Giuseppe Gioachino Belli

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La bbellezza Er zor Giuvanni Dàvide
Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti del 1834

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LA GOLACCIA1

     Quann’io vedo la ggente de sto Monno,
Che ppiù ammucchia tesori e ppiù ss’ingrassa,
Più2 ha ffame de ricchezze, e vvò una cassa
Compaggna ar mare, che nun abbi fonno,

     Dico: oh mmandra de scechi,3 ammassa, ammassa,
Sturba li ggiorni tui, pèrdesce4 er zonno,5
Trafica, impiccia: eppoi? Viè ssiggnor Nonno
Cor farcione6 e tte stronca la matassa.7

     La morte sta anniscosta8 in ne l’orloggi;
E ggnisuno pò ddì:9 ddomani ancora
Sentirò bbatte10 er mezzoggiorno d’oggi.

     Cosa fa er pellegrino poverello
Ne l’intraprenne11 un viaggio de quarc’ora?
Porta un pezzo de pane, e abbasta quello.

27 ottobre 1834

Note

  1. L’avidità.
  2. Che, quanto più ammucchia tesori e s’ingrassa, tanto più, ecc.
  3. Ciechi.
  4. Pèrdici.
  5. Il sonno.
  6. Col falcione.
  7. Tutti i progetti, i disegni, ecc.
  8. Nascosta.
  9. Nessuno può dire.
  10. Battere.
  11. Nell’intraprendere.