La gente di spirito/Atto secondo/Scena prima
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Giuseppe Giacosa - La gente di spirito (1872)
Atto secondo - Scena seconda | ► |
Ernesto, Carlo, Fausto, Federico, Matteo.
- Carlo
- Alla buon'ora, ritrovo Ernesto.
- Ernesto
- Sapete perché Agamennone non si è chiamato piuttosto Pantaleone, ed Epaminonda non si è chiamato Felicino? C'è tutta una teoria filosofica nei nomi che ci sono imposti a casaccio. Guardate che senno profondo nella madre di Matteo, a chiamarlo così! Era ancora un bambino che non dava maggiori indizi di imbecillità di quanti ne dessimo noi, e si chiamava già Matteo. Chissà per quale influenza previtale questo ometto qui doveva chiamarsi Matteo per tutta la vita, e meritarsi quel nome. Sei contento tu di te stesso, non è vero?
- Matteo
- Eh! Eh! Eh!
- Ernesto
- Ve lo dico, io? Ci dev'essere un destino al di sopra del caso. Io, per esempio, a digiuno, sono di malumore perché mi sento stupido come una pagnotta. Dopo mangiato, ho più spirito che non tutti voialtri messi in fascio... perché? Voialtri me ne sapreste dire le cause immediate; ma chi mi sa dire perché a quelle cause soggiaccio io, piuttosto che un altro qualunque? Destino... Campioni.
- Fausto
- Oh! non toccarlo, Campioni... c'è qui il cavaliere...
- Carlo
- Io! Che me ne fa a me?
- Federico
- Se fosse sua moglie... pazienza.
- Fausto
- Appunto perché della moglie...
- Ernesto
- To', to', to', una rivelazione. Faresti la torte alla signora Eugenia... tu?
- Federico
- Eh!
- Ernesto
- Via!
- Federico
- Come: via!
- Fausto
- La signora Eugenia è una donna di garbo.
- Ernesto
- Possibile!
- Fausto
- Passabile...
- Federico
- Passibile...
- Ernesto
- Passata. (Tutti ridono). Che talentoni! Che ne dici, Matteo?
- Matteo
- Io dico che la signora Eugenia... è una signora... molto.
- Ernesto
gli mette una mano sulla spalla.
- Brav'uomo. (A Carlo). Dunque tu fai la corte alla Campiona?... Perché?
- Federico
- Oh bella! Perché l'amore...
- Ernesto
- È cieco.
- Carlo
- Uh! chi ha mai pensato a corteggiare quella signora?
- Ernesto
- Tu... a quanto dicono i tuoi amici.
- Carlo
- Sono male lingue.
- Fausto
- Taci là.
- Federico
- Ci sei sempre attorno...
- Ernesto
- Che volete? Non la posso credere.
- Federico
- Ma perché?
- Carlo
- Ernesto ha ragione, sono troppo amico col marito per...
- Ernesto
- Tu sei amico di Campioni?
- Carlo
- Sì.
- Ernesto
- Dimmelo... guardandomi negli occhi e senza ridere.
- Carlo
- Oh bella!
- Ernesto
- Amo meglio credere che tu corteggi la moglie.
- Federico
- Diamine! È chiara.
- Fausto
- È anzi per questo che è amico del marito.
- Federico
- E che lo difende.
- Fausto
- In compenso delle offese...
- Carlo
- Zitti là... in simili argomenti, non si spinge lo scherzo tanto oltre. Quando anche fosse vero che... cosa che io contesto assolutamente...
- Fausto
- Ah!
- Federico
- Ammette.
- Ernesto
- Ci dev'essere qualche mistero lì sotto... Hai troppa voglia di dar credito a questi visionarii... e trattandosi della signora Eugenia, non lo puoi fare per vanità.
- Carlo
- Finora, non ottenni però nessun convegno sugli scogli.
- Ernesto
- Non capisco.
- Carlo
- Quanta politica!
- Ernesto
- E tu invece cammini così alla buona!
- Carlo
- Proprio... e quando faccio qualche cosa, non ci penso tanto su.
- Ernesto
- No, ci pensi prima di farla... ma ci pensi schietto...
- Carlo
- Come sei sottile!
- Ernesto
- Farò compenso colla tua doppiezza.
- Carlo
- Hai la parola molto facile e lo scherzo molto confidente.
- Ernesto
- Ma null'altro che lo scherzo, di confidente, con te, contaci su.
- Carlo
- Ernesto!
- Ernesto
- Ah, ah, che tono! Ernesto! Quasi non lo sapeste tutti che sono fatto così. Ho un umore a sfitte... come il mal di denti. Ecco, m'è passata.
- Carlo
- Mi farai cosa grata se il tuo umore lo sfogherai altrimenti che su di me.
- Ernesto
- Ti ho dunque scorticata meglio che l'epidermide, se te ne risenti ancora... tu che l'hai tanto cornea cogli uomini come me! Convien dire che io abbia, senza saperlo, toccato in qualche segno occulto e che ti abbia messo paura. In fede mia, se mi immaginavo di essere riuscito tanto profondo! Ritornerò sulle mie parole a meditarci, per vedere in quale trama delle tue abbiano potuto incappare. Oh badate che la sfitta ritorna, e che tanto ero allegro e ben disposto ora fanno cinque minuti, altrettanto sono fegatoso adesso... e lo sono con tutti. Badate che l'umor nero mi fa dare in verità così crude, da mordere come l'acqua regia.
- Fausto
- È con me che l'hai?
- Ernesto
ricomponendosi.
- No... è con Matteo.
- Matteo
spaventato.
- Con me?!
Tutti ridono.
- Carlo
a Ernesto.
- Ti chieggo perdono... mi sono sfuggite certe parole...
- Ernesto
fra sé.
- È a lui che sono sfuggite...
- Carlo
- Che ti prego di non volere...
- Ernesto
- Figurati... io non le ricordo più.
- Carlo
- Grazie.
- Fausto
- Torniamo alla filosofia dei nomi?
- Ernesto
- No... non mi ci sento.
- Federico
- Qualcheduno di voialtri sa dirmi che cosa rumini papà Campioni?
- Fausto
- Perché?
- Federico
- Appena finita la colazione, lo sentii borbottare dei numeri uno dopo l'altro. Pareva la Tavola Pitagorica che facesse un soliloquio.
- Fausto
- Tirerà i conti della dote per la figliuola.
- Matteo
- E dev'esser bella!
- Federico
- Sicuro che dev'esser bella! Gli contano due milioni.
- Fausto
- Ecco il frutto dell'operosità onesta.
- Ernesto
- Intorno all'onestà di Campioni non ho inteso dire nulla mai.
- Fausto
- Lo credo io!... che volevi che se ne dicesse! Una cosa che non esiste.
- Carlo
- Possibile che non sappiam parlar d'altro che di lui o de' suoi!
- Fausto
a Ernesto.
- Vedete... gli secca.
- Ernesto
- E tu smetti... Scendiamo in giardino?
- Fausto
- Sì.
- Carlo
sommesso a Federico.
- Cosa ti salta di trar fuori le cifre?
- Federico
- Ma...
- Carlo
forte.
- Vengo con voi.