cieco e fatale, non è nessun Dio che voglia punirti o prenda piacere ai tuoi dolori, non è nessuna potenza malefica e misteriosa - ma è l’egoismo umano compenetrato da secoli e secoli in tutte le istituzioni, è la forza diventata diritto, è l’intelligenza divenuta furberia, sono tutti gl’interessi dei forti che si sono affratellati contro quelli dei deboli, si sono impadroniti di tutte le forze della società e le impiegano tutte a loro vantaggio.
Ma quando, o donna del popolo, tu avrai capito questo, tu vorrai che tutto questo disordine e questa ingiustizia abbiano un fine e sarai socialista...
... Tu ricorderai che tu stessa sei una intelligenza, una volontà, una attività. Tu penserai che i cannoni e i fucili sono montati e scaricati dai tuoi figli - tu penserai che il soldato che puntella il trono - il prete che accarezza i forti e maledice i deboli - il carceriere che custodisce il socialista - il questurino, la spia, il boia, la prostituta, il lenone, tutta questa triste progenie quale colpevole e quale infelice, è tutta uscita dal popolo, ha preso vita nelle tue viscere, fu partorita fra i tuoi dolori, ha succhiato il tuo latte, ha bamboleggiato sulle tue ginocchia, ha attinto dalle tue labbra le prime nozioni della vita e degli errori di cui sono oggi gli strumenti e la forza...
Che fare?
Vieni con noi, vieni sul cammino della rivoluzione sociale!
Vittima di tutte le ingiustizie degli uomini, infima fra le schiave, capro espiatorio di tutti i peccati del mondo, figlia del popolo, quel giorno nel quale la giustizia arriverà fino a te, l’egoismo umano sarà domato e l’umanità sarà redenta.