La Nascita della Tragedia/Saggio di un'autocritica/II.

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Saggio di un'autocritica - I. Saggio di un'autocritica - III.

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II

Effusione di gioventù.


Ciò che allora mi venne fatto di afferrare, qualcosa di formidabile e di pericoloso, era un problema cornuto, non di necessità addirittura un toro, ma sempre, a ogni modo, un problema nuovo; e oggi sto per dire che era per l’appunto il problema della scienza: della scienza intesa per la prima volta come un fatto problematico, un fatto discutibile. Solo che il volume, nel quale si effondevano la baldanza e l’ombrosità della mia gioventù, qual libro lunatico si sarebbe rivelato, venuto fuori come era da un tema tanto ostico alla giovinezza! Costrutto di esperienze personali della vita manifestamente precoci e troppo verdi, le quali tutte giacevano rigide sulla soglia della comunicativa; collocato sul terreno dell’arte, giacché il problema della scienza non è comprensibile sul terreno della scienza, era forse un libro per artisti dotati di attitudini analitiche e retrospettive (vale a dire una specie di eccezione di artisti, di cui si va in cerca e non si trovano mai), un libro pieno d’innovazioni psicologiche e d’intime singolarità d’artisti, con sullo sfondo una metafisica da artisti; un’opera giovanile riboccante di giovanile ardimento e di giovanile malinconia: indipendente, baldamente libero e franco anche dove sembra inchinarsi a un’autorità e a una sua [p. 5 modifica] particolare devozione: l’opera, in una parola, di un novellino, anche in tutti i sensi non buoni dell’espressione, opera, ad onta del suo solenne e canuto problema, fitta di tutti gli errori della giovinezza, specialmente l’esser «troppo lunga» e lo spirito di Sturm and Drang: d’altronde, considerato il successo che ebbe (particolarmente presso il grande artista Riccardo Wagner, al quale si rivolgeva come a colloquio) un autentico libro, se è vero, come credo, che rispose alle esigenze dei «migliori dei suoi tempi». Per ciò solo inerita che sia considerato con riguardo e discrezione: nulladimeno non mi è dato interamente celare, quanto esso oggi mi appaia poco attrattivo, come mi sembri a me estraneo ora che lo rivedo dopo sedici anni, ora che ricompare davanti ai miei occhi fatti più vecchi, cento volte più sciupati, ma non per questo divenuti affatto più freddi; i quali anzi non sono divenuti punto stranieri al cómpito, a cui questo libro audace si arrischiò la prima volta: quello di considerare la scienza alla visione dell’artista, l’arte alla visione della vita.