La liberazione della donna/I/4

I. La donna e i suoi rapporti sociali
4. La donna e la società

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Ovunque pensa, parla e si agita una esistenza, la sua vita importa a necessaria conseguenza un movimento, una modificazione, uno spostamento, per cosí esprimersi, fra le altre che sono intorno a lei, che cercano stabilire e conservare con essa armonici rapporti.

Cosí, fin da quando natura ci dà, al dire di Madama Sand, alla libera espansione della vita, noi ci vediamo circondati da una piccola società composta da amici e consanguinei, raccolti a festeggiare la nostra entrata nel mondo, a stringere con noi vincoli di benevolenza, alla quale per dovere di esseri sociali dobbiamo rispondere. Ma i diritti ed i doveri datici ed impostici da codesti rapporti sono troppo noti, troppo naturali, troppo costanti perché occorra arrestarvici. Il naturale buon senso, e gli usi della nostra società rispettano ed amano questi rapporti, che, cresciuti e sviluppatisi con noi, fanno parte delle nostre abitudini, ed estendono per cosí dire i confini della famiglia.

I rapporti piú importanti per noi sono quelli che noi stessi forniamo col nostro carattere speciale, coll’educazione che ci viene impartita, che ci porta verso un dato elemento sociale piuttosto che verso un altro. I doveri scaturiscono e dallo elemento col quale siamo assiduamente a contatto, e dal grado di suscettibilità che con noi rechiamo intellettivo e morale, e dai bisogni dei tempi e dei luoghi. Laonde, sviluppato lo spirito, il cuore educato, più non rimane a farsi da noi che la semplice applicazione delle apprese dottrine.

Farà egli bisogno per esempio di dire ad una creatura, che ha cuore, ché si faccia al letto del malato, o di che abbisogni il poverello, o di che cosa difetti l’ignorante?

A niuna di voi, gentili signore, che onorate questo mio libro della vostra lettura, a niuna di voi, per fermo, mancò nella colta educazione, che riceveste, nozioni sí elementari di virtú e di morale, e già tutte le praticate. Non foste voi viste pochi anni or sono, durante la guerra dell’indipendenza, tutte quante trasformate in infermiere? Gli annali della beneficenza non si adornano dessi forse dei vostri nomi dalla prima all’ultima pagina? E non forse voi fondaste sotto mille forme e denominazioni scuole, asili, istituti d’educazione per figli del popolo? Io non posso che altamente lodare queste espressioni molteplici e proteiformi dell’innata gentilezza e sensibilità che fa l’onore del sesso femminile, e mi rende orgogliosa d’appartenervi; ma se tutto ciò bastava in altri tempi di piú scarsa luce intellettuale a far di voi gli angioli della umanità, ciò è troppo poco per oggi in cui la filosofia deve averci meglio illuminate sui veri interessi della umana specie.

Fare ad altrui del bene non solo è dovere per tutti, è anche per tutti un diritto, ed un diritto che l’anima generosa si divora nell’impotenza di compiere; ed oh quale ingiustizia se al sol denaro fosse possibile questa suprema gioia del cuore! Ma no; a tutti la rese il Vangelo possibile rivelando agli uomini l’amore, e facendone loro una soavissima legge all’infuori della quale l’umanità si travaglierà in un affanno perpetuo nella confusione delle idee e dei sistemi.

Sí, la sapienza degli uomini è all’apice. E statisti e filosofi, legislatori ed economisti portarono alternativamente, esperienze e principii, istituzioni e sistemi, ma nessuno di questi farmachi riescí ancora a guarire l’umana società dall’angoscia intestina. Il quadro dell’umanità ci presenta una lunga scala sulla quale sfilano i dolori e le miserie di tutti i secoli, dalla bestiale antropofagia fino alla servitú dei due terzi della specie, fino ai sistemi applicati del piú satanico machiavellismo.

Nelle vergini foreste del nuovo mondo abbiamo uomini tuttora ai quali non è data notizia neppur d’umana favella; interi popoli abbiamo viventi di preda come le belve in fertilissime terre; in Africa è l’esportazione dei negri che fende il cuore; nella China è l’infanzia esposta e derelitta; in tutto l’Oriente è la servitù della donna, è l’evirazione di tante migliaia, è l’infame abrutimento degli oppressori. In tutto il mondo incivilito è la lotta della oppressione e della tirannide, dei principii e degli interessi, della ragione e della forza, del sentimento e dello egoismo bruto. Oh chi soccorre a tanti mali, chi diraderà sí fitte tenebre d’ignoranza, chi consolerà tante miserie, chi domerà tante passioni, chi imporrà silenzio a sí spudorati interessi, chi curerà questo gran malato che è l’umanità, che indarno sempre esperimentò medici e trattamenti? L’abbandoneremo noi alla sola forza medicatrice che dà natura col suo perpetuo desiderio d’equilibrio e di benessere? Sí, il tempo avvanza e non indarno; ma questo cammino non ci condurrà alla meta che con dei secoli, e frattanto? E frattanto si demoralizza la società, si comprano e si vendono anime umane, si sparge sangue di popolo, si versano lacrime, si combatte, si soffre, si bestemmia e si muore...


... Non tema la legislazione di affidare alla donna un largo insegnamento. I confini della sua intelligenza furono dessi esplorati? Le risorse del suo spirito son esse dunque esaurite? E come, se da tanti secoli di nullità morale e di morale oppressione, è risorta piú animata, piú intelligente che mai; e nei tempi in cui l’urto potente delle idee, la lotta delle opinioni, il cozzo dei sistemi, l’agitazione delle filosofie abbuiano lo intelletto virile, adesso appunto ella principia a capire, ed ha afferrato la segreta parola che stassene latente nell’umanità, impossibilitata a farsi strada dagli inverecondi rumori che sollevano nel mondo gli interessi dei pochi?

L’umanità e la patria, la civiltà e la morale hanno bisogno della donna. Una piú lunga assenza morale le confermerebbe sul capo la sentenza, che non fu finora che abuso di forza e figlia di pregiudizio, sentenza di morale inettitudine, che la consegna piedi e mani legati, e colla bocca imbavagliata, in balía dello spregio insolente, dello scherno inverecondo.

Ed invero non puossi negare ch’ella non abbia sentito la loro chiamata e risposto sollecita al loro appello.

Essa ha risposto con Madama Sand, nome caro alle lettere e alla filosofia e che di tanta luce d’intelligenza fe’ risplendere il suo sesso con quella miriade di volumi, che combattono ad oltranza ogni regresso ed oscurantismo; ha risposto con Miss Beecher Stowe, apostolo della civiltà e del diritto nel nuovo mondo, che sola alzò già da tempo la voce poderosa e la parola eloquente a far arrossire l’umanità, che tollera la schiavitù ed il commercio delle anime umane; ella ha risposto coll’indirizzo delle donne del Nord alle donne del Sud, contro la schiavitù dei negri; ella ha risposto con Catterina II, nei suoi tentativi di civilizzazione nelle Russie, che facevano dire al signor di Voltaire, la lumière nous vient du Nord. Ella ha risposto colle centinaia, che diffusero e diffondono nella società utili produzioni letterarie, filosofiche e scientifiche; ella ha risposto colle migliaia che si consacrano al conforto dell’umanità sofferente (sia col pubblico esercizio della medicina come nell’Inghilterra e nell’America; sia coll’assistenza agli infermi negli spedali come in tutta la cristianità), all’insegnamento dell’infanzia d’ambo i sessi, e della gioventù femminile; ella ha risposto fondando, dotando, dirigendo asili, spedali, orfanotrofii e ricoveri per ogni sventura, per ogni bisogno, erigendo dei comitati e delle associazioni per provvedere alle vittime delle patrie guerre, ai rifuggiti delle serve provincie: ella ha risposto e risponde tuttavia con quell’entusiasmo, che s’allieta dei sacrificii alla patria chiamata in tanti anni di reazione, e nella aperta lotta in Italia, ed in Polonia; e di troppa luce rifulge la sua solenne risposta perché altro non sia mestieri dire al miscredente se non che, aprite gli occhi e vedete.

Se taluna di voi, che mi leggete, vita neghittosa e vacua trascinasse, si desti al generoso esempio e vergogni la inutile esistenza in faccia a tanto lavoro ed a tanto bisogno. Pensi, che non è lecito viver quaggiú la vita parassita dell’edera che s’aviticchia intorno all’albero e ne succia l’umore, arrampica sul muro e ne rode il cemento. Chi è inutile quaggiú non è inutile solo, è nocivo, epperò nemico dell’umanità, la quale a giusta vendetta lo opprime sotto il pondo del suo piú tremendo disprezzo.

Non chiamate lavoro la insignificante direzione d’una casa o le industrie d’Aracne, le son queste manualità e dettagli opportuni, e necessarii eziandio, ma che non costituiranno mai un essere utile alla società; parlo a voi, donne ricche e colte. Fra voi, piú d’una ammazzerà la vita in cotali cose, ch’io chiamerò, e tutta con me l’umanità, esistenza parassita. Ogni vita importa molto, epperò che il nostro corpo agiti piú o meno utilmente le sue membra sta bene, ma che lo spirito nostro debba starsene eternamente latente e sopito, egli che è vocato a progredire, egli che vive della vita ragionevole, egli che dai bruti e dai vegetali vi scerne, la è cosa questa, che non da altri mai verravvi predicata che da chi trovi interesse nelle tenebre della vostra mente, nella nullità dello spirito vostro.

Non ammettendo io, per natural corollario dei principii fin qui espressi, l’esclusione della donna dalla produzione industriale che importa abilità o vigore di membra, non la posso egualmente escludere da quella parte del lavoro sociale, che esige sviluppo ed applicazione delle facoltà intellettive.

Partendo io dal principio, che ogni diritto ed ogni dovere ha per base e per ragion d’essere la facoltà, la quale colla sua legittima pretesa d’esercizio ce ne dà la coscienza, e questo principio reggendo esattamente in ogni essere umano a qualunque sesso egli appartenga, non vedo con qual ragione questa facoltà dovrebbe nell’uno esercitarsi liberamente e talora forzatamente, e nell’altro seppellirsi e soffocarsi affatto; tanto piú che, nelle miserrime condizioni in cui versa la società nostra, la donna priva di mezzi di fortuna, impotente pel genere infimo del lavoro attualmente concessole, a sostenersi in faccia alle molteplici esigenze della vita civile, trovasi trascinata da fatale necessità al distruttor mercimonio delle sue membra infelici.

Che se parlassi della donna agiata, la cui virtú è dalla educazione fortificata, se avvenga che un rovescio di fortuna la colpisca, chi non freme di vederla precipitare, senza via di mezzo, dalla splendida atmosfera d’una vita irradiata dalla luce dell’intelligenza sotto la sferza d’un’indefessa manuale fatica, che, mentre lo spirito generoso le preme ed angoscia, tanto pur non le acquista da calmare le smanie del dente digiuno?

Invero è questo tale problema che reclama potentemente d’essere avvertito dai governi ben intenzionati, ai quali premer debbono il cuore le piaghe sociali, e che la mente si travagliano indefessamente nella ricerca di un rimedio e di un riparo al degeneramento fisico e morale della specie; ed invero il bisogno nella donna non esprime nullameno che questo.

Là dove la donna ha d’uopo dell’uomo per vivere, la sua schiavitú è ben altrimenti dura, che dove questa non trova la sua ragione che nella forza del muscolo. La forza può distruggere l’opera della forza, ma la sferza del bisogno è tremenda; ella doma la piú fiera natura, ella espugna la rocca piú salda, e dalla lotta deplorevole e funesta non ne escono che due demoralizzati ed una derelitta posterità.

Se non che, dovendo io tornare sull’argomento del lavoro femminile, mi basterà per ora di avvertire le mie colte lettrici, che non si lascino sí leggermente sedurre dalla manía di classificare gli esseri, ed assegnar loro delle funzioni prima di aver ben studiata la natura; poiché gli è per lo appunto uno sterminio di classificazioni che ci abbisogna ora fare per riabilitare la donna e risollevarla dal fango, in cui fu per secoli trascinata.

Ci abbisogna ora scernere in lei, attraverso ai pregiudizii antichi, la vera sua potenza, sceverare in lei l’opera della natura dall’opera fittizia della educazione, affinché piú non ripetano i nostri posteri le stolte sentenze, che con sí solenne gravità proclamarono fin qui le menti pregiudicate, la donna dev’esser cosí! Illusi! Studiate la natura in luogo di ammaestrarla; e ricevete voi le sue leggi anziché volerle imporre le vostre.

Ovunque la natura mostra ragione, là v’è dovere e diritto di progresso; ovunque mostra attitudini, là v’è dovere e diritto di funzione; ovunque presenta intelligenza e volontà nell’essere stesso accoppiati, là v’è in un colla capacità un diritto incontestabile al libero ed autonomico svolgimento della vita morale.

Certe dottrine, che non riconoscono le unità umane, ma che veggono dovunque degli esseri incompleti, favorendo assai il sistema d’assorbimento inaugurato e gelosamente propugnato dal sesso ora felicemente regnante, trovano facili adesioni e caldi campioni.

In quanto a me, sendomi dichiarata nemica di ogni dispotismo, col quale non scenderò mai a transazioni, principio dal rifiutare quelle dottrine coi loro pii corollarii, assumendomi di provare a luogo e tempo, che ogni unità umana ha in sé, da natura, quanto basta per fermare la base d’ogni diritto, pel compimento d’ogni dovere; e che però qualunque limitazione, rappresentanza e tutela esercitata ed applicata oltre i confini assegnati dalla vera e non fittizia natura delle cose, è un attentato mostruoso alla base d’ogni diritto che, non dall’uomo, ma dalla natura fu creata; e qui, come dovunque, dovremo poi constatare, che non si lotta mai con vantaggio contro la natura e le sue leggi morali.