La Cortigiana (1525)/Atto terzo/Scena seconda
Questo testo è completo. |
Pietro Aretino - La Cortigiana (1525)
Atto terzo
Scena seconda
Scena seconda
◄ | Atto terzo - Scena prima | Atto terzo - Scena terza | ► |
Rosso e Aloigia.
- Rosso
- Fa’ tu.
- Aloigia
- Credi tu che questa sia la prima?
- Rosso
- Non io!
- Aloigia
- Donque lascia il pensiero a me. Ma questo debbe essere il tuo padrone.
- Rosso
- Quello è esso.
- Aloigia
- Io il cognosco al rincroscicchiare de le mani, a l’alzare del volto al cielo e al porsi or el dito a la bocca or la mano a la guancia, signali de inamorati. Oh, che bestie son questi signori! Sempre si vanno guastando de le principesse, e poi con qualche zambracca si caveno la fame; e anche Dietro Banchi n’ho visti, e poi si vantano d’avere fatto e detto a madonna tale e a la signora cotale.
- Rosso
- Per mia fe’ che ’l credo, e per certo, ché ’l possedere de una gran donna debbe essere una gran fatica.
- Aloigia
- Grandissima; e non ha mai questa ventura se non un famiglio e un fattore di casa, non per altra cagione che la comodità.
- Rosso
- Io son pur felice averle dietro, queste femine, e mi stupisco di quei perdigiornate che a vespri, a messe, a stazzoni, al freddo, al caldo, de dí e de notte le seguitano; e se mai per disgrazia in capo a venti anni hanno la posta, poi che con mille disagi e in luoghi sporchi e pericolosi hai spettato prima quattro ore, un tussire, uno sternuto ti rovina del mondo e svergogni lei e tutto el suo parentado. Or ragioniamo d’Orlando. State cosí un pochetto da parte et io farò l’ufficio col padrone.