La Circe/Dedica
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IL SIGNORE COSIMO DE’ MEDICI,
DUCA DI FIRENZE
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In fra tutte le cose che si ritruovano in questo universo, virtuosissimo e benignissimo Principe, solamente l’uomo par che possa eleggersi per sè stesso uno stato e un fine a modo suo: e, camminando per quel sentiero che maggiormente gli aggrada, guidare piuttosto secondo lo arbitrio de la propria volontà, che secondo la inclinazion de la natura, come più gli piace, liberamente la vita sua. Conciossiacosachè, se si considera diligentemente la natura de le cose, a tutte le specie di quelle sono stati constituiti e assegnati con inviolabil legge da chi è cagion del tutto alcuni termini, fuor de’ quali non è lor lecito il trapassare in modo alcuno; mutando in migliore o peggior sorte quello essere che fu da pricipio concesso loro. Dove in potestà de l’uomo è stato liberamente posto il potersi eleggere quel modo nel quale più gli piace vivere, e quasi come un nuovo Proteo trasformarsi in tutto quello che egli vuole, prendendo, a guisa di camaleonte, il color di tutte quelle cose a le quali egli più si avvicina con l’affetto; e finalmente, farsi o terreno o divino, e a quello stato trapassare, che a la elezione del libero voler suo piacerà più. Laonde chiaramente si vede, che mentre che gli uomini, o per lor rea sorte o per lor mala elezione, vivon tutti intenti e occupati ne le cose del mondo, tenendo sempre fissi gli occhi in questi obbietti sensibili, senza mai punto levargli al cielo, la sorte loro è poco migliore di quella de le fiere, anzi diventano quasi simili a gli altri animali che mancano al tutto de la ragione. E che, quando espeditisi il più che posson da quelle, ritornano a le lor vere e proprie operazioni, e innalzandosi da le cose basse e terrene a le alte e divine, diventano (condotti alla vera perfezione loro) simili a quei bene avventurati spiriti, che fuor di questo mondo corruttibile vivon ne la contemplazion le cose divine felicissima e beatissima la vita loro.
Questo è quello che io ho cerco, Illustrissimo ed Eccellentissimo Principe, per giovare il più che io possa a gli altri, come è proprio e vero officio de l’uomo, seguendo l’orme del dottissimo Plutarco, dimostrare il meglio che io ho saputo in questi miei presenti Dialoghi. E perchè così come gli uomini sono naturalmente obligati di rendere onore a Iddio non solamente con l’animo e con le parole, ma con qualche segno esteriore, offerendogli de le più care e più preziose cose che egli hanno, così ancora debbono in quel modo che e’ sanno e posson migliore, onorare sempre i loro Principi, per esser quegli, come disse il medesimo Plutarco, i veri simulacri e le vere immagini d’ Iddio; conciossiacosachè e’ tenghino quel grado negli stati loro, che tiene Iddio optimo e grandissimo nello universo: io, e per natura e per elezione servidor di vostra Eccellenza Illustrissima, conoscendo quanto, e naturalmente e per i benefizj ricevuti da Quella, son tenuto di onorarla sempre, e desiderando, non potendo farlo in quel modo che io vorrei, di mostrarle almanco la prontezza de l’animo mio, ho preso ardire di presentarle queste, tali quali elle si sieno, piccole fatiche mie, pregando umilmente Quella, che, cosi come ancora esso Iddio, per grandissimo che egli sia, non isprezza mai