La causalità come struttura grammaticale nell'ultimo Wittgenstein/1. Introduzione
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2. Perché la causalità è un problema: Hume | ► |
Il problema della causalità riguarda la legittimità della connessione che viene trovata o stabilita tra due oggetti quando si dice che sono uno la causa e l'altro l'effetto. Le proprietà di questo nesso, e soprattutto la giustificazione dei meccanismi della sua costruzione e applicazione, sono al centro di una questione filosofica complessa e importante: appena la cosa viene guardata criticamente, infatti, non risulta per nulla ovvio come si possa dire, dati due fenomeni tra cui l'esperienza suggerisce un collegamento, se e che esso è necessario; non si capisce esattamente quale sia il fondamento della pretesa che niente avvenga mai senza causa, poiché una generalizzazione così spinta non trova né può trovare alcuna conferma nell'osservazione; e ancor meno è immediata un'eventuale giustificazione in astratto di questa stessa generalizzazione, tentando la quale si tende a cadere in vertiginose circolarità.
Si tratta di una questione che, con la sua natura epistemologica, interessa da vicino la filosofia della scienza, ma che in effetti, costituendo un problema gnoseologico cardinale che investe il linguaggio, l'esperienza e i loro reciproci rapporti è estremamente delicata anche per la filosofia teoretica; e che, tanto sono pervasivamente radicate le nozioni di causa ed effetto nel vocabolario dell'uso comune, ha implicazioni che potrebbero essere estese fino al campo della filosofia morale.
Anche se in questo saggio verranno presi in considerazione solo alcuni di tali punti di vista, e principalmente quelli che concernono la causalità come questione conoscitiva, la criticità della relazione causa-effetto ha l'aspetto di un problema filosofico paradigmatico. Il trarre una legge dal dato sperimentale, il generalizzare osservazioni particolari e lo stesso dire a parole l'esperienza sono altrettanti gesti filosofici in qualche modo fondamentali, il cui effettivo funzionamento sarebbe filosoficamente opportuno chiarificare e il fondamento dei quali stessi merita un'approfondita indagine. Nella messa in discussione della causalità tutti questi problemi trovano un loro caso particolare, quasi una loro applicazione concreta, ma molto pregnante e in questo senso paradigmatica. E il tentativo di risolvere la questione della causalità è un esercizio che prepara la strada a una soluzione più generale di problemi più generali, esemplificandola.
Nelle pagine che seguono tratterò prima di tutto, con valore introduttivo, l'elaborazione di Hume degli argomenti che mettono in luce la criticità della relazione di causa ed effetto nel Trattato sulla natura umana e nell'Estratto del Tratto sulla natura umana; ma anche, anticipando alcuni sviluppi dei capitoli successivi, la sua risposta naturalista allo scetticismo.
Quindi esaminerò la soluzione del problema della causalità proposta da Kant nei Prolegomeni ad ogni futura metafisica che potrà presentarsi come scienza; la quale si basava sull'introduzione di una nozione di conoscenza riconducibile all'organizzazione da parte dell'intelletto del materiale messo a disposizione dalla sensibilità, in un modo tale però per cui i concetti puri dell'intelletto non si innestano sulle intuizioni pure della sensibilità come se vi fosse tra essi un'originaria opposizione, bensì come se al suo posto si avesse un'originaria, trascendentale, correlazione; e tratterò di una metafora significativa, dotata inoltre di un potenziale di sviluppo la cui ampiezza si manifesterà pienamente di lì a poco, con cui l'autore suggeriva come il sistema delle categorie, che include la causalità, possa essere caratterizzato come una grammatica dell'esperienza.
Passando quindi a Wittgenstein, studierò la distinzione che egli operava, principalmente in Della certezza, tra proposizioni logiche e proposizioni empiriche, esplicitando e differenziando le condizioni a cui una proposizione è certa (ed è al di là di ogni dubbio possibile) e le condizioni a cui una proposizione è fondata (e si può dunque parlare di conoscenza). L'analisi metterà capo a una considerazione del linguaggio come lo spazio ingiustificato all'interno del quale solo sono possibili giustificazioni e delle sue strutture come, di nuovo, una grammatica dell'esperienza.
Infine, sfruttando il quadro teorico di Della certezza, mi concentrerò sulla soluzione al problema specifico della causalità che Wittgenstein elaborò in Causa ed effetto: la quale si basava sulla qualificazione delle categorie di causa ed effetto come strutture grammaticali grazie alle quali – nel gioco linguistico che noi abitualmente giochiamo – diamo forma alla nostra esperienza.
Attraverso tutto questo lavoro vorrei mostrare come, leggendo le teorie di Hume, Kant e Wittgenstein alla luce l'una delle altre (senza voler forzare l'identificazione di convergenze teoriche o influenze storiche laddove esse sono inesistenti, o quasi impercettibili, o comunque indimostrabili, ma solo avvalendosi di diversi punti di vista, simili o viceversa complementari, che possono favorire una migliore soluzione dello stesso problema) si può pervenire a una risposta alla domanda circa la natura e la legittimità delle nozioni di causa ed effetto che è allo stesso tempo una buona base per una teoria generale dell'esperienza e del linguaggio, cioè della conoscenza. E questa risposta in estrema sintesi consisterebbe nel caratterizzare la causalità come uno di molti schemi linguistici, originariamente radicati nella nostra esperienza nella misura in cui la significatività e, appunto, schematicità di questa non può spiegarsi se non presupponendoli, da cui dipende logicamente la forma del nostro mondo in quanto esso è conoscibile; dove poi il linguaggio del quale queste strutture, di cui la causalità è un esempio particolare ma paradigmatico, fanno parte è un terreno fondante ma (anzi, perciò) infondato, cioè un sistema complesso suscettibile di essere chiarificato dall'interno, ma di cui una cui giustificazione filosofica sulla base di qualcosa che sia ad esso esterno è impossibile, e d'altra parte né necessaria né opportuna.