La liberazione della donna/I/1
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1. La donna e l'opinione
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«Anima che per biasmo si dibassa
O per lode s'innalza è debil canna
Cui move a scherzo il venticel che passa»
Molti e molti parlarono della donna, i quali anche pretesero parlarne seriamente, ma io non istimo che il difficile problema ch’ella presenta, all’uomo, alla famiglia, alla società, svolto sí dottamente e finamente da tanti, in epoche diverse, e svariate località, abbia tutti interi raccolti i dati onde completi ne risultino i criterii; oserei anzi asserire che niun scrittore forse trovossi, parmi, fin qui che, se uomo, sapesse appieno dimenticar le passioni, se donna, gl’interessi, onde sarei per dire desiderabile cosa nell’ardua tesi un criterio neutro affatto che, non punto interessato ad esagerare i vizii o i pregi del sesso femminile, né a coprirli, ce ne desse la pittura imparziale e con essa i dati e gli estremi ove basare un solido raziocinio, a derivarne poi analoghe ed assennate le istituzioni che debbono moderarne le condizioni e gl’interessi.
Dissi vizii o pregi, se pur tali possono esattamente chiamarsi le attribuzioni, o meglio, i naturali elementi, costituenti in un complesso logico, ed omogeneo, una natura ordinata ad un dato scopo, elementi tutti concomitanti e necessarii a far della donna un essere essenzialmente distinto dall’uomo, ed in pari tempo destinato a vivergli a fianco sempre utile e necessario, a somministrargli i proprii mezzi arricchendolo cosí d’un’altra potenza senza sommarsi con lui, identificarsi nelle sue viste e ne’ suoi interessi per modo da essergli un alter ego senza cessare d’esser da lui distintissimo a perpetuare quella simpatica attrazione, che distingue i rapporti dell’uomo colla donna e li fa cosí soavi sopra ogni altro vincolo sociale, e che sparirebbero in una completa fusione.
G. G. Rousseau considerò la donna in natura; Balzac ne disse dal punto di vista degli interessi virili; La Bruyère l’assoggettò a fina analisi senza che da questa si curasse poi derivarne riforma alcuna in lei od attorno a lei; Madame Neker non la vide che dal punto di vista di istituzioni locali, facenti spesso a pugni colla vera natura degli esseri e delle cose. Nessuno, fra tanti, studiò di proposito l’influenza delle istituzioni sul suo carattere e sulle sue condizioni.1
Tutti i poeti, dai grandi ai piccoli, dagli immortali ai pria morti che nati, la cantarono in ogni tono, e in ogni metro, vedendola ora colle traveggole del delirio amoroso, ora coi lividi occhiali dell’orgoglio e dell’odio per affetti incorrisposti od incompresi.
Tutte le filosofie, tutti i sistemi se ne occuparono e tutti i legislatori. E chi pretese esser ella la pura e semplice femmina dell’uomo, e non dover egli perciò conservarla che nei soli interessi della generazione, deplorando di non poter precorrere il tempo del suo sviluppo e non disfarsene dappoi. Altri considerando invece che la donna non è atta alla generazione che in una fase relativamente avanzata della sua vita, e vedendola sopravvivere tanto tempo al disimpegno delle materne cure ne derivarono, non fosse con quelle la sua missione esaurita, e pensarono potesse nelle cose del mondo portare la sua influenza, ed intervenire siccome essere intelligente e volitivo, potente di mezzi proprii. Di qui la gelosa insistenza di tutte le leggi sovente ad impedire, e sempre a sfavorire implicitamente sí, ma non meno potentemente, il sapere ed i mezzi del sapere alla donna.
Molti scrittori capirono il programma di convenienza del sesso virile, raccolsero al volo la segreta parola, e maestri dalle cattedre, oratori dai pergami, giudici dal tribunale dell’opinione, ganimedi dagli eleganti e voluttuosi gabinetti, padri con affettuosi sermoni, predicarono quotidianamente alla donna non convenirle la scienza.
Tu non sei capace di lunghi e severi studii, le disse lo scienziato, e le dimostrava, come due e due fanno quattro, che la conformazione del suo cervello, la delicatezza de’ suoi tessuti, la debolezza della sua fibra, la molteplicità de’ suoi bisogni, la dimostrano irrecusabilmente non nata alla scienza; ed ella si volse alla teologia. Non ti è lecito, rispose questa, sta contro te l’opinione della sacra serie dei piú illustri padri della Chiesa cominciando da S. Paolo fino al sacrosanto Concilio Tridentino. D’altronde, qual bisogno hai tu di sapere? Credi ciò ch’io ti dico, e basta; la debolezza della tua mente non s’attenti di fissar lo sguardo nelle sacre cose; astienti anzi del tutto anche dalle profane et non plus sapere quam oportet. Ed ella si volse all’opinione. Questa, simile alla liquida massa dell’Oceano, ora spinge i suoi flutti come adamantini proiettili sino al cielo, ora li preme fino all’abisso; fluttuante sempre, è determinata dai piú, ed è sempre indipendente da ogni pressione che non sia numero. Le sue risposte sono categoriche; ella non si crede in dovere di motivare, non si dà pena di far analisi, di stabilir confronti, non si cura di premesse, non pensa a conseguenze, ed ella rispose alla donna, non voglio, non mi piace. Ed ella si volse a chi l’amava, ed egli le rispose: Come! Tu dunque disconosci tanto i vezzi di che ti forní natura da voler andar in cerca d’altri meno attraenti? Lascia ad una bocca meno piccola della tua la difficile articolazione di barbari paroloni, e non voler annuvolare il liscio marmo della tua fronte colle rughe dei calcoli, né voler perdere il tuo celeste sorriso fra le gravi meditazioni, né impallidir le rose del viso fra le veglie prolungate. Natura t’informò con tale studio, e di tal predilezione ti amò, che fece in te pregio l’ignoranza, e tu tutto sai, nulla sapendo. Era quasi convinta, pur s’attentò a scartabellar qualche volume della paterna biblioteca; ed ecco radunarsi a grave consiglio la famiglia ed il suo capo decidere che, consultata la religione, il costume e l’opinione, che esser debbono e sono, con ragione o senza, i tre padroni assoluti sotto i quali la donna stupida od intelligente, volente o non volente, deve piegare la testa; tutti ad unanimità decisero che la donna, se povera all’ago, se ricca all’ozio, passi la vita, ed altro scopo alla sua esistenza non cerchi oltre quello della femmina; che se poi s’annoiasse, libero a lei di sbadigliare a tutto suo agio.
Esclusa dal sapere, la donna, rimaneva esclusa eziandio dal potere; ed eccola ridotta a passività assoluta, cosa e non essere, di maggiore o minor valore relativo, di nessun valore intrinseco, orba d’ogni coscienza di sé, ch’è la prima ragione d’ogni forza.
Sostituitosi, collo stabilimento del cristianesimo, il regno della intelligenza a quello della forza bruta, la donna divenne strumento tuttora vitale e poderoso alla politica sacerdotale.
I religiosi terrori, certi affetti artificiali, specie di aberrazioni, di sovreccitazioni nervose, ibride creazioni del misticismo, furono allora poste in opera dai ministri di religione per averla piedi e mani legate, cieco e docile strumento ad ogni esorbitanza. E, per mezzo suo, Stati e famiglie posti a soqquadro, fatalmente compromessi e scalzati dalle radici rimangono nella storia a documento imperituro del quanto siano funeste la ignoranza e la morale passività nella donna.
E sgraziatamente eravamo al punto in cui questa ignoranza e passività, non piú un puro fatto era, ma era sistema. L’uomo aveva riescito a convincerla non esserle lecito formare il minimo criterio, né possibile formarne alcuno assennato, in base a che, avea ella abbandonato ogni studio siccome a lei improba quanto vana fatica; e questa estrema risultanza dello egoismo d’un sesso e dell’ignoranza dell’altro, diveniva alfine la pubblica opinione, assicurando al primo un tranquillo dominio.
Ma ecco ai nostri tempi sorgere col programma di tutte le possibili libertà anche alla donna un’era novella, ed in mezzo ad assennate e serie riforme affacciarsi le umoristiche esorbitanze inseparabili da ogni epoca di transizione; e tornar in campo, sublime per idealismo siccome venerata per vetustà di concetto, la repubblica platoniana. Ed ecco che, mentre l’orientalismo proclama la donna puro stromento di piacere, il cattolicismo la vuole serva rispettata, la cavalleria scopo delle imprese e premio dei tornei, la teologia, come il vasaio colla sua creta, ne fa vasi d’onore e d’obbrobrio,2 la poesia il bersaglio a tutte le sue esagerazioni, il nostro secolo un’addizione al sesso virile; che fa la donna? La donna, siccome un attore che si orna per la scena, deve chiedersi ogni giorno qual commedia si rappresenti e davanti a qual pubblico, per sapere qual piú le s’addica di tutti i costumi di che si vorrebbe coperta. Nessuna lusinga per lei d’uscirne coll’unanime aggradimento. Condannata ad esser relativa ai tempi, ai costumi, ai luoghi, agli individui, curva sotto il ponderoso fardello dei pregiudizii sociali, portando sola, la pena della licenza e degli errori dell’altro sesso, è, e sarà, finché non si desti alla coscienza di sé, il paria fra gli esseri viventi.
Ma ecco il tempo di domandarci la ragione di sí svariati giudizii sulla donna, mentre i rapporti, che la accostano all’uomo, sono semplici, sono costanti. Il senno e la buona fede, che alcuni scrittori usarono scrivendo di lei, pare avrebbero dovuto condurli a conclusioni piú assennate e meno ingenerose. Ciò accusa una viziatura di sistema forse piú che non passione di dominio o gelosia di proprietà: ed il secolo, che aspira al conquisto d’ogni ragionevole libertà, non troverà esorbitante che la donna cerchi e studii il modo per dove iniziare la propria...
... Tale è la legge fatale del progresso, legge che non mai tanto apparve come a dí nostri per la portentosa facilità delle comunicazioni, ed il generale sviluppo della vigente generazione sensibile, operosa e concitata...
... Se all’ignoranza delle verità morali e speculative avvien che s’aggiunga la ignoranza della storia e degli usi e costumi di tutti i popoli (che maggior estensione suol dare alle idee, e maggior quantità di dati presenta all’esattezza del giudizio come per lo piú nelle masse), allora l’opinione pubblica diviene non già organo d’intelligenza, ma misura d’ignoranza.
Basta la piú leggiera tinta di storia per provarci quanto siano fluttuanti e precarie le opinioni, che non si fondano sui semplici e sovrani emanati della ragione; e siccome di assai poche verità assiomatiche trovasi l’uomo in possesso, cosí veggiamo lo spirito d’un secolo e d’una generazione differire enormemente dalle antecedenti e dalle susseguenti, adottarsi e ripudiarsi i sistemi, modificarsi assiduamente usi, costumi, ed istituzioni ormeggiando lente, ma indefesse il progressivo sviluppo dei popoli, il quale, attraverso a queste molteplici e svariate gradazioni morali, per legge fatale di natura e di provvidenza, sempre sale verso il meglio.
Da tutto il fin qui detto emerge che questo formidabile fantasma della opinione vuol essere guardato in faccia senza timore, e ben disquisito vuol essere, ed analizzato prima di accettarlo ed inchinarcegli siccome a supremo arbitrato. Esaminiamo se le forme solenni, che assume, siano per avventura il puntello di interessi parziali, la tonaca lunga ed affibbiata dell’ipocrisia, la legge caduca della forza, o il semplicissimo cosí facea mio padre, tanto potente sulle masse incolte che un bello spirito non chiamava senza ragione animal d’abitudine. Ben sovente ci accadrà di trovarci di fronte ad un colosso dal piè d’argilla; e le mie parole vi si appaleseranno ben vere, se riflettiate un istante ad un fatto gigante, che veggiamo svolgersi sotto late dimensioni nella nostra Italia in un solo quinquennio di libera vita.
Ché se a’ pii esercizii rivolgerai l’animo a pietà inchinevole, sarai tosto nello spirito del volgo ipocrita o bigotta; se agli studii addestrar vorrai lo innato ingegno, sarai pedante; se alla tavoletta intenta le lunghe ore ogni cura adoprerai ad esser bella, sarai tosto leggiera e vanerella; se del moto o del passeggio bisognosa ed amante, di spirito ozioso e svagato avrai la fama; se società raccogli nelle tue interne sale e di frequente sarai nei teatri vista, mille, più o men veri, galanti aneddoti circoleran sul conto tuo; se, della prole amante e del consorte, trarrai oscura e laboriosa vita fra domestici affetti e doveri, non mancherà chi a difetto di spirito e d’attrattiva la volontaria solitudine attribuisca. Se, bella essendo e corteggiata, sarai costretta per genio o per dovere a chi il cuore negare, a chi la mano, di superba o di fiera t’acquisterai rinomanza. Se natura avesti matrigna e di bellezza manchi e d’attrattive, per ciò solo d’imperdonabile delitto sei già rea, e la grazia sarà per te affettazione, la dignità pretesa, smodato sfarzo la decenza, ogni virtú ti scemerà di pregio, ed ogni neo salirà fino a deformità mostruosa.
Laonde, a premunire dalla ingiusta e dolorosa pressione di sí sventati e crudeli giudizii, la donna, che per la natía timidezza dell’animo già li soffre e li teme (e per la sua debolezza è ben già di soverchio esposta agli oltraggi) ben lunge dal curvarle vieppiú la testa sotto il giogo ingeneroso, che il filosofo ginevrino si affatica a premerle sul collo, io le fo coraggio e le ripeto:
- «Anima che per biasmo si dibassa
- E per lode s’innalza è debil canna
- Cui muove a scherzo il venticel che passa.»
Epperò informata alle imprescrittibili leggi della morale, non d’altri schiava che del principio che a guida togliesti del tuo operare, coll’occhio fiso al nobile fine che programma facesti della tua vita, l’occhio e l’orecchio chiudi alle migliaia che tutti importisi vorrebbero a legislatori e tiranni, e fa
- «Come il Villan che posto in mezzo
- Al rumor delle stridule cicale
- Senza curare il rauco strido loro
- Segue tranquillamente il suo lavoro.»
Note
- ↑ Parecchi moderni scrittori, propugnatori della redenzione della donna, studiarono anche l’influenza delle istituzioni sul suo carattere, ma le loro idee non sono per anco volgarizzate.
- ↑ Mentre la donna riscuote nella cattolica canonizzazione l’onor degli altari, e nella persona della Vergine Maria è divinizzata (Deipara), St. Pier Damiani scrive esser le donne « Dulpamenta diaboli, virus mentium, aconita bibentium, gineceoe hostis antiqui, upupoe, ululae, sanguisugae, scorta, prostibula, volutabra porcorum pinguium, cubilia spirituum immundorum, nymphae, sirenae, lamiae, dianae, ecc., ecc.».