La guerra de' Briganti in Dongo
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Descrizione della Guerra de' Briganti eseguita sui confini di Dongo, cioè sul castello di Musso nel maggio del 1799. e descritta da fr. Eufrasio Buzzi di Dervio Francesc.no Riformato Guardiano nel convento di Dongo testimonio occulato.
1796. Una delle prime operazioni militari sul lago di Como eseguita dai Francesi dopo il loro ingresso nello stato di Milano avvenuto il 14. maggio 1796. fu la demolizione del Forte di Fuentes. Un tal nome gli venne dal marchese della Fuentes Governatore di Milano, sotto i cui auspicj si vide costrutto l'anno 1603, che alla Spagna costò 24. milioni. Si erge questo forte sopra di un monticello attorniato da un pian paludoso all'ingresso della Valtellina, colà, ove l'Adda scarica le pie acque nel Lario. Nel 1783. Giuseppe II. ne avea ritirato la gente di presidio non che gl'attrezzi militari; non vi lasciando che le nude fortificazioni, le caserme e la Chiesa. La proprietà di quel fondo era caduta nelle mani del vecchio suo comandante Schreder.
1796. Nel 14 giugno adunque del 1796. comparve sul lago un distaccamento di 600. Repubblicani sotto il comando del Gente Rambeau dal general Bonaparte destinati a tal demolizione. Preser quartiere in Domaso e dieder principio all'opera coll'aiuto de' contadini di Colico e delle 3. Pievi superiori. Il travaglio fu continuato per 3. mesi, cioè finatanto che l'aria mefitica che sorge da quelle paludi lo permise. Questa troncò il corso alle operazioni per quell'anno e per i successivi ancora, credendo di aver fatto abbastanza.
L'apparizion però di tante vele in sul lago fatta nello stesso giorno e alla stess'ora, spettacolo tra noi ben insolito, cagionò non poca sorpresa, perché in allora se ne ignorava il vero destino. La sola demolizion di quel Forte, sembrava che non meritasse il concorso di tanta gente. Altri perciò suspicavano con plausibile fondamento, che destinata fosse a punire le terre di Valtellina che pochi mesi prima impegnati vi erano nell'arresto di Semonville Inviato della Repub.ca Francese alla Porta, eseguito per ordine di S.A.R. l'arciduca Ferdinando; arresto che fece parlar molto, e che fu general.te biasimato, perché contrario al diritto delle genti. La cosa però non fu così: e come dicemmo la truppa arrestò il passo in Domaso.
1798. Nel luglio del seguente 1798. si eccitò una sommossa popolare ossia brigandaggio, il cui punto d'unione fu Menaggio. è questo un antico Borgo posto al levante del lago e al di sopra di Como 25. miglia all'incirca. qui è dove si apre la strada, che conduce alla Val Porlezza, e di là a Lugano, e alla Svizzera. Ecco le circostanze di tale sommossa. Il nuovo codice religioso fabbricato dagli agenti della Repub.ca Cisalpina, che, secondo tutte le apparenze tendeva a perdere la religione dominante; quello fu, che come ognun sa, che seminò un generale malcontento in tutta la Repub.ca, più che nol facessero le onerose gravezze e i pesi enormi della desolatrice guerra. I lamenti su questo articolo si facevan sentire da per tutto; ma pure i popoli seppero contenere il loro sdegno, lasciando a Dio la difesa della sua causa. Non fu lo stesso per Menaggio, dove aggiuntevisi alcune circostanze locali relative a questo oggetto, e che si giudica opportuno passare sotto silenzio, queste bastarono, che quella plebe esternasse il suo risentimento; e il suo esempio vi chiamasse dalle vicine terre i loro malcontenti, onde quivi si aprisse un campo di battaglia. Capo di questa insurrezione vi fu certo Agostino Capelli del comune di S. Abondio nella squadra di Rezzonico, assumendo il ridicolo carattere di Generale dell'Armata Cattolica. Al suo seguito vi attirò molti villani e uomini da bosco miserabili, carichi di debiti e di delitti, sedotti da questo specioso titolo, e forse più della cupidigia del bottino, come si vedrà in progresso.
Il popolo ignorante più che superstizioso ha ragion di fare gran conto sulle pratiche esteriori del culto. Queste gli parlan al cuore, e per la via dè sensi lo conducono alla cognizione e al rispetto dovuto agli oggetti spirituali e invisibili, che dalla fede gli vengon proposti. Vedendosi egli pertanto tolti i segni festivi delle solennità, abolite le processioni, interdetto il solenne interramento de' cadaveri, e la pubblica associazion al St.mo Viatico, il vasamento delle divote Immagini, l'abolizion de' monasterj, l'oppression de' sacri ministri, l'alto dispregio, in cui si facean cadere tutte le pratiche religiose; e che so io? Novità eran queste che di troppo gli ferivan le pupille; ed avea ben esso giusto diritto a querelarsene, vedendo la sua religione con ciò a perdervi non poco e quasi ridursi al nulla.
Simili innovazioni sotto l'illusorio titolo di Riforma si eran fatte vedere anche negli anni superiori e sotto un tutt'altro Governo. Il popolo non pertanto vi ci si era alcun poco assuefatto, perché eseguita con più di regolarità e non con quella precipitanza e confusione, come lo eran di presente; e di più eseguite da un Principe, che tuttavia vestiva l'aria di buon cattolico. Se poi tali innovazioni anche in allora fossero tutte commendevoli, tutte sagge, tutte proficue al ben della religione non meno che dello Stato, lo dirà abbastanza l'odierna rivoluzione. E bisogna pur confessarlo, che non fu giammai sano consiglio deprimere la religione per esaltare il trono; peggio poi di chi avesse pagato sulla base d'una mal attesa libertà, la quale in sostanza altri dir non volesse, fuori che la stessa scostumatezza, e la stessa irreligione per principio. Qual orribile Repub.ca, dice uno de’ più profondi pensatori del secolo decorso, qual orribile Repub.ca, se pure a caso una se ne formasse nel mondo composta solo da Atei, ed ove gli uomini non avessero altro diritto per diventarne cittadini, fuoricchè il merito della loro empietà? I più giudiciosi fondatori degli Imperj hanno piantato i lor governi sull'appoggio d'una Religione, qualunque ella vi fosse; e per questa ne formò il più sodo sostegno, e per molti secoli tutta la felicità de' loro sudditi.
Mal a proposito adunque su tali principj si studiavano i nostri primi rivoluzionarj stabilire il nuovo governo; ne' erano affatto riprovevoli i lamenti de' popoli, se si dolevano di simili attentati troppo contrarj ad ogni buon senso, perché non solo rapivan loro il miglior conforto che aver potessero ne' travagli e nelle avversità del presente esiglio; ma di più perché turbavan il riposo delle coscienze, ed eran sovversive dell'ordine coll'introdurvi l'anarchia, e del sistema sociale chiamando gli uomini alla vita selvaggia e brutale.
Non si vuol per questo accordare al cattolico il diritto di difendere con mano armata la propria religione. Il suo divin Fondatore non ha mai detto agli apostoli prendete la spada, e andate pe'l mondo a predicare il vangelo, forzando con questo mezzo le nazioni ad abbracciarlo. L'unica arma, che lor diede fu la sofferenza, la mansuetudine, l'orazione; e per ultimo scampo dei più deboli la fuga dalle persecuzioni. La Religione ha la prima sua sede nel cuore, dove qualunque umano sforzo non giugne a turbarla; se pure il fedele da se medesimo non la espelle.
Sara` dunque mai sempre un abuso intollerabile e un pregiudicio, che non ammette scusa per i nostri insorgenti, se la loro rivolta ebbe per oggetto il difendere l'antica Religione, siccome se ne vantavano; ma più innescusabile ancora, dopo che si sa che costoro non erano de' più scrupolosi osservatori del Vangelo e di sua morale, usando di questo abbagliante pretesto per metter al coperto l'ingiustizia di lor violenza, e impunemente fabbricarsi la lor fortuna col trar profitto dal disordine e dalla confusione.
Bisogna altresì però confessare, che coll'aver ne' primi anni della Repub.ca date l'armi in mano de' villani e della canaglia nell'idea di addestrarli alla milizia, e averli pronti ad ogni evento fu uno sbaglio non volgare e uno de' più irregolari passi dati dai nostri primi rappresentanti che non poco contribuì alle rivoluzioni. Il fanatismo civile e politico che a quell'epoca diriggeva tutte le nazioni non dava luogo alle teste sublimate che vi assistevano a ben rilevare le fatali conseguenze che un precipitato decreto seco strascinar potea. I più moderati ben le conoscevano; ma null'altro poteano ottenere che nel secreto del loro cuore deplorare sui formidabili pericoli a' quali si vedevano naturalmente spinti da questi novelli armati.
Siccome poscia il continente di Menaggio e di Porlezza alle sollecitazioni de' fratelli Rezia ne avea fornito un buon numero per le famose spedizioni di Salò e di Lugano; qual maraviglia, se qui appunto, piucchè altrove questi novelli armati si vedessero pronti a rivolgere contro la Patria, o piuttosto al Governo quell'armi medesime, che da esso avean ricevute al proprio ingrandimento e alla propria difesa? Orde miserabili e disperate, che poco o nulla ânno a perdere, e molto sperano di guadagnare son sempre pronte a darsi a quel padrone, che fa lor miglior partito.
L'attruppamento di Menaggio conosceva che da se solo non era bastevole a far la guerra, perché scarso di numero: coll'andar però gridando morte al Governo, ai patrioti, ai Giacobini; sperava con tali voci investire del medesimo entusiasmo le popolazioni del littorale, e crearsi così un gran seguito. Ma se è vero, che a tutti pesasse il nuovo giogo e si rendesse loro intollerabile: è vero che se a tutti stava a cuore la religione e 'l libero di lei esercizio; niuno però voleva salva questa con mezzi sì violenti, ne' scosso quello per vie irregolari. Per buona sorte la generale non fu mai battuta, e niuno almeno per allora si staccò dal proprio focolare.
Questi insorgenti poi, i quali bravavano sol quando si trovavano a fronte di genti imbelli, al primo presentarsi in faccia a Menaggio di un distaccamento di fanteria spedito da Como, ecco come ben presto cangiar linguaggio e condotta. I più deboli, quasi tocchi dal folgore, prendon la fuga; e i più fermi attendono un parlamentario venuto colla truppa. Alle di lui rimostranze e previo un generale perdono depongono le armi e si ritirano ai paterni lari.
1798. Di questo fuoco elettrico a quell'epoca una scintilla se ne staccò eziandio nella plebaglia di Dongo. Correva la 3.a domenica dello stesso mese di luglio. Con recente decreto venivan abolite le Processioni. L'Arciprete volea tenersi stretto alla legge: ma il popolo non sapea accomodarvisi. Dopo qualche alterco fu forza cedere al comun volere. Superato felicemente questo primo attentato, si rivolse ad un secondo. Lo disgustavano i suggelli della Repub.ca apposti alla Biblioteca del Convento de' Francescani Riformati ivi esistente; quindi volendo esso far uso di quella sognata sovranità, che la costituzione le accordava, raccoltosi in buon numero al dopo pranso; ma senz'armi, si portò al Convento, e ne ruppe i suggelli; coll'animo di infrangerne anche la porta, per difetto di chiave da aprirla, se da persone prudenti non ne fosse stata disuasa. L'affare fu sbrigato coll'arresto di due, creduti capi, lasciati gl'altri in libertà.
Ma per ritornare a que' di Menaggio fa d'uopo osservare, che sebben per la maggior parte deponessero le armi; alcuni pochi però, o dubitando d'un sincero perdono, o innamavibili da quello spirito di partito che gl'avea invasati, o piuttosto fermi nei rovinosi loro disegni, se 'n volarono alla volta di Musocco a cercarvi appoggio dagli Imperiali fin colà avanzatisi. Non vi stettero lungo tempo, perché i Repubblicani ben presto ve gl'espulsero. I nostri Briganti, che avrebbero potuto prender servizio sotto la bandiera cesarea nol vollero, perché un tal passo non s'accordava colla loro vista; ond'è, che vedendosi messi allo sbaraglio, s'appigliarono al partito di intanarsi nelle patrie solitudini finattantoché un vento più favorevole spirasse per essi. Quivi dunque raccoltisi, e muniti di buone armi, scendevano talora al piano a cercarvi viveri e foraggi, ingenerando non poco spavento ai luoghi, cui si presentavano; e commettendovi degli eccessi. Vittima sventurata di questi disperati fu il sacerdote Giuseppe Canevali abitante nel Comune di Plesio, persona agiata e di età virile. Cadde ad essi in suspicione che questi ne spiasse i loro andamenti e li denunciasse alla Pretura di Menaggio, perché colla forza li disperdesse e rendesse la tranquillità alle Comuni. Una notte adunque sorpresolo al proprio letto sopra gli scaricano un colpo terribile di archibugio, che in un momento lo stese morto a terra. Poscia ne saccheggiarono la casa, fracassando e gettando dalla finestra ciò che non tornava loro a conto di trasportare. Questa fazione si sostenne fino al reingresso degli Austriaci. Siccome poi il di costoro avvanzamento fu celere, e ben presto se ne vidde anche in Como una compagnia sotto gli ordini del Principe di Roâno; così il partito degli Insorgenti in allora si fece più forte, e a que' di Dongo in ispece più temibile.
1799. A misura che l'aquile imperiali da tutte le parti si avanzavano, il Gente La Courbe avea raccolta la sua armata di 5m. uomini nella bassa Valtellina per unirsi, se gli riusciva a quella della Svizzera oppur del Reno. 1500. de' suoi gl'avea appostati in Domaso e Gravedona. Due strade gli si apparivano: L'una per la Rezia, l'altra per l'Elvezia. La prima toccava Chiavenna: la seconda Lugano. Ma ne' l'una, ne' l'altra eran troppo sicure. L'occupazion della Rezia fatta dagli Austriaci gli presentava il nemico di fianco e da fronte. Quella di Lugano chiamava il passaggio della Val Porlezza, guardata dai Briganti, loro principal nido. Oltre che in Lugano stesso era contemporaneamente scoppiata un altra insurrezione. Ve ne sarebbe stata una di mezzo, quella cioè del monte S. Iorio, che dalle Tre Pievi offre il passo di Bellinzona, e di là al monte S. Gotardo nella Svizzera. Difatti i 1500., di cui poco sopra favellammo, la sera dei 30. aprile 1799. vollero farne l'esperimento prendendo la via di Garzeno. ma trovatala ingombra da altissime nevi, varcabile appena dai pedoni, il giorno appresso si videro di ritorno alle antiche loro stazioni.
I Briganti, che la sera dell'anteced.te giorno occupate aveano le alture del Castello di Musso, credendosi finalmente liberi da questi malaugurati ospiti, scesero dal monte e passeggiavano boriosi sulle pubbliche vie, quasi cantando il trionfo. Con questa fallace sicurezza s'aggregarono al loro partito nuovi proseliti, che ben presto rimasero delusi; mentre, come fu detto dando il passo retrogrado i Francesi, sorpresine alcuni colle armi in mano, due ne uccisero miseramente sulle vicinanze di Domaso. Uno di questi fu certo Giuseppe Patriarca d'Inzasco terra della Valle d'Intelvi di professione muratore, che in quel giorno appunto preso avea il fucile, che forse a' giorni suoi giammai ebbe portato. Di quest'uomo fu d'uopo darne un più preciso dettaglio, perché, come si vedrà, entra negli avvenimenti più memorabili di Dongo.
Nonostante la superiorità e fermezza del nemico, i Briganti non se ne stettero cheti, ma con replicati colpi insultavano la truppa nelle vicinanze di Domaso. Stizzita questa per non poter progredire il suo cammino verso Bellinzona; ma più d'assai dalla baldanza di costoro, diede loro la caccia e gli inseguì fin entro alle contrade di Musso. I Briganti dallo spavento renduti ancor più veloci ebbero campo di riprendere le alture di quel diroccato Castello, e appiattarsi fra quelle ombrose selve. Vi fu in quella terra chi ebbe l'imprudenza di gettare dai tetti delle tegole sopra la truppa, la quale per questo nuovo insulto vieppiù irritata, sforzò la porta della casa Manzi, e trovatovi un vecchio muratore con una scala in mano, lo stese a terra, scaricando altri colpi sopra quei della Famiglia, che con passi veloci sen fuggivano al monte; senza però che alcuno ne rimanesse offeso.
Veggendosi i Repubblicani per siffatta accoglienza non troppo sicuri in quella terra retrocedettero alla volta di Dongo, e vi si stazionarono. L'avvicinamento di questa gente spumante ira e furore, ricolmò di spavento i suoi abitanti, credendola determinata a vendicare sulle lor persone e famiglie gl'oltraggi riportati dagli insorgenti, quasi dessero lor mano, ed entrassero ne' forsennati loro sentimenti. L'albero della libertà mal appena il giorno precedente era stato atterrato qui, e lo fu alla presenza e alla vista d'alcuni Francesi qui approdati a prendere vittovaglie per la truppa che saliva il monte S. Iorio. Ne avean sorpreso il Reo, e dopo averlo caricato di strappazzi e di rimbrotti lo atterrirono con un colpo di fucile, senza però offenderlo. I più vecchi rammentavano poscia ai lor nipoti d'un somigliante pericolo, cui si vidde esposta la loro Patria l'anno 1702. appunto per l'imprudenza d'alcuni de' suoi appostatisi sul medesimo Castello di Musso per chiamarvi a rivolta le 3. Pievi a favore degli espulsi Austriaci dai dominanti Gallispani. Il timore di un saccheggio e di un incendio si conobbe altresì non essere mal fondato, dopo che si seppe, che quel summentovato Patriarca ucciso in questo medesimo giorno, per errore fu fatto credere originario di Dongo, sol perché da alcuni mesi in qua vi esercitava la sua professione; dal qual inganno ne furono poi tratti dal Superiore del convento. In un incontro sì periglioso la maggior parte di questi abitanti s'intanò nelle selve, o prese la via de' monti, mettendo in salvo le lor persone, e il migliore delle sostanze; non vi restando qui, che ben pochi alla custodia delle case.
Per buona sorte nulla di sinistro avvenne qui. Sapeva l'ufficialità che l'albero fatto in pezzi da estera mano senza il concorso di questo popolo: che la Comune di Dongo si era sempre conservata nell'ordine e nella subordinazione, senza giammai aver parte diretta o indiretta cogli ammutinati, de' quali troppo detestava la scellerata condotta, e ne temeva le funeste conseguenze; ond'è che la truppa parte prese la via di Gravedona e parte se ne rimase in Dongo, alla difesa, come ella diceva di questo Borgo contro le irruzioni degli ammutinati; ma molto più alla propria, col impedire che costoro si dilatassero sul piano. L'ufficialità fissò il suo quartiere nel Convento, luogo aperto e lontano dai posti de' briganti, e dove non entrava la minima suspicion di partito.
1799. In questo medesimo giorno, che era il primo di maggio, in cui quell'anno correva la Vigilia dell'Ascensione, cominciarono le ostilità, che non ebbero fine se non ai cinque del d. mese. In questo intervallo di tempo altro non si udiva che replicati colpi di fucile che scendevano dal monte o vi ascendevano, e sembrava piuttosto una caccia clamorosa e generale, che non un conflitto militare; perché alle strida e ai sospiri soliti udirsi nei veri conflitti tenevan luogo i sarcasmi e i motti piccanti de' quali a vicenda si caricavano i combattenti. Non vi fu spargimento di sangue, o strage, se ne eccettuiam un soldato rimasto morto sulla Piazza di Dongo nel dì seguente festa dell'Ascensione. Questo caso avvertì i comandanti di ritirare di colà la truppa, perché troppa esposta al fuoco nemico, distribuendola poi in varj piccoli corpi lungo le strade che ne incrocicchiano il piano.
Fu detto, che i Briganti si rifugiarono sul Castello di Musso: ma ciò non basta per ben rilevarne la loro posizione. Convien dunque avvertire, che questo Castello nelle età superiori figurava assai, e si rendette famoso in ispecie a' tempi di Gian Giacomo de' Medici abbastanza noto per i suoi talenti militari non meno che per le sue piraterie, del quale con artificio se n'era impadronito e di là tiranneggiava il lago di Como e parte della Valtellina e Valchiavenna: oggidì non presenta all'occhio de' riguardanti che uno scheletro delle sue antiche fortificazioni, essendo stato demolito da' Francesi l'anno 1532. dopo che fu abbandonato dal prelodato Medici. Era fabbricato sul pendio di aspra e scoscesa rupe, ove l'arte e la natura l'avean renduto quasi inespugnabile. Dal piede lo bagnava il lago dove vi si apriva un vasto Porto per accogliervi le navi di qualunque calibro. Nella parte superiore veniva tagliato dal monte che gli sovrasta per mezzo di una larga e profonda fossa scavata nel masso. Dai lati s'ergeva il monte a perpendicolo, per cui si avrebbe creduto, che non fosse più un masso dalla natura preparatovi, ma piuttosto una muraglia ad arte composta. A mezzodì vedeva i vigneti di Musso che lo fiancheggiavano, e a settentrione era seguito da un folto castagneto, alle cui falde si erge Dongo. Attraverso di questo castagneto si vede anche oggidì una bella strada, la quale serviva al trasporto delle derrate e degli attrezzi militari. Di questo famoso Castello nell'età presente nulla più esiste che la Chiesa collocata nel centro di esso e a una notabile elevatezza. Questa serviva di caserma ai Briganti, i quali si stendevano poi lungo la selva, e si appiattavano dietro gl'alberi o i cespugli durante la pugna.
Ciò premesso era facil cosa, come ognun vede, l'inseguir i villani, e cacciarli dai loro covili, non avendo essi neppur una fossa o una muraglia che li mettesse al coperto. Credevano aver fatto assai col tagliare la strada provinciale che cammina lungo il littorale appiè del Castello e togliere la comunicazione con Musso; ma dopo che dalla parte di Dongo la china del monte ne offriva mille per ascendervi, inutili erano tutti i loro agguati, e quella massa informe e indisciplinata al primo assalto tutta si sarebbe in un momento scomposta e qual lampo dispersa. Siccome però un tale sperimento avrebbe portata la perdita di qualche Francese, a' quali troppo premea conservarne intiera la truppa per servirsene contro degli Austriaci; così altro non si fece che restarsene nella semplice difesa, senza tentarne veruna aggressione. I soldati, che pur avrebbero voluto assalir il nemico e sbaragliarlo eternamente, fremevano a un tal divieto e a grande stento si potettero ritenere nella subordinazione: ma se ciò addiveniva sarebbe stato il colmo delle disgrazie per quante terre avessero incontrato, tutte implicate nell'insurrezione. Tacciono le campane.
Il giorno due la truppa finse abbandonare il campo, e difatti la maggior parte si restituì ai suoi quartieri. Un drappello però si appiattò nelle vicinanze della Parocchiale. Allora i Briganti, credendola realmente abbandonata scesero dal Castello e le tennero dietro, quasi per batterla alla coda e caricarne la ritirata. Ma avvenutisi in que' pochi che loro tesa aveano l'imboscata, rivolsero ben presto indietro le spalle, e insegnarono ai socj tardivi a seguire il loro esempio. La notte dei tre ai quattro vi fu dello strepito sul nuovo viale che conduce al Forno del ferro; e si udì la voce lamentevole di un soldato, che si credette ferito a morte da' briganti scesi dal monte, che col favor delle tenebre sorpreso l'aveano nella sua stazione.
Ciò che creava in costoro più di baldanza e di ardire era una barca cannoniera da cui eran protetti. Tre navi armate in guerra avean fatte costrurre i Francesi per corseggiare il lago, e vegliare alla quiete del littorale, e alle irruzioni degli Austriaci, se mai alcuna tentata ne avessero per la via di Bormio o di Chiavenna. Dopo che La Courbe si trovò nella necessità di pensare alla ritirata due ne avea colate a fondo, e dall'altra levato il presidio, lasciando però che continuasse le sue corse coll'assistenza del solo Capitano. Ai 28. d'Aprile 1799. approdò questa al lido di Rezzonico. Poco prima un'altra nave giunta vi era portante 3. ufficiali con quattro muli e due cassette diretta alla volta di Domaso. Il vento contrario l'avea spinta colà. Gl'ufficiali usciron di barca per cercarsi uomini da far trasportare per terra le due cassette. Giunta dunque la cannoniera, e vedutisi dal lei capitano i tre suoi compagni, scese anch'esso per abbracciarli. I Briganti che dai loro eminenti posti veduta avean la cannoniera approdare al porto, spoglia di presidio, credettero pur quello il momento opportuno per impadronirsene. Precipitatisi dunque al basso le furono tosto addosso, e veduti i quattro Francesi passeggiare sull'arena vi scaricarono addosso i loro fucili, e tre ne uccisero. Quello della cannoniera fu il solo che a stento si mise in salvo. Due o tre marinari rimasero anch'essi feriti, uno de' quali si vuole che poscia se ne morisse. Occupata pertanto la cannoniera forzarono i marinari a riprendere i loro remi e servire il brigandaggio. Dall'altra levarono i muli, che via si condussero, e rotte le cassette, che al peso sembravan loro piene d'argento, non vi trovarono che delle pietre focaie per uso de' fucili. Dopo questo fatto tragittarono il lago, e si rivolsero a Bellano, ove con grande strepito e schiamazzo vi sradicarono l'albero della libertà con grande solennità innalzatovi il precedente anno. Dopo ciò diressero la nave alla volta di Lecco, ove accampava un distaccamento Austriaco. Il motivo di tale gita fu questo: mentre colla cannoniera tragittavano il lago incontrarono due gondolette portanti delle truppa, creduta francese. Le obbligarono ad ammaniar le vele; e furono ubbiditi. Poscia riconosciutone il carico, s'avvidero che erano dei prigionieri austriaci, che si conducevano a Como. Quindi fatti prigionieri i pochi Francesi che li custodivano, diedero la libertà ai primi, o piuttosto li restituirono ai loro corpi stazionati in Lecco. Due ne ritennero presso di se per la direzione dei due cannoni che portava la loro nave.
Per sì felici successi renduto più borioso questo gruppo di Briganti corseggiava il lago, e si mostrava or ad una terra del littorale or ad un'altra, conducendovi come in trionfo la sua preda e invitandone gl'abitanti all'insurrezione. Questa medesima nave più volte si fece vedere anche alle alture di Dongo, durante il conflitto, scaricando varj colpi a palla e a mitraglia; e fosse imperizia degli artiglieri, fosse l'instabilità dell'elemento che variava il punto di direzione, andavano tutti poscia a vuoto. Ogni volta che appariva questa nave, anche gl'insorgenti raddoppiavan l'ardire e gli sforzi; mai però che abbandonassero i loro posti, sebben fossero in numero a mille doppi superiori al nemico. Prova evidente del niun conto che far si deve su queste orde di disperati. Per allontanar poi la cannoniera bastavan pochi colpi di fucile gettati da alcuni soldati ascosi sul margine del lago. Altra prova del niun valore di quella turba armata, che la montava.
Durò il conflitto, come fu detto, fino al giorno cinque di maggio; dacché la precedente notte i Francesi avean levato il campo, e si erano riuniti ai loro fratelli di Domaso. Accortisi i Briganti della partenza del nemico precipitarono qual un rovinoso torrente dal monte pieni di letizia e di boria; quasi una tal partenza fosse tutta opera loro. Le contrade di Dongo erano affollate da una massa imponente di popolo, che ascendeva forse ai 3000. e dava terrore al solo mirarla, che sembrava piuttosto una truppa di assassini, non mai d'uomini d'armi, e nostri amici. E questa fu per noi la crisi più spaventevole. Il timore de' Francesi era dissipato, dopo che durante il loro soggiorno conservarono qui una esatta disciplina e una gran moderazione: ma questo timore a quel momento si raddoppio` per avere noi a fare con simil canaglia che non sente ne' legge ne' freno.
Il comando di questa massa assunto l'avean certo Bettino del Piano di Porlezza, e Francesco Campione pure di Porlezza: uomini per altro probi e onesti ma come da se soli contenere tanta canaglia cui comandavano? Un certo Carcino di Plesio molto vi figurava anch'esso, e vi mostrava non poco attaccamento e zelo per gl'interessi di casa d'Austria, di cui in progresso ne diede assai prove non equivoche. Durante il conflitto si eran dal monte fatte sentire delle voci che minacciavano vendetta e saccheggio e questa comune, perché non avesse fatta causa comune con quei nello scacciare il nemico. Il pretesto non era in verun conto ammissibile, dopo che la comune stessa era forzata nudrir nel proprio seno quella truppa, da cui non era possibile liberarsene: ma pure un tal pretesto poteva aver luogo presso gente feroce e solo anelante al bottino. Avean di fatti costoro come saziar la loro rapacità alle spese delle molte famiglie agiate e commercianti, che qui ânno domicilio. A quell'epoca si ignorava che La Loup comandante nell'armata del Principe di Roâno avesse preveduto simili sconcerti, e si fosse fatto loro incontro con un forte proclama che vietava sotto gravi _____ 1 a chiunque del partito austriaco l'offendere sotto qualunque pretesto i fautori dell'altro partito. Eran dunque smarriti gli animi e perduto il coraggio nei pochi rimasti alla guardia di loro case, e al servizio della truppa mantenuta alle spese della Comune. L'affare però ebbe fine col non sentirsi altro che assordata l'aria da un evviva l'Imperatore; alle quali voci facendo tutti eco, si strinse una fratellevole alleanza. La truppa staccatasi da Dongo si era concentrata in Gravedona, dopo averne tagliato il ponte che ne attraversa il fiume. Gl’insorgenti avvanzarono fino alle sponde di quel fiume; ma vedendone la sinistra guardata dalla retroguardia non osarono spingersi più oltre, benchè il guado del fiume ne fosse agevolissimo in tutta la sua longitudine La truppa staccatasi da Dongo si era concentrata in Gravedona. Un drappello d'insorgenti attaccò la retroguardia dei Francesi posto sulla sinistra del fiume di Gravedona: rimasero feriti alcuni degli ultimi, i quali però coraggiosamente inseguirono a passo di carica gl'Insorgenti e li dispersero. Nel retrocedere tagliaron il ponte. Comparve in questo frattanto un Parlamentario di Roâno per rilevare le intenzioni del nemico, e se volea darsi prigioniero; ma trovatolo fermo nella negativa, lo lasciò andar in pace a' suoi accampatisi all'ingresso della Valtellina e sul territorio di Colico.
Mentre in Gravedona si maneggiava questo affare dal commissario Imperiale alla vista dei Briganti che da lontano lo miravano; un gruppo di essi s'appigliò qui a un partito più utile e più sicuro; questo voltata faccia si rivolse alla casa dell'ex marchese cossonio posta in aperta campagna, lontano dall'abitato; la spogliò di tutti i mobili che non eran pochi ne' di poco valore. Perché` poi la luce del giorno gli proibiva il trasporto dei capi derubati, li nascose in un sotterraneo della casa medesima, aspettando il favor delle tenebre al compimento dell'opera. In buon punto ne fu avvisato chi ne avea la custodia e il ladro n'andò fallito. Esempio memorabile di probità di questa armata cattolica e di sue sante intenzioni.
Ma per tornare sul filo è da osservarsi, come il corpo della Courbe accampato nelle pianure di Colico fu anch'esso contemporaneamente a quello di Dongo molestato da un'orda di insorgenti sbucati dalle gole della Valsassina e accresciuta coll'addizione di quei della Riviera di Lecco, parte volontarj e parte forzati, che si calcolò al numero pressocché di 5000. Un esito eguale alla nostra ebbe pur questa. Il nemico se ne stette fermo nelle sue posizioni, ne' di là se ne allontanò, se non quando gli si aprì l'adito della ritirata.
La Courbe finalmente prese la via di Chiavenna e colla forza si aprì il passo dell'elvezia. Avendo però trovate sull'armi le terre d'Isola e di Campo Dolcino, fu a quelle miserabili popolazioni fatale una tal visita, perché si videro abbandonate al furor militare col sacco, coll'incendio e colla strage.
1799. Appena evaquata questa Provincia dalle truppe Francesi cominciarono a sfilare gl'Austro-Russi, de' quali molte migliaia se ne videro solcare il lago nel giorno 7. di maggio, la sera del qual dì si diedero anche molti segnali di fuoco e campana a martello sul timore che il nemico non volgesse indietro i passi, o piuttosto per segno di festa ai nuovi padroni. Non fu mai veduta tanta truppa nelle Tre Pievi, e in Dongo in ispecie, quanta ne' giorni 29. e 30. maggio detto, perché la si calcolò a 18000. tra fanteria e cavalleria allemanna. Comandata dal Gente. Bellegarde staccata dall'armata del Principe Carlo per rinforzarne quella de' coalizzati d'Italia; il giorno 30. passarono di qui i Generali Laudon e Nobili.
1800. Nel corso di 13. mesi in cui gl'Austriaci occuparono la Lombardia, fuori dal summentovato passaggio nulla d'importante avvenne qui. Le nuove scene militari ricominciarono tra noi soltanto la sera dei 2. giugno 1800. in cui comparve d'improvviso un distaccamento Francese di circa 50. uomini staccato dal corpo accampato nella pianura di Bellinzona, dove il giorno 30. maggio vi fu un combattimento al Ponte della Moesa colla perdita di 108. di questi, e pochi della parte degli Imperiali. Se ne vennero costoro per la via di S. Iorio il numero di presso a 400. essendosi il restante diviso nelle altre Pievi; ne' se ne rimasero tra noi, se non fino alla mattina del giorno seguente. Di queste visite n'ebbimo non poche nel decorso dell'anno fino al seguente ora più lunghe, ora più corte. Non fummo i soli, a vero dire; perché il Governo Francese avendo per massima di tenere la truppa esercitata, ad ogni momento la faceva cangiar di quartiere con marce e contromarce, come se fosse sul campo di battaglia; ond'è che si vedevano quì di ritorno què medesimi, che qualche mese prima erano già stati nostri ospiti, e lo stesso toccava ad altre terre. La nostra situazione però sembrava ben lontana dall'ammettere tali depositi. Posto è Dongo in fondo ad un seno del lago che la natura non invita l'approdarvi se non in caso di urgenza, essendo Domaso il corso diritto de' navigli che ascendono o discendono da queste acque. Di tali visite però ne siam in gran parte debitori ai Briganti, i quali anche dopo il reingresso de' Francesi furono assai molesti al vicinato, e se non colla forza si poté ridurli alle leggi del dovere. Il timore che il di costoro cattivo esempio non ispargesse nuovi semi di insurrezione, portò che si vedessero più Comuni aggravate di truppa, dove non v'era ombra di timore. E questo fu il frutto raccolto da questi forsennati attruppamenti.
Il Governo austriaco da essi cotanto favorito non li favorì certamente, perché li lasciò in abbandono, e ne punì i rei a norma dei delitti di cui venivano accusati. In questo fu commendabile la di lui condotta; e col dimostrare che niun conto faceva de' loro servizi, provava altresì quanto sien pericolosi siffatti attruppamenti sotto qualunque regime; immeritevoli quindi della sovrana protezione e degni solo della comune esecrazione.
Note
- ↑ parola illeggibile