La botte di sidro/Due amici si amavano

Due amici si amavano

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Octave Mirbeau - La botte di sidro (1919)
Traduzione dal francese di Anonimo (1920)
Due amici si amavano
Le bocche inutili Il tamburo


La storia morale di Anastasio Gaudon e di Isidoro Fleury può scriversi in due righe.

Impiegati nello stesso ministero, essi avevano vissuto vicini l’uno all’alitro per trentacinque anni senza passioni, senza idee, senza crucci, di una stessa esistenza puntuale, apatica e letargica.

Quello ch’essi avevano potuto avere di giovanile, una volta, era ben presto scomparso nel profondo sonnechiamento dell’ufficio. La parità dei loro gusti innocenti, del loro lavoro meccanico, del loro nulla, li aveva legati insieme in una consuetudine vegetativa più forte di un’amicizia ragionata. Della vita che si agitava intorno a loro, essi non avevano visto mai nulla, non mai sentito e capito nulla. Incapaci d’immaginare qualche cosa all’infuori di se stessi, si attenevano ad alcuni precetti correnti di morale e d’onore, che nella loro mente costituiva tutta la scienza e lo scopo della vita umana. Non mai il sogno di « qualcos’altro » era penetrato nei loro cervelli, regolati come orologi dello Stato.

Una sola cosa li turbava nella loro costante quietudine : un cambiamento di ministero. E le impressioni indecise che ne ricevevano, non erano neppure il risultato dell’avvenimento diretto, piuttosto dell’influenza eccitatrice dell’ambiente.

Per qualche giorno essi erano inquieti : il loro polso batteva più rapido ; si elevavano fino alla commozione vaga d’un congedo o di un avanzamento. Ma nominato il nuovo ministro e tornata la calma negli uffici, essi riprendevano presto la loro vita regolare e neutra di larve addormentate. Le abittudini sedentarie, l’indigesta nutrizione di latteria, aggiunte alla depressione cerebrale, che giorno per giorno andava in loro accentuandosi, li avevano preservati dai pericoli spirituali come dai bisogni fisici dell’amore.

Tre o quattro volte, dopo certi banchetti d’onore, essi erano stati trascinati in case di cattiva fama, e ne erano usciti malcontenti, più tristi e derubati.

— Ah ! tante grazie ! — diceva il signor Anastasio Gaudon — pel piacere che se ne ricava, mi par che costi caro !

— Bisogna essere bestie — opinava il signor Isidoro Fleury — per buttare il danaro in questo modo !

— Ma che ci si trova di bello ! — lamentava amaramente il signor Anastasio Gaudon.

E il signor Isidoro Fleury dichiarava, non senza disgusto :

— Quando penso che ci son degli uomini che non fanno che questo, tutti i giorni... e che si rovinano proprio per questo... mi pare incredibile !

Per parecchie settimane, dopo queste fastidiose avventure, essi pensavano al migliore e più proficuo impiego che avrebbero potuto fare del loro denaro e lo rimpiangevano.

Non ci fu altra specie d’incidenti nella loro vita. Ma via via che avanzarono negli anni, nuove immagini occuparono il deserto così vasto e così vuoto dei loro cervelli. Dei sogni di riposo, di campagne remote, dapprima imprecisi, si insinuarono in essi. Poi, a poco a poco, si precisarono meglio. Il signor Anastasio Gaudon si vedeva in maniche di camicia, in un giardino. Vedeva dei vasi di fiori, una casettina bianca, un leprottino che ballava, davanti a lui, sulle zampette gracili. La sua intelligenza si arricchiva di mille nozioni, di mille forme, alle quali egli non aveva mai pensato fino allora.

Il signor Isidoro Fleury, invece, amava seguire delle fantasticherie nelle quali si rivedeva sotto un grande cappello di paglia, vestito di tela e seduto sotto i salici, fra i nenufari, mentre distingueva nettamente un sughero rosso, in cima al filo d’una lenza, andarsene alla deriva nelle acque profonde, con enormi pesci, attorniati di padelle da friggere.


Il signor Anastasio Gaudon fu il primo ad andarsene in pensione. Egli acquistò presso Bezons un piccolo pezzo di terra e vi costruì una casetta. Il signor Isidoro Fleury acquistò il terreno accanto, separato da quello di Gaudon da una semplice stecconata interrotta alla metà da un pozzo in comune.

Una viottola passava all’estremità della stecconata ; poi, a destra e a sinistra, dei campi brulli senza un albero : campi coperti allora di stoppie bruciacchiate, di avanzi di ogni sorta, disseminati qua e là di casette che sembravano giocattoli di bimbi messi su una tavola. In lontananza, sull’angustia del cielo suburbano intorbidato di pesanti vapori, alcune ciminiere di officina innalzavano colonne nere di fumo e l’orizzonte, al di là della pianura tutta abbrunata dalla tristezza taciturna del suburbio, si confondeva con le nuvole color di fuliggine.

Fu il signor Gaudon che, già provato nella edilizia, sorvegliò la costruzione della casa di Fleury.

Questi veniva la domenica.

La comunanza del pozzo forniva ai due amici l’occasione di facezie inesauribili e armoniche.

— Avremo anche una donna a giornata in comune ! — diceva Gaudon. — E avremo anche un cane, in comune.

E pizzicando ai ginocchi l’amico, con gli occhietti più vivi e le guance più accese, esclamava :

— Ah ! pazzerellone d’un Fleury !

Al che Fleury rispondeva, battendogli sulla spalla :

— Ah ! mattacchione d’un Gaudon !


Da due mesi la casa del signer Fleury è costruita. Essa è in tutto simile a quella di Gaudon. I due giardini si rassomigliano anch’essi. Non differiscono che per la scelta dei fiori che li ornano. Al signor Gaudon non piacciono che i geranî ; il signor Fleury preferisce le petunie. Entrambi sono perfettamente felici. Quasi l’intera giornata se la passano seduti sull’orlo del pozzo, non si lasciano mai e pensano a vaghi e reciproci miglioramenti. Solo l’ora del tramonto li separa. Essi hanno una domestica che li soddisfa per la sua pulitezza e per la sua capacità culinaria. Quanto al cane progettato, ne hanno rimandato l’acquisto all’altro anno. Ogni mattina, appena alzati, vanno a sedersi sull’orlo del pozzo.

— Hai dormito bene ? — domanda Gaudon.

— Così, così !... E tu, hai ben dormito ?

— Così, così !...

Poi, il signor Fleury guarda il suo susino : un piccolo fusto spogliato e che già va seccando.

E il signor Gaudon contempla a lungo il suo ciliegio che non ha dato ciliegie.

— Oggi, è venerdì, eh ? — chiede Gaudon.

— Sì... ieri era giovedì...

— E domani, per conseguenza, sarà sabato...

— E pure, come passa il tempo !

— Sì, mio vecchio Fleury !

— Sì, mio vecchio Gaudon !

Le braccia incrociate, gli occhi incantati, essi par che riflettano a cose profonde. In realtà, non pensano a nulla.

Al di là della viottola, la pianura è uniformemente nuda e gialla. La Senna scorre, invisibile, in quel tetro spazio. Nessun filare d’alberi, nessun battello ne rivela il sinuoso corso, perduto fra la monotonìa piatta e rossastra del suolo... Ma essi non vedono neanche questo...

Qualche volta un ricordo del ministero traversa loro la mente, ma è già così lontano, così perduto e deformato ! Di quei trentacinque anni trascorsi laggiù, non resta loro di veramente netto e preciso se non l’immagine imponente dell’usciere con la sua catena d’argento...

— Oh !... bella cosa essere indipendenti ! — mormora di tanto in tanto il signor Gaudon.

— Indipendente !... Sì, sì !... È proprio così !... — risponde il signor Fieury. — Indipendente, in casa propria... In-di-pen-den-te !

E questa parola che ripetono, sillabandola, a larghe pause, mentre di qua si schiudono i geranî e di là le petunie, non ridesta in essi nessun’altra idea corrispondente.

Una sera, dopo il pranzo, il signor Gaudon propose :

— Bisognerebbe pitturare la stecconata !

— Ah ! sì !... Benone !... — risponde il signor Fleury — E come la dipingeremo, la stecconata ?

— In verde !

— No, in bianco !

— A me non piace il bianco...

— E io detesto il verde... Il verde non è un colore...

— Non è un colore il verde ?... E perchè dici che il verde non è un colore ?

— Perchè il verde è brutto.

— Brutto ?... Il verde ?

E il signor Gaudo si alza, commosso, molto rosso e dignitosissimo.

— È un’allusione ?

— Prendila come ti pare.

— Fleury !

— Gaudon !

E, bruscamente, il signor Fleury va sulle furie, gesticolando con molte smorfie :

— Io dico che il verde è brutto... perche ne ho abbastanza delle tue tirannie... Tu hai costruito la mia casa, tu hai disegnato il mio giardino, tu ti immischi sempre delle mie faccende... Ne ho abbastanza delle tue tirannie !...

— Delle mie tirannie ? — urla il signor Gaudon. — ... Ma tu sei una canaglia !...

— E tu sei un imbecille ! Una bestia ! Una bestia !

— Signor Fleury !

— Signer Gaudon !

Tutti e due, faccia a faccia, i pugni alzati, gli occhi furiosi, la bocca fremente, si ingiuriano e si provocano.

— Vi proibisco, signore, di metter mai più il piede in casa mia...

— Se osate di guardarmi in faccia... io... io...


L’indomani, all’alba, il signor Gaudon cominciava ad alzare un muro fra la sua proprietà e quella del signor Fleury... E s’intenteranno lite.