L'uomo delinquente/Parte terza/IV

CAPITOLO IV. Senso morale dei delinquenti

L'uomo delinquente/Parte terza/III L'uomo delinquente/Parte terza/V IncludiIntestazione 12 maggio 2012 75% Criminologia

CAPITOLO IV. Senso morale dei delinquenti
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1. Senso morale, pentimento, rimorsi, senso della giustizia. — 2. Recidiva. — 3. Confronto della morale dei delinquenti con quella dei pazzi e dei selvaggi.


1. Senso morale. In questi organismi, fisicamente e psichicamente arretrati, il senso morale è l’acquisto più alto e più recente dell’urna evoluta, è manchevole. Molti perciò non hanno concetto dell’immoralità della colpa. Nel gergo francese la coscienza è chiamata la muta, il ladro l'amico, e servire o lavorare vogliono dire rubare. — Un ladro milanese mi diceva: «Io non rubo, non faccio che togliere ai ricchi quello che hanno di troppo ». — Lacenaire dice del complice Avril: «Aveva capito che potevamo unirci nella nostra industria ». — Un ladro a cui il Ferri domandò ciò che faceva quando non trovava nulla nella borsa dei derubati, rispose: «Io dico allora che son birbe». Si vede insomma in costoro investirsi con l’idea del dovere: credono di aver diritto a rubare e ad ammazzare, e che la colpa sia degli altri nel non lasciarli fare a loro agio. Gli assassini, poi, specialmente quelli per vendetta, credono di fare un’azione giusta e doverosa.
Pentimento e rimorsi. — Si parla spesso da molti dei rimorsi del delinquente; ma chi ha praticato, anche per poco, in mezzo a questi sciagurati, acquista invece la certezza che costoro non ne hanno punto. Pochi confessano: la maggior parte negano il loro reato recisamente, e parlano dell’ingiustizia altrui, delle calunnie, dell’invidia onde furono vittime. A ragione Despine dice che nulla somiglia più al sonno del giusto che il sonno dell’assassino. Molti malfattori accennarono, è vero, ad un pentimento, ma erano bene spesso ipocrisie interessate o per sfruttare le nobili illusioni dei filantropi, o per evadere o per migliorare le loro condizioni di detenzione. — Così Lacenaire, dopo la prima condanna, scriveva all’amico Vigouroux, per carpirne protezione e denari: « Purtroppo non mi resta che il pentimento; voi potete rallegrarvi di aver tolto un uomo dalla via del delitto per la qua; le non era nato ». Poche ore dopo commetteva un nuovo furto: e morendo dichiarò cinicamente di non aver mai capito che cosa fosse rimorso. — A Pavia Rognoni pronunciò alle Assisi parole commoventi, che alludevano al suo pentimento; rifiutò vari giorni il vino perché, diceva, gli ricordava il sangue del fratello ucciso, ma intanto se ne procurava di nascosto da altri condetenuti. E quando alcuno di costoro si mostrava restio al dono forzoso egli lo minacciava: «Ne ho uccisi quattro, e poco ci metto ad uccidere il quinto ». Vi è perfino chi dai simulati rimorsi trae una scusa al delitto. — Michelin così giustificavasi del colpo di grazia dato alla sua vittima: «Vederla in quello stato mi faceva tanto rimorso, che la ravvoltai per non vederle la faccia ». Qualche volta l’apparenza del rimorso è un effetto di allucinazioni ed illusioni, per es., alcoliche. — Philippe e Lucke, subito dopo commesso i misfatto, vedevano le ombre delle loro vittime; a erano in preda ad accessi di alcolismo; tanto il primo ebbe a dire dopo la condanna: «Se a mi mandavano a Caienna avrei rifatto il colpo» O più spesso ciò che appare rimorso è solo o della paura della morte o di un’idea religiosa che ha la forma ma non la sostanza del pentimento. L’esempio forse più classico l’abbiamo nella marchesa di Brinvilliers, che sebbene apparisse al venerando Poiront, cappellano delle carceri, un modello di penitenza, pure scriveva nelle ultime ore a suo marito: «Muoio di una morte onesta procacciatami dai miei nemici », ed aveva ancora prima di morire pensieri di lascivia e di vendetta. Valutazione diversa dell’atto criminoso. - Non rado qualcuno intravvede la pravità delle sue azioni, ma non le valuta al pari di noi, bensì le spiega e le giustifica a modo suo. Quando il giudice domanda ad Ansalone: «Non negherete almeno di aver rubato un cavallo? ». — «E come può, rispondeva, chiamare ella un furto codesto; forse che un capo-banda potrebbe andare a piedi? ». — Altri credono che la malvagità dell'opera sia scemata, o giustificata dalla bontà delle intenzioni, come Holland che assassinava per dar al figlio ed alla moglie o dall’impunità di altri che ne commisero di peggiori, specialmente se complici; o dalla mancanza di una data prova, o dalla sua insufficienza o dall’essere accusati di un delitto diverso da quello veramente commesso. E quindi se la prendono violentemente colla giustizia. «I ladri di Londra, osserva Mayhew, credono di far male, ma non più di un qualsiasi bancarottiere ». — La lettura continua dei processi criminali e dei giornali li persuade che vi hanno delle birbe anche nell’alta società; confondono la regola coll’eccezione, e ne deducono non poter essere molto prava un’azione che commessa dai ricchi non passerebbe per riprovevole.
Sentimento della giustizia nei rei. — Tuttavia, come queste forme di passaggio fanno già presentire, l’idea del giusto e dell’ingiusto non è spenta del tutto nei delinquenti; ma vi rimane sterile, perché è sempre soffocata dalle passioni e dall’abitudine. — Nel gergo spagnuolo la giustizia è detta la giuesta, e così sono chiamate in francese le Assise; il che però, nota acutamente il Mayor, potrebbe essere un attributo ironico. — Prévost, parlando dell’autore ancora ignoto degli omicidi da lui stesso commessi: « A lui, diceva, la ghigliottina - non può mancare ». In tali casi evidentemente non è il criterio etico, né la coscienza del vero e del giusto che mancano, sibbene l’attitudine di confermarsi a questo criterio. «Altro è, dice infatti Horwick, aver una conoscenza teorica, altro è agire in conseguenza; perché la conoscenza si muti in desiderio volontario e in azione come i cibi in chilo ed in sangue, ci vuole un fattore, il sentimento; e questo manca in loro abitualmente. Se invece questo esista ed abbia un qualsiasi interesse a far trionfare la giustizia, allora il concetto teorico passa veramente in azione ed essi vi applicano l’energia che usano nel fare il male ». — Mentre infatti in una riunione di “giovani ladri, promossa a Londra da un filantropo, erano salutati da battimani e con applausi i recidivi, quando però il presidente incaricò uno di loro di andare fuori a cambiare in spezzati una moneta d’oro, e il messo tardava a tornare, grande era l'inquietudine ed il dispetto fra gli adunati, che proferivano rimproveri e minacce all’indirizzo dell’assente, il cui ritorno fu salutato con gioia. Certo però piuttosto che per vero amore di giustizia facevano in quel momento il bene per quelle stesse ragioni per cui dopo avrebbero fatto il male, cioè per vanità e per invidia. A Mosca si fanno giudicare le mancanze dei delinquenti dai loro compagni. — Tocqueville narra i discoli di America sono giudicati con singolare giustizia dai loro colleghi, e nell’isola di S. Stefano nel 1860 i galeotti stabilirono da sé ed applicarono una sorta di codice veramente draconiano per domare le discordie intestine d’origine regionale. Senonché questa specie di moralità e di giustizia relativa sorta all’improvviso in mezzo ad una popolazione ingiusta non è che forzata e temporanea. Quando invece che esserne favoriti ne venno lesi gli interessi e le passioni, allora questo o del giusto che non è appoggiato al senso orale viene meno tutto ad un tratto. Quindi, all'inverso di quanto da molti si crede, i delinquenti il più delle volte mancano alla fede anche coi propri compagni, perfino coi complici della stessa famiglia, e si fanno facilmente delatori per migliorare la loro posizione o per peggiorare quella invidiata ad altri, o per vendicarsi di una vera o immaginaria delazione. Molti fra i ladri, scrive il Vidocq, considerano come una fortuna l’essere consultati dalla polizia: infatti fu il Bouscano che fece arrestare tutta la famosa banda di abbrustolitori in Francia e il brigante Caruso fu il più utile nostro aiuto contro i briganti.

2. Questa alterazione del sentimento morale è così profonda e generale nel delinquente-nato, che le punizioni non lo migliorano e non lo rafforzano. Tale indole congenitamente criminosa si rivela nei recidivi anzitutto per il fatto della loro precocità: in Francia. per es., su 1000 recidivi 67 lo erano divenuti prima ancora dei 16 anni! 240 tra i 16 e i 21 anni e 284 tra i 21 ed i 30; poi tutte le statistiche penali ci mostrano la costanza e la frequenza sempre maggiori delle recidive nei delinquenti, specie nei paesi più civili. Nel Belgio si calcolarono al 70% i recidivi fra i provenienti da Lovanio nel 1869-71, e al 78% fra quelli usciti dalle case centrali. In Danimarca negli stabilimenti penali nel 1872-74 si notò negli uomini il 70%, e nel 1875 il 71% di recidivi; nelle donne dal 61 al 69% di recidive. In Prussia si aveva una cifra oscillante fra il 78 e l’80% negli usciti dagli stabilimenti penali dal 1871 al 1877 per gli uomini, e nelle donne dal 74 all’84 %. E non v’è sistema carcerario che salvi dalle recidive anzi le carceri stesse sono talora causa di esse, sia per il relativo benessere di vitto e di ricoh vero, sia perché l’istruzione alfabetica e professionale impartitevi forniscono nuove armi alla delinquenza. Brétignères De Courteiles attesta che a Clairvaux 506 detenuti per furtò o per vagabondaggio avevano recidivato per poter godere una vita più acile nella prigione. In Svezia, secondo D’Olivecrona, ascendono a 0 le recidive dei ladri condannati alle prigioni; i condannati a vita ai lavori forzati, grati, dànno una cifra di 73,8 a 81,3 di recidivi. Le recidive in genere, dopo un anno di carcere cellulare salivano a 52% nel 1864, a .72% nel 1870. Soprattutto appare costante la recidiva nelle donne dove, come vedremo più sotto, le recidive ripetute sono più frequenti delle semplici che non i maschi. « Delle prostitute, dice Parent-Duchte1et, v’hanno che siano veramente pentite; non venelle case di pena che un modo di migliorare loro condizione ». E Tocqueville osservò che in ierica le ragazze date al malfare sono incorreglli molto più dei giovani. Secondo i singoli reati le recidive possono e divise così:


FRANCIA.


Reato Recidive
Ribellioni 100
Infrazioni alla sorveglianza 100
Ubriachezza 7
Vagabondaggio 71
Furto qualificato 71
Furto violento sulla pubblica via 68
Furto in chiesa 67
Mendicità 66
Associazioni di malfattori 62
Furto non violento sulla pubblica via 61
Ferite contro un ascendente 56
Ratto di minori 56
Incendio di edifizi non abitati 52
Bigamia 50
Evirazione 50
Truffa 43
Assassinio 43
Oltraggi a pubblici funzionari 42
Falsa moneta 42
Parricidio 41
Furto commesso da un domestico 41
Ferite e percosse gravi 40
Incendio di edifizi abitati 40
Falso in scrittura autentica o privata 40
Oltraggio alla morale pubblica 40
Abuso di confidenza 40
Omicidio 39
Stupro ed attentato al pudore contro adulti 39
Falso in scrittura di commercio 38
Ribellione (a mano armata?) 37
Stupro ed attentati al pudore contro fanciulli 36
Minacce scritte o verbali 36
Violenze contro pubblici funzionari 35
Falsa testimonianza 35
Baratteria 33
Ferite seguite da morte non voluta 31
Oltraggio al pubblico pudore 31
Ferite e percosse 30
Bancarotta fraudolenta 29
Estorsione 28


Eccettuando quei reati nei quali le molteplici recidive son dovute all’imperversare dei partiti po litici o alla minuziosa polizia francese (ribellioni), si può dire che queste cifre rappresentano la quota dei delinquenti-nati, nei quali la criminalità è così profondamente connaturata che la pena del carcere non è sufficiente ad impedirne le successive manifestazioni. E così, infatti, la coscienza popolare ha già da secoli sentenziato: « Semel malus semper inalus ». « Ei ladro non se pente mai ». « Vizio per natura fin alla fossa dura », « Chi comincia mal finisce pezo » (peggio), etc, Mausdley scrive « Del vero ladro si può dire come del poeta che nasce tale ma che noi diviene », e cita Echteton che in prigione sentiva ladri dichiarare che, se anche fossero diventati milionari, avrebbero seguitato a rubare.

3. Per molti di questi caratteri i delinquenti si avvicinano assai agli alienati coi quali hanno comune: la violenza e la instabilità di alcune passioni, la non infrequente insensibilità dolorifica ed affettiva, il senso esagerato dell’io, la passione degli alcolici, il bisogno di narrare e descrivere il commesso delitto; come l’Aiton, epilettico, che fa a pezzi una bambina e poi torna tranquillo a lavarsi mani e scrive nei suo diario: « Oggi uccisa una piccola bambina, il tempo era bello e calmo», Ma gli alienati di rado nascono malvagi, piuttosto lo diventano in seguito a malattia, anche se anch’essi sentono di rado il rimorso e cedono al delitto come a una necessità, pure assai spesso, appena commesso il delitto riacquistano, per una specie di crisi benefica, il senso del giusto e spesso si confessano essi stessi. Ma gli alienati hanno di rado la passione pel giuoco e per l’orgia e assai più dei malfattori stessi prendono in odio le persone solitamente care, la moglie e i figli. E mentre il delinquente non può vivere senza compagni, i pazzi preferiscono sempre la solitudine, e i complotti sono così rari nei manicomi come frequenti nelle galere. Ma molto più che ai pazzi il delinquente, in rapporto alla sensibilità, alle passioni, al senso morale, così pure come ai caratteri fisici si avvicina al selvaggio. Anche la sensibilità morale è attutita o spenta nei selvaggi ma dove più collimano è nella impetuosità ed instabilità delle passioni. «I selvaggi, dice Lubbock, hanno passioni rapide ma violente; hanno il carattere dei bimbi colle passioni e la forza degli uomini ». Anche in essi la vendetta è considerata un diritto, anzi un dovere. Anche in essi è fortissima la passione pel giuoco, senza che sia viva la cupidigia. Anche nei selvaggi la vigliaccheria è mista al coraggio o meglio all’insensibilità che, ne fa le mostre e le veci. Anche in essi la libidine si mesce all’amore del sangue, e l’amore è tutto libidine. Anche nei selvaggi gli alcoolici appena introdotti incontrarono tanto favore da distruggere razze intere. Anch’essi amano le danze, gli ornamenti, sono curiosi, timidi e inconsci del pericolo; anch’essi sopratutto amano l’ozio. I Neocaledonesi sogliono dire: « Soffrire per soffrire, è meglio morire che lavorare » (BOURGAREL,Les races de l’Océan, 1879).