Una giovine Volpe, ma di quelle
che son maestre in ogni furberia,
la prima volta che incontrò per via
il Cavallo, esclamò verso un novizio
Lupo: - Vedessi, oh grande meraviglia!
Un grazioso animale ben formato
vieni a veder che pascola nel prato -.
E il Lupo: - Scusa, amica,
è più forte di noi? tu mi dovresti
a buon conto dipingerne il ritratto.
- Sol ch’io fossi pittor te l’avrei fatto,
per non tardare a te questo piacere,
ma vieni e lo potrai tosto vedere.
Chi sa che anche non sia
un buon boccon che il cielo ne riserba? -
E vanno, e in mezzo all’erba
trovan la bestia.
Un poco stette in dubbio
quando il Caval li vide,
se rimaner od infilar la via,
ché di tal gente non avea diletto.
Ma vien la Volpe e dice: - In cortesia,
il tuo nome qual è? con tuo rispetto
noi siamo servi tuoi.
- Il mio nome? - risponde lor con arte
il mio Cavallo, furbo la sua parte, -
il calzolaio l’ha voluto scrivere
sulla mia suola, e se sapete leggere... -
Ma la Volpe si scusa: - Ahimè! di poveri
parenti son la povera figliuola,
e l’uscio non toccai mai d’una scuola.
Io leggere non so,
ma c’è qui messer Lupo, che di nobile
famiglia scende e legge senz’occhiali,
e questo pregherò -.
Lusingato il buon Lupo a udir cotali
elogi, al piede il muso avvicinò.
Ahi trista vanità!
Pronto il Cavallo un tal calcio gli sferra,
che sanguinoso in terra
coi denti rotti voltolar lo fa.
La Volpe esclama: - Ora bisogna credere,
fratello, a ciò che m’hanno predicato
e che sul muso questo t’ha stampato -.
Il saggio, la sentenza così grida,
di ciò che non conosce non si fida.