La fabbrica/IV
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La sora Rosa veniva col pretesto di visitare sua nipote, la Cesira Bellincioni, che abitava sulla stessa ringhiera della Terragni, l’ultima camera in fondo. Luisina pensò di aspettare la vecchia alla finestra. Poi si pentì. Era meglio che la sua mamma non assistesse a quel dialogo. Prese la roba stirata del pizzicagnolo, che pagava subito, la mise nella cesta lunga e uscì con la cesta sotto il braccio, dicendo alla malata che andava a portare quella roba, e poi dal farmacista a prendere il chinino.
Allo sbocco della scala la ringhiera aveva ad ogni piano uno sporto maggiore che formava come una terrazza, dove i ragazzi del vicinato si balloccavano e le donne tenevano i loro conciliaboli nelle sere di estate. Luisina si fermò là, aspettando che la vecchia salisse, fingendo di mettere in ordine la sua biancheria buttata nella cesta un po’ alla rinfusa.
La sora Rosa saliva lentamente, ma con passo fermo. Quando fu sull’ultima scala si arrestò un momento, come per rifiatare, e una specie di sorriso le increspò le guancie e le labbra con una quantità di rughe sottilissime che non apparivano allorchè il viso conservava la sua abituale espressione dura e impassibile. La sua testa schiacciata, di serpe, coperta da un piccolo velo di sotto al quale si vedevano i capelli grigi, radi, appuntati a cestino, si chinò lievemente a un cenno di saluto, poi si rialzò con una tal quale imponenza. Ella aveva negli occhi - che teneva abitualmente bassi come "poveretta" e come pinzocchera - uno scintillamento di malizia e di vecchia lussuria, che, scoperta così all’impensata, faceva senso in quel corpo senza carne, apparentemente senza sesso.
Luisina notò quel bagliore di malaugurio, e si sentì gelare.
- Oh, buona sera, cara sora Luisina - mormorò la vecchia ammiccando. - Ho una buona notizia.
La stiratrice sussultò
- Dice davvero? Mi par quasi impossibile?
- Certo; una buona notizia... S’intende purchè lei abbia giudizio e non faccia la caparbia..
- Oh! sora Rosa...
- L’ho visto stamattina, e ho potuto parlargli dopo la novena...
- Ebbene?...
- Ebbene, figliuola, gli ho raccontato della sua mamma inferma da tanto tempo, dei debiti... e del padron di casa che vuole essere rimborsato anche degli arretrati.
- E lui?...
- E lui, da quel brav’uomo che gli è, mi ha detto che l’avrebbe aiutata... sicuro... pagati gli arretrati della pigione ed anche il semestre nuovo... Non basta! le avrebbe dato dugento lire per saldare il debito del farmacista e gli altri debitucci, e per rimpannucciarsi un pochetto... Non basta ancora!... Siccome lui ha molta influenza, le avrebbe anche procurato un libretto di Santa Corona... Purchè...
La vecchia esitò.
Un pallore mortale rendeva marmoreo il volto della stiratrice. Il cuore le diceva che stava per udire un’infamia; e lei, che pure aveva dovuto abituarsi a sentirne d’ogni colore e imparato a ridere anche quando avrebbe avuto voglia di piangere, lei non poteva questa volta frenare l’angoscia di quell’aspettazione.
Il cuore le batteva tanto forte che a stento fiatava.
-... purchè?... - balbettò senza voce -.
- purchè... Ecco: lei sa bene che il signor Zibardi non è più quel semplice mercante di vino alla buona da lei conosciuto anni addietro... Egli è ora un uomo di una certa importanza, un negoziante in grande... con grandi interessi e impegni seri... che noi povere donne non possiamo neppur capire. Dunque, in giornata, un uomo come lui fa naturalmente molti invidiosi; ha dei nemici tanti, specie tra quei frammassoni, gente nemica di Dio e dei buoni cristiani, e tra quelli che fabbricano i Pungoli, o i Secoli... che so io... e mettono dentro tante calunnie... Orrori, figliuola mia!...
La vecchia si fece il segno della croce, tutta compunta.
- Ma, sora Rosa, scusi... non capisco cosa c'entri...
- Aspetti, aspetti, ora ci arrivo. Ho parlato di calunnie? Bene! Quella gente va a cercar da per tutto, e le bugie le fanno passare per verità... Dunque mi spiego... Non che il signor Angelo abbia paura di quella gente; sa troppo bene come sta; ma sempre per le calunnie che si stampano e per gli interessi di tante persone che contano sopra di lui... non solo per interessi di denaro... bisognerebbe dunque che lei gli restituisse quella carta di Santa Caterina... sa bene... quella ricevuta che lei si è fatta dare dalla levatrice, come una minaccia contro il sor Angiolo... e il segno corrispondente a quello messo nella fascia al bambino, una mezza immagine dell’Angelo Gabriele, se non sbaglio...
- Lui?... lui.., vuole questo?!... - gridò la giovine con la voce soffocata, spiccicando a stento le parole. - Ah! cane! - urlò singhiozzando.
- Bè!... non gridi così, potrebbero sentirci. Ci sono tante pettegole in questo vicinato!...
Con la voce strozzata dalla collera e dalla violenza della commozione, la stiratrice ribattè:
- Meglio se ci sentono!... Infami!... Assassini!...
Ma i singhiozzi tornavano a soffocarla; dovette tacere e lasciar parlare quell’altra.
- Scusi... scusi... - ripigliava la vecchia con la mellifluità falsa delle beghine; - non è il caso di scaldarsi in questa maniera. Il sor Angiolo non vuole mica rubarle il figliuolo, che si crede? Forse non mi sono spiegata bene. Senta: lui vuole soltanto avere in mano quelle carte, per sicurezza di tutti; perchè lei potrebbe perderle o gliele potrebbero rubare... si sa, noialtre non abbiamo gli scrigni chiusi a macchina come li hanno i signori... noialtre teniamo ogni cosa all’aria, e un birbone che vuol far del male a una persona, fa presto a mettere le mani su quello che gli occorre.
Luisina che aveva deposta la sua cesta in terra, e rimaneva lì come morta, addossata al muro, la faccia nascosta nelle mani, sentì la collera e l’indignazione vincere il suo dolore, e scattò nuovamente:
- Basta, sora Rosa! Basta, per Dio!... O faccio uno sproposito!...
- Eh! Eh!... Che c’entro, io, superbiosa? La si ricordi che lei mi ha pregata di mettermi di mezzo per amore della sua mamma che schiatta di miseria! Quando siamo povere non si deve avere tanti fumi...
Luisina fece uno sforzo, che le parve enorme, per rispondere con una relativa calma.
- Non sono superba, io, sora Rosa... Capisco sì, capisco cosa vuol dire essere nella miseria... Ma si tratta della mia creatura... mi pare che se restituissi quei contrassegni, non la rivedrei più... e sarebbe come se l’avessi ammazzato quel povero piccino!... Ammazzato con le mie mani... Oh!... Non posso, sora Rosa, non posso!... Dica pure al signor Zibardi che su questo punto non cederò mai... mai... è impossibile!...
E tornò a piangere e a singhiozzare. La vecchia capì che quello non era il momento di insistere. S’accontentò quindi di ripetere sommessamente:
- Si calmi... si calmi... Ha tempo a pensarci!
E s’allontanò avviandosi verso la camera della nipote, a piccoli passi affrettati, dimenando un po’ il capo.
Nella casa, all’infuori della donna gialla, nessuno aveva badato a questo colloquio. Continuava il chiasso, il vociare, il cantare, del sabato sera.