X. Soccorso ai profughi russi

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IX XI


La Mozzoni pubblicò questo «Appello» per una campagna di aiuti ai profughi russi antizaristi, tra i quali si trovavano i marxisti Plekhanov e Vera Zassulitch, costretti ad emigrare in seguito ad un’ondata di repressione antiliberale in Russia. La Mozzoni, attivissima in questa campagna, invitò il Carducci ad aderirvi, come scriveva il Turati al Colajanni nello stesso periodo. La solidarietà con le rivoluzionarie russe era tradizionale fra le collaboratrici di «La donna», sulle cui colonne già E. Napollon aveva commemorato la populista Jesse Hellfmann, condannata a morte dallo zar.


Donne italiane! Vi ricordate di 30 anni fa? Quando il sospetto circolava per le vie e nelle case e quando una picchiata di notte alla vostra porta vi faceva basire nel letto per paura della polizia? Quando vi sussurravate l’una all’altra all’orecchio, l’arresto di amici e parenti? E quando giungevano alle cantonate, con la faccia smorta e il cuore gelato, le sentenze di morte, d’esilio e di deportazione, e vi trovavate i nomi dei vostri cari?

Vi ricordate le ansie mortali che provavate pei mariti, pei figli, per gli amici quando risapevate che avevano varcato il confine?

Voi tiravate allora un gran fiato, ma il vostro povero cuore non s’era ancora del tutto aperto, che tornavate a sbigottire sotto nuovi e non meno tristi pensieri.

Quei fuggitivi non avevano nulla, erano esposti alla fame, alla sete, al freddo, al caldo, essi avvezzi bene, delicati - vinti, sconfitti, scorati, bisognosi di tutto, ignoti a tutti, sospetti alle polizie, circondati da spie, considerati dagli sciocchi come malfattori, dagli egoisti come persone da schivare per non compromettersi, dai gaudenti come gente turbolenta, che amava pescare nel torbido, essi quegli eletti che non si rassegnavano al male perché avevano un ideale nella mente e il fuoco sacro nel cuore!

E intanto - pensavate - come vivranno? Invano cercheranno lavoro, invano si rivolgeranno alla pietà - costretti a diffidare di tutti, a vigilare gli atti e le parole che possono nuocere ai fratelli rimasti in patria, affamati, laceri, smunti, sospettati ed infelici, rimpiangeranno forse quei ferri che avrebbero diviso con altri eroi, e quel patibolo sul quale avrebbero portato, fra le mortali ritrosie della natura, il divino entusiasmo della grande idea per cui erano martiri. E in quei tormentosi pensieri, martiri voi pure, attingevate una energia ed un odio per la prepotenza, che nessuna moina di principe o d’arciduca poté domare mai.

Donne italiane! V’è un immenso paese piú infelice ancora che non fosse l’Italia, dove il dispotismo è barbaresco, dove la vita umana non conta, e dove l’eroismo della rivolta è pari alla efferatezza della reazione.

Là si flagella, si tortura, si uccide senza carità di sesso e di età. Là vecchi cadenti, giovani generosi, fanciulle eroiche portano nella mente il divino ideale di una civiltà umanitaria, e simili ai primi cristiani spregiatori di ogni bene che gioconda la vita abbandonano gli agi, le ricchezze, la pace, il tepido ambiente della famiglia e vivono fuor della legge, spirano sui patiboli, marciscono nelle fortezze, sfilano ammanettati fra i ghiacci della Siberia, sono sepolti vivi nelle miniere.

Molti riescono a porre il piede in terra libera; ma come cervi inseguiti dai segugi, non possono posare il capo mai. Sospettati dai governi, vessati dalle polizie, calunniati dagli ignoranti e dai furbi, scansati paurosamente dai pusillanimi, odiati dai felici, quei miseri perseguitati, affamati e bisognosi languono in un martirio non meno crudele di quello al quale sono sfuggiti.

Il soccorso fraterno ha ormai disseccato le vene - i bisogni enormi della lotta titanica esauriscono i mezzi della rivoluzione e gli sconfitti, usciti dalle file dei combattenti, gemono scorati e impotenti nella miseria, si uccidono per la disperazione, e taluno si costituisce perfino alla polizia russa preferendo il violento e glorioso martirio per mano del despota alla lenta agonia che li uccide nel corpo e nell’anima in mezzo a liberi fratelli.

E intanto le loro madri, spose ed amiche, impotenti ad aiutarli, tremanti della loro disperazione, si divorano d’affanno e vi stendono le braccia implorando soccorso.

Donne italiane! Voi che conosceste quei dolori - voi tremaste cosí pei vostri cari proscritti - voi simpatizzerete con quelle nobili sventure - voi adotterete per vostri figli quegli eroi infelici – voi penserete per essi - e le donne russe che piangono presso i freddi focolari sui loro cari proscritti, sapranno che le sorelle d’Italia raccolgono la loro pietosa eredità ed aprono loro la borsa ed il cuore con la generosa simpatia che ispira la sventura e con l’omaggio riverente che è dovuto al martirio.

Note

  1. Soccorso ai profughi russi, in «La donna», Venezia, 31 dicembre 1884.