L'isola misteriosa/Parte prima/Capitolo XVI

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Jules Verne - L'isola misteriosa (1874-1875)
Traduzione dal francese di Anonimo (1890)
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CAPITOLO XVI.


Si tratta un’altra volta la quistione dell’abitazione — Le fantasie di Pencroff — Una esplorazione al nord del lago — Il lembo settentrionale dell’altipiano — I serpenti — L’estremità del lago — Inquietudini di Top — Top a nuoto – Un combattimento sott’acqua — Il dugongo.

Si era al 6 maggio, giorno che corrisponde al 6 novembre dei paesi dell’emisfero boreale. Il cielo s’annebbiava da alcuni giorni ed urgeva prendere certe disposizioni. Per altro la temperatura non si era ancora abbassata sensibilmente, ed un termometro centigrado, trasportato all’isola Lincoln, avrebbe [p. 38 modifica]ancora segnato una media di dieci o dodici gradi sopra zero. Questa media non deve far meraviglia, poichè l’isola Lincoln, situata assai probabilmente fra il 35° od il 45° parallelo, doveva trovarsi nelle medesime condizioni climateriche della Sicilia o della Grecia. Ma allo stesso modo che la Grecia e la Sicilia provano freddi violenti che producono nevi e ghiacci, così pure l’isola Lincoln doveva subíre, senza dubbio, nel maggior rigore dell’inverno certi abbassamenti di temperatura contro i quali conveniva premunirsi.

In ogni caso, se il freddo non minacciava ancora, la stagione delle pioggie era vicina, ed in quell’isola solitaria esposta a tutte le intemperie dell’alto mare, nel mezzo dell’oceano Pacifico, il brutto tempo doveva essere frequente e con ogni probabilità terribile.

La quistione di una abitazione più comoda dei Camini dovette adunque venir meditata sul serio e risoluta al più presto. Naturalmente, Pencroff sentiva una certa predilezione per quel ricovero ch’egli aveva scoperto, ma comprese che bisognava cercarne un altro. Già i Camini erano stati visitati dal mare, come ognuno ricorda, e non conveniva esporsi un’altra volta a simile accidente.

— Eppoi, aggiunse Cyrus Smith, che in quel giorno discorreva di tali cose coi compagni, noi dobbiamo prendere alcune precauzioni.

— Perchè? L’isola non è già abitata, disse il reporter.

— Ciò è probabile, rispose l’ingegnere, sebbene non l’abbiamo ancora esplorata interamente, ma se pure non vi si trova alcun essere umano, temo che vi abbondino gli animali pericolosi. Bisogna adunque metterci al riparo da una possibile aggressione e non obbligare uno di noi a vegliare ogni notte per mantenere il fuoco acceso. D’altra parte, amici, convien [p. 39 modifica]prevedere ogni cosa. Siamo in una parte del Pacifico frequentata spesso dai pirati malesi.

— Come! disse Harbert, a tanta distanza dalla terra?

— Sì, fanciullo mio, rispose l’ingegnere, codesti pirati sono arditi marinaj, del pari che malfattori formidabili, e noi dobbiamo prendere le nostre precauzioni.

— Ebbene, rispose Pencroff, ci fortificheremo contro i selvaggi di quattro e di due zampe. — Ma, signor Cyrus, non sarebbe bene esplorare l’isola in tutte le sue parti prima di intraprendere checchessia?

— Ciò sarebbe meglio, aggiunse Gedeone Spilett; chissà che non troveremo sull’altra costa una di quelle caverne che qui abbiamo cercato inutilmente.

— È vero, rispose l’ingegnere, ma dimenticate, che ci conviene stabilirci vicino ad un corso d’acqua e che dal monte Franklin non abbiamo visto verso l’ovest nè ruscelli, nè fiumi? Qui, al contrario, siamo tra la Grazia ed il lago Grant, vantaggio prezioso che non bisogna trascurare; e poi questa costa orientata all’est non è come l’altra esposta ai venti alisei che soffiano da nord-ovest in questo emisfero.

— Allora, signor Cyrus, rispose il marinajo, costruiamo una casa sulle sponde del lago. Non ci mancano oramai nè i mattoni, nè gli utensili. Dopo essere stati fornaciaj, vasaj, fonditori, fabbri, sapremo pure essere muratori, diamine!

— Sì, amico mio, ma prima di prendere una deliberazione bisogna cercare. Una casa di cui la natura avesse fatto tutte le spese ci risparmierebbe molto lavoro e ci offrirebbe senza dubbio un ricovero più sicuro, perchè sarebbe benissimo difesa contro i nemici di dentro e di fuori.

— È vero, Cyrus, rispose il reporter, ma abbiamo già esaminato tutta la massa granitica della costa senza trovare nè una fessura, nè un cavo.

— Proprio, aggiunse Pencroff. Ah, se avessimo [p. 40 modifica]potuto scavare un’abitazione in questo muro ad una certa altezza, in guisa da metterla fuori di portata! Questo sì che ci avrebbe convenuto! Mi par di vederla. Una bella facciata rimpetto al mare, cinque o sei camere....

— Con porte e finestre, disse Harbert ridendo.

— Ed una scalinata per andar su, aggiunse Nab.

— Ridete! esclamò il marinajo, e perchè? Che vi ha di impossibile nella mia proposta? Non abbiamo forse picconi e zappe? Forse che il signor Cyrus non saprà fabbricare la polvere per far scoppiare una mina? Non è vero, signor Cyrus, che voi farete della polvere il giorno che ne avremo bisogno?

L’ingegnere aveva ascoltato l’entusiastico Pencroff mentre sviluppava i suoi disegni alquanto fantastici. Assalire quella massa di granito, anche a colpi di mina, sarebbe stato un lavoro erculeo, ed era veramente spiacevole che la natura non avesse fatto la parte più aspra di tale bisogna; ma l’ingegnere rispose solo proponendo di esaminare più attentamente la muraglia dalla foce del rivo fino all’angolo che la terminava.

Si uscì adunque, e l’esplorazione fu fatta per due buone miglia con estrema cura; ma la parete liscia non mostrò in alcun luogo una qualsiasi cavità. I nidi dei colombi che svolazzavano sulla sua cima non erano in realtà che buchi fatti nella cresta medesima e sull’orlo frastagliato del granito.

Era cosa spiacevole in vero, e quanto ad assalire quella massa sia col piccone, sia colla polvere, per aprirvi un cavo sufficiente, non bisognava nemmeno pensarci. Il caso aveva fatto che su tutta quella parte del litorale, Pencroff scoprisse il solo ricovero temporaneamente abitabile, vale a dire i Camini, che si trattava di abbandonare. Finita l’esplorazione, i coloni si trovavano all’angolo nord della muraglia, dove essa terminava con dolci pendii. [p. 41 modifica]

Da quel luogo fino all’estremo limite all’ovest più non formava che una specie di scarpa, fitta agglomerazione di pietre, di terra e di sabbia, tenute insieme da piante, da arbusti e da erbe, inclinata con an angolo di soli 45 gradi; qua e là si vedeva ancora il granito uscire con punte aguzze da quella specie di costa dirupata. Gruppi d’alberi si schieravano sulle sue falde tappezzate da un’erba folta; ma lo sforzo vegetativo non andava più oltre, ed un lungo piano di sabbia, che cominciava ai piedi della scarpa, si stendeva fino al litorale.

Cyrus Smith pensò, non senza ragione, che da quella parte si spandesse il soverchio del lago in forma di cascata. Infatti bisognava necessariamente che l’eccesso d’acqua fornito dal rivo Rosso si perdesse in un punto qualsiasi. Ora questo punto l’ingegnere non l’aveva ancora trovato in alcuna parte delle rive già esplorate, vale a dire dalla foce del ruscello all’ovest fino all’altipiano di Lunga Vista. L’ingegnere propose quindi ai compagni di arrampicarsi sulla costa, che allora osservavano, e ritornare ai Camini per le alture, esplorando le rive settentrionali ed orientali del lago.

La proposta fu accettata, ed in pochi minuti Harbert e Nab erano arrivati all’altipiano superiore. Cyrus Smith, Gedeone Spilett e Pencroff li seguirono a passo più lento.

A dugento piedi attraverso il fogliame il bel strato d’acqua splendeva ai raggi del sole. Bellissimo era il paesaggio in quel luogo. Gli alberi dalle tinte gialliccie si aggruppavano meravigliosamente formando la delizia dello sguardo. Alcuni vecchi fusti enormi, caduti per vecchiaja, si staccavano colla nera corteccia dal verdeggiante tappeto che copriva il suolo. Colà ciaramellava tutta una famiglia di pappagalli chiassosi, veri prismi che saltellavano da un ramo all’altro. Pareva che la luce non arrivasse più se non decomposta attraverso quel singolare fogliame. [p. 42 modifica]

I coloni, invece di andar direttamente alla riva nord del lago, girarono il lembo dell’altipiano in guisa da raggiungere la foce del fiume sulla riva sinistra; era un giro di un miglio e mezzo al più. La passeggiata era facile, poichè gli alberi largamente spaziati lasciavano il passaggio libero. Si sentiva che a quel limite si arrestava la zona fertile, e la vegetazione vi si mostrava meno rigogliosa che in tutta la parte compresa fra i corsi del rivo Rosso e della Grazia.

Cyrus Smith ed i suoi compagni non camminavano senza una certa circospezione in quel terreno nuovo per essi. Archi, freccie, bastoni con puntali acuti di ferro erano le loro sole armi. Pur non si mostrò alcuna belva, ed era probabile che gli animali frequentassero piuttosto le fitte foreste del sud; ma i coloni ebbero la spiacevole sorpresa di vedere Top arrestarsi dinanzi ad un grosso serpente che misurava quattordici o quindici piedi di lunghezza. Nab lo accoppò con un colpo di bastone, e Cyrus Smith, come ebbe esaminato il rettile, dichiarò che non era velenoso, poichè apparteneva alla specie dei serpenti diamanti, di cui gli indigeni si cibano nella Nuova Galles del Sud. Ma era possibile che ve ne fossero altri, la cui morsicatura è mortale, quali le vipere a coda forcuta che si drizzano sotto il piede, o quei serpenti alati muniti di due orecchiette che loro permettono di avventarsi con estrema rapidità. Passato il primo sbigottimento, Top dava la caccia ai rettili con un accanimento che faceva temere per lui, onde il suo padrone lo richiamava di continuo. Si giunse presto alla foce del rivo Rosso. Gli esploratori riconobbero sull’opposta riva il punto che già avevano visitato nel discendere dal monte Franklin. Cyrus Smith notò che lo sbocco dell’acqua del rivo era copioso; onde diveniva necessario che in un luogo qualsiasi la natura avesse offerto un’uscita al soverchio del lago. Or si trattava di scoprire quest’uscita, poichè senza dubbio formava [p. 43 modifica]una cascata di cui si potrebbe mettere a partito la forza meccanica.

I coloni, camminando a piacimento, ma senza al lontanarsi troppo gli uni dagli altri, cominciarono dunque a perlustrare la riva del lago, che era scoscesa. Le acque sembravano ricchissime di pesci, e Pencroff fe’ proponimento di fabbricare alcuni congegni da pesca.

Bisogno dapprima oltrepassare la punta acuta del nord-est. Si avrebbe potuto supporre che lo sbocco delle acque avvenisse in quel luogo, perchè l’estremità del lago andava quasi a sfiorare il lembo dell’altipiano; ma così non era, ed i coloni continuarono ad esplorar la riva che, dopo un lieve gomito, ridiscendeva parallelamente al litorale. Da quella parte l’argine era meno boscoso, ma alcuni gruppi d’alberi sparsi qua e là rendevano il paesaggio più pittoresco. Il lago Grant appariva allora in tutta la sua estensione, e nessun soffio increspava la superficie delle sue onde.

Top, battendo i cespugli, fece levare a volo frotte di uccelli diversi, che Gedeone Spillet ed Harbert salutarono a colpi di freccie. Uno di quei volatili fu anzi abilmente colpito dal giovinetto e cadde in mezzo alle erbe. Top gli si precipitò addosso e portò un bell’uccello nuotatore color d’ardesia, dal becco corto, dall’osso frontale molto sviluppato, dalle dita allargate con una orlatura a festoni, e dalle ali ornate d’una striscia bianca. Era una folaga grossa come una pernice, appartenente a quel gruppo di macrodattili che forma la transizione fra l’ordine dei trampolieri e quello dei palmipedi. Triste selvaggina, dopo tutto, e di un gusto che doveva lasciar da desiderare; ma Top doveva senza dubbio essere meno schizzinoso de’ suoi padroni, e fu convenuto che la folaga servisse alla sua cena.

I coloni seguivano allora la riva orientale del lago [p. 44 modifica]e non dovevano tardare a giungere alla parte già riconosciuta.

L’ingegnere era molto meravigliato non vedendo alcun indizio dello sbocco del soverchio dell’acqua. Il reporter ed il marinajo ragionavano con lui, ed egli non dissimulava il proprio stupore.

In quella Top, che era stato fino allora tranquillissimo, diede segni di agitazione. L’intelligente animale andava e veniva sull’argine, si arrestava d’improvviso e guardava le acque con una zampa levata, come se vedesse qualche invisibile selvaggina; poi abbajava con furore, braccheggiando, per così dire, e si taceva improvvisamente. Nè Cyrus Smith, nè i compagni avevano sulle prime fatto attenzione a codesto armeggio di Top; ma i latrati del cane divennero presto così frequenti che l’ingegnere se ne inquieto.

— Che ha Top? domandò egli.

Il cane fece molti salti verso il suo padrone, mostrando un’inquietudine vera, e si slanciò di nuovo verso l’argine. Poi d’un tratto si precipitò nel lago.

— Qui, Top! gridò Cyrus Smith, il quale non voleva che il cane s’avventurasse su quelle acque sospette.

— Che vi è qui sotto? domandò Pencroff esaminando la superficie del lago.

— Top avrà sentito qualche anfibio, rispose Harbert.

— Un alligatore senza dubbio, disse il reporter.

— Non credo, rispose Cyrus Smith, gli alligatori non s’incontrano che nelle regioni meno elevate in latitudine.

Frattanto Top era tornato, al richiamo del suo padrone, sull’argine, ma non poteva star fermo. Saltava in mezzo alle alte erbe e, guidato dal proprio istinto, pareva seguire qualche essere invisibile che si fosse cacciato sotto le acque del lago rasentandone le sponde. Pure le acque erano tranquille e non una ruga ne turbava la superficie. Molto tempo i coloni rimasero sul[p. 45 modifica]l’argine e l’osservarono attentamente. Non videro nulla; ci stava sotto qualche mistero. L’ingegnere era in grande imbarazzo.

— Proseguiamo l’esplorazione, diss’egli.

Mezz’ora dopo erano tutti arrivati all’angolo sud-est del lago e si trovavano sull’altipiano medesimo di Lunga Vista. Allora l’esame delle rive del lago doveva riputarsi terminato, e nondimeno l’ingegnere non aveva potuto scoprire da qual parte e come avvenisse lo scaricamento delle acque.

— Pure questo sbocco esiste, ripeteva egli, e, posto che non è esterno, bisogna che sia scavato entro la massa granitica della costa.

— Ma quale importanza date voi al saper questo? domandò Gedeone Spilett.

— Un’importanza grande, rispose l’ingegnere, poichè se lo sbocco avviene attraverso il masso è possibile che vi si trovi qualche cavo da potersi rendere abitabile dopo di aver fatto deviare le acque.

— Ma non è possibile, signor Cyrus, che le acque scorrano nel fondo medesimo del lago e che vadano in mare per un condotto sotterraneo?

— Può essere anche questo, rispose l’ingegnere, e se così è, saremo obbligati di fabbricare la nostra casa noi stessi, poichè la natura non ha fatto le prime spese di costruzione.

I coloni si disponevano adunque ad attraversare l’altipiano per tornarsene ai Camini, essendo già le cinque pomeridiane, quando Top diede nuovi segni di agita zione. Egli latrava con rabbia, e prima che il suo padrone avesse potuto trattenerlo, si precipitò un’altra volta nel lago. Tutti corsero verso l’argine. Il cane era già lontano venti piedi, e Cyrus Smith lo richiamava vivamente, quando emerse dalla superficie delle acque, che non parevano profonde in quel luogo, una testa enorme.

Harbert riconobbe subito la specie di anfibio a cui [p. 46 modifica]apparteneva quella testa conica dai grossi occhi e decorata di lunghi peli in forma di mustacchi.

— Un lamantino! esclamò.

Non era già un lamantino, ma una varietà di questa specie, compresa nell’ordine dei cetacei, che porta il nome di dugongo, poichè le sue narici erano aperte nella parte superiore del muso. L’enorme animale si era fatto addosso al cane, che voleva evitarlo invano tornando verso l’argine. Il suo padrone non poteva far nulla per salvarlo, e prima ancora che fosse venuto in mente di Gedeone Spilett o di Harbert di armare i loro archi, Top, afferrato dal dugongo, spariva sott’acqua.

Nab col suo spiedo di ferro in mano volle muovere in ajuto del cane, determinato a lottare col formidabile animale nel suo proprio elemento.

— No, Nab, disse l’ingegnere trattenendo il coraggioso servitore.

Frattanto avveniva una lotta sott’acqua, inesplicabile lotta, poichè in siffatte condizioni Top non poteva evidentemente resistere; lotta che doveva essere terribile, come appariva dal gorgogliare dell’acqua; lotta infine che doveva necessariamente finire colla morte del cane. Ma ad un tratto, in mezzo ad un cerchio di schiuma, si vide apparire Top. Lanciato in aria da qualche incognita forza, egli si elevò dieci piedi sopra la superficie del lago, ricadde sopra le acque e fu presto sull’argine senza gravi ferite, salvo miracolosamente.

Cyrus Smith ed i compagni guardavano senza comprendere. Cosa ancor meno inesplicabile, si avrebbe detto che la lotta continuasse sott’acqua; senza dubbio, il dugongo, assalito da qualche poderoso animale, dopo aver lasciato il cane, combatteva per proprio conto.

Ma ciò non durò un pezzo. Le acque si tinsero di sangue, ed il corpo del dugongo, emergendo da una [p. 47 modifica]zona scarlatta che si andò allargando, venne ad arenarsi sopra il greto all’angolo sud del lago.

I coloni corsero verso quel luogo; il dugongo era morto. Era un enorme animale lungo quindici o se dici piedi, che doveva pesare tre o quattromila libbre. Al suo collo si apriva una ferita che sembrava essere stata fatta con una lama tagliente.

Qual era dunque l’anfibio che aveva potuto con quel colpo terribile distruggere il formidabile dugongo? Nessuno sapeva dirlo; inquieti di tale incidente, Cyrus Smith ed i compagni se ne tornarono ai Camini.