Una certa Testuggine un po’ stolta
nella sua tana stanca ormai di vivere
desiderò d’uscire e andare in volta.
Più bello sempre pare e più giocondo
il paese degli altri, e non c’è storpio
che non ami girare per il mondo.
Il suo pensier a certe Anatre un giorno
ell’aperse, che offrirono il servizio,
secondo i patti, di portarla intorno.
- Ti condurrem - dicevano, - attraverso
all’aria immensa fin... fin in America,
regni e gente vedrai, mondo diverso.
E de’ costumi tu farai tesoro
come già fece Ulisse, - (io meraviglio
che citassero Ulisse anche costoro).
Accolse la Testuggine bonaria
il progetto, indi trovano una macchina
per trasportar la pellegrina in aria.
E fu tutta la macchina un bastone
ch’ella in bocca si piglia e stringe, e subito
per ogni punta un’Anatra si pone.
A veder la Testuggine che vola
colla sua casa in spalla in mezzo agli angeli,
resta la gente senza la parola.
Poi - Miracolo! - grida, - olà, correte
la regina a veder delle testuggini
che vola... è dessa? - Sì, non mi vedete? -
dice la stolta e lascia andare il legno.
Avrebbe fatto meglio i denti a stringere
e a non perder quell’unico sostegno.
Per ambizion volle parlare, e giù
a piè de’ riguardanti ancora estatici
rovinò, si spezzò, non fiatò più.
Ciarla, curiosità, vanità pazza,
e stupida albagia, stoltezza, eccetera,
son figlie tutte d’una stessa razza.