XII. Dai Martinelli

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XI XIII


Si ballava in casa Martinelli, come spesso accadeva il sabato sera. Benchè poveri, i due amanti erano allegri, espansivi e si divertivano volentieri.

Dopo tutto, questi ballonzoli non portavano seco spese eccessive. Ogni intervenuto metteva fuori due lire, e questo denaro riunito serviva a pagare il nolo dell’organetto a manovella, il petrolio per l’illuminazione, qualche fiasco di chianti e le acque dolci per le signore, le quali non pagavano.

Sofia, che fungeva da cassiere, riusciva a fare delle economie destinate a un bel pranzetto in comune, all’Isola Bella o ai Promessi Sposi.

La società, non molto numerosa, si componeva di alcuni artisti, un po’ scapigliati, di impiegatucci e di due operai: il tipografo Cesare Francinetti e il muratore Bitossi.

Da prima quest’ultimo si era tenuto in disparte, temendo di essere un intruso. Ma il Martinelli insistette, e Francesco dovette cedere. Gli artisti lo trovarono simpaticissimo, sopratutto perchè era intelligente e aveva un tatto squisito che lo teneva ugualmente lontano dalla timidezza imbarazzata e goffa di certi operai all’antica, e dalla petulanza noiosa di alcuni operai modernissimi.

Bitossi ballava con Luisina.

- Cos’hai stasera che sei tanto preoccupato?

Egli ebbe una scossa e la sua fronte si oscurò, poi, dominandosi, rispose:

- T’inganni... Sono come sempre.

-... Non mi dici la verità!

-... Sì.

- No!... E con un soffio di voce gli sussurrò:

- Hai visto lui?

- Il vinaio? Oh! no.

- Allora è il capomastro che ti tormenta.

Bitossi voltò la testa come se non avesse inteso e poichè il Castellini incalzava il tempo del ballabile egli non parlò più, lasciandosi trasportare da quella vertigine della danza.

Quando la musica tacque e le coppie si fermarono, il rumore di una lite giunse fin nella sala. Eran grida selvaggie, sbattacchiamenti di porte e di zoccoli. Qualcuno uscì a vedere. Le solite!... La donna gialla e Cesira Bellincioni. Si picchiavano gridandosi sulla faccia tutti i titoli del vocabolario piazzaiuolo.

- Ecco! - esclamò Martinelli baciando Sofia. - Quelle due si picchiano come noi ci si bacia.

Qualcuno raccontò che dopo la scena dei polli la Cesira, in collera con tutte le donne della casa, aveva giurato di vendicarsi. Una vendetta coi fiocchi. Porterebbe via gli amanti a tutte... almeno per un giorno!

E aveva cominciato subito, dal ganzo della Civardi. Perciò si picchiavano.

- Caspita! - gridò il Castellini - è di buona bocca!...

Tutti risero.

- Andiamo, andiamo. Balliamo! - ripeteva la bella moglie statuaria del giovine scultore. Lei voleva ballare e si seccava di veder perdere il tempo per quelle cosacce.

Questa volta il manubrio toccava per turno a Martinelli. Egli si mise a girarlo con straordinaria vigoria. Il registro dello strumento segnava un galoppo.

Tutti si slanciarono.

- Sono stanca! - sospirò Luisina dopo alcuni giri. - Mettiamoci a sedere qui presso a questa Eva.

Tacquero un istante, poi ella riprese:

- Dunque non me lo dici?

- Che cosa devo dirti?

- Perchè sei tanto diverso... tanto abbattuto questa sera?...

Egli non rispose. Guardava dall’altra parte, tra il fascio delle armi artisticamente disposte sul panno rosso, quella rivoltella di piccola forma che Martinelli teneva sempre carica. Se l’avesse avuta con sè alcune ore innanzi, quella canaglia di un capomastro non respirerebbe più!

Ebbe un fremito in tutto il corpo.

- Oh, Dio! Francesco! Che hai? Ti senti male?

- Mi duole un po’ la testa. Non è nulla, sta tranquilla.

- Vuoi che andiamo di sopra?

- No...

Dopo alcuni istanti ella tornò a interrogarlo.

- Hai avuto qualche dispiacere... alla fabbrica?

- Oh, niente di particolare. Sai bene, si prepara lo sciopero e il sor capomastro, che è in sospetto, vorrebbe che gli facessi la spia.

- Vigliacco!... È capace di tutto... Ti farà del male.

- Cosa deve farmi?

Ella si guardò intorno, poi, facendoglisi più vicina, gli disse a bassissima voce:

- La Questura!...

Egli impallidì.

- La Questura non può farmi niente; io non me ne immischio. Soltanto non voglio fare la spia.

- Che cosa importa la tua innocenza, se il Piloni ti accusa? Crederanno a lui e non a te.

Luisina aveva appena pronunciate queste parole con la gola stretta dai singhiozzi e gli occhi umidi di pianto, allorchè un nuovo rumore esterno attirò la sua attenzione. Era uno strisciar di passi e un bisbiglio di voci sommesse.

-... La portinaia... Un signore... Ho sentito il tuo nome!... Oh, Francesco!...

Una mano delicata picchiò all’uscio dello stanzone e una voce, dall’accento spiccatamente napoletano, domandò:

- È permesso?

- Avanti! - gridò il Martinelli.

L’uscio fu aperto e un giovine signore di bella presenza, la redingotta nera abbottonata fino al collo, il cilindro in mano, entrò salutando con buon garbo.

Dall’apertura dell’uscio, Martinelli e parecchi altri scorsero la faccia spaurita del Colombo, i cheppì e i bottoni luccicanti di alcuni questurini.

Alquanto allarmato, il padrone di casa si fece avanti per chiedere di che si trattava.

L’altro cominciò:

- Sono dolente, non posso dire quanto, di entrare a questo modo in una società tanto simpatica. Conosco e amo la vita artistica... posso dirmi artista anch’io... poeta; ma il dovere, loro sanno benissimo, signori, il dovere s’impone alla nostra volontà. Vogliano perdonarmi, specialmente le signore... - E volse un’occhiata in giro sulle donne, che tremavano, e vide Luisina quasi svenuta tra le braccia di Francesco. - Chiedo mille scuse, è in nome del dovere... - e abbassando la voce, scivolando sulle parole: - In nome della legge...

- Prego, prego, - fece il Martinelli, tagliando corto, incapace di reprimere il proprio malumore; - faccia quello che deve fare e non si dia pensiero di altro. Sappiamo bene cos’è la legge. Soltanto non sappiamo di che si tratta.

- Si tratta, - rispose il delegato poeta, cambiando tono e lanciando rapide occhiate dalla parte di Luisina, - si tratta di un operaio, certo Francesco Bitossi...

Un grido straziante di donna interruppe il delegato. Costui, che certo attendeva quel grido, si trovò in un baleno tra Luisina e Francesco.

- È lei il Bitossi?

- Sì, signore.

- Va bene; mi favorisca la chiave della sua camera. Poi, chinandosi sulla giovine, mormorò dolcemente:

- Non s’inquieti, è una cosa da nulla: una semplice perquisizione... e un interrogatorio. Pure formalità.

-... Ecco la chiave.

- Bene, grazie. Ora abbia la compiacenza di lasciarsi accompagnare da questi due giovinotti; la tratteranno con tutti i riguardi...

- Oh! con le guardie! - gridò Luisina. - In prigione!

- No, signora; semplicemente in Questura.

- Ma se non ha fatto niente!...

- Tanto meglio. Ritornerà subito. Stiano tranquilli, è una semplice formalità.

Salutò con la stessa cortesia, e nell’uscire fece cenno alle guardie di adoperare le manette al minimo atto di ribellione.

Bitossi salutò gli amici; raccomandò la sua povera fidanzata alle cure di Sofia e andò a mettersi spontaneamente tra i due questurini, domando la collera con tutta l’energia della sua volontà.

Il delegato, accompagnato dalla Colombo e da altre due guardie, salì al secondo piano per fare la perquisizione.