L'isola del tesoro/Parte VI/XXXIV
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Traduzione dall'inglese di Angiolo Silvio Novaro (1932)
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L’indomani mattina ci si mise di buon’ora al lavoro, perché trasportare quell’ingente cumulo d’oro a bordo dell’Hispaniola, facendogli percorrere un miglio per terra fino alla spiaggia e poi tre miglia per mare fino all’Hispaniola, era impresa tutt’altro che agevole per un così scarso numero d’uomini. Dei tre banditi erranti per l’isola ci davamo ben poco pensiero. Una semplice sentinella appostata sul dorso della montagna bastava a proteggerci da qualsiasi sorpresa; senza contare, del resto, che di battersi essi dovevano essere più che stufi.
Il lavoro fu dunque condotto innanzi speditamente. Gray e Ben Gunn andavano e venivano col canotto, mentre gli altri badavano ad accatastare il tesoro sulla spiaggia. Due sole barre legate insieme con una corda formavano un buon carico per un adulto, e ancora gli toccava camminar lentamente. Quanto a me, essendo di poca utilità per quella fatica, rimasi tutto il giorno occupato nella grotta a imballar le monete nei sacchi da pane.
Era una curiosa collezione, simile a quella di Billy Bones, per la varietà dei conii, ma talmente più ricca e abbondante che io provai un immenso piacere ad assortirli. Monete inglesi, francesi, spagnole, portoghesi; giorgi e luigi, dobloni e doppie ghinee, moidori e zecchini con le effigie di tutti i re d’Europa degli ultimi cent’anni; bizzarri pezzi orientali impressi di segni che somigliavano a fili di cordicelle o brani di tele di ragno; pezzi rotondi e pezzi quadrati e pezzi forati nel mezzo, quasi medaglie da portare al collo: tutte le varietà di monete del mondo figuravano, credo, in quella raccolta; e quanto al loro numero penso che uguagliassero le foglie dell’autunno, perché avevo male alla schiena dopo tanto curvarmi, e male alla mano dopo tanto scegliere.
Il trasporto durò parecchio: alla fine d’ogni giorno una fortuna era stivata a bordo, e un’altra attendeva il suo turno per l’indomani; e durante tutto questo tempo i tre superstiti ribelli non dettero segno di vita.
Finalmente — mi pare fosse la terza sera — io girandolavo col dottore sul dorso della montagna nel punto dominante i bassipiani dell’isola, quando dalla fitta oscurità di laggiù il vento ci recò un’eco tra di grida e di canti. Non fu che un breve intermezzo, a cui seguì il silenzio dì prima.
«Iddio li perdoni», disse il dottore, «sono gli ammutinati.»
«Tutti ubriachi, signore», suonò la voce di Silver alle nostre spalle.
Silver, devo dirlo, godeva della massima libertà; e malgrado i quotidiani rabbuffi pareva di nuovo considerarsi come un dipendente favorito di privilegi e di riguardi. In verità, c’era da stupire a vedere con che disinvoltura egli sopportava codeste staffilate, e con quale inesauribile garbatezza continuava a sforzarsi di entrar nelle grazie di tutti. Nessuno però lo trattava meglio d’un cane, salvo Ben Gunn, che conservava una tremenda paura del suo vecchio quartiermastro; oppure io stesso, che realmente gli dovevo qualche gratitudine, quantunque a tal proposito avessi forse ragione di pensare di lui peggio di chicchessia, perché l’avevo visto sul pianoro meditare un nuovo tradimento. E perciò fu con un tono aspro che il dottore gli rispose:
«Ubriachi o deliranti», disse egli.
«Lei ha ragione», replicò Silver, «ma ciò non fa differenza né per lei né per me.»
«Suppongo non pretenderete che io vi consideri un uomo pietoso», ribatté il dottore con un ghigno, «sicché può darsi che i miei sentimenti vi sorprendano. Ma se io fossi sicuro che delirano (e sono moralmente certo che uno di loro ha la febbre) lascerei questo campo e rischierei volentieri la pelle per portar loro il soccorso della mia scienza.»
«Chiedo perdono, signore, ma lei avrebbe torto. Ci rimetterebbe la sua preziosa esistenza, stia pur sicuro. Io sono mani e piedi dalla sua parte, adesso, e non vorrei veder le nostre forze indebolite e private della sua persona, tanto più che so quanto a lei devo. Ma quella gente laggiù non sarebbe capace di mantener la parola — no, anche supponendo che lo volesse; e, ciò che più conta, non crederebbe che lei mantenesse la sua.»
«Difatti», disse il dottore, «voi siete l’uomo capace di mantener la parola: lo sappiamo.»
Furono quelle all’incirca le ultime notizie che avemmo dei tre. Solo una volta udimmo, molto lontano, un colpo di fucile, e pensammo che cacciassero. Si tenne consiglio, e fu deciso, con grande giubilo di Ben Gunn e la piena approvazione di Gray, di abbandonarli sull’isola. Lasciammo loro una notevole provvista di polvere e di palle, quasi tutta la carne di capra salata, un po’ di medicinali, e alcune altre cose di prima necessità: degli arnesi, degli abiti, una vela di ricambio, parecchie braccia di corda; e, dietro richiesta del dottore, una buona provvista di tabacco.
Null’altro ci rimaneva da fare nell’isola. Già avevamo stivato il tesoro e imbarcato sufficiente acqua, insieme col resto della carne di capra, per fronteggiare qualsiasi eventualità; e finalmente un bel mattino salpammo l’ancora, operazione che richiese tutte le nostre forze, e uscimmo dalla Baia del Nord sotto la stessa bandiera che il capitano aveva issato e difeso alla palizzata.
I tre ci avevano spiato più da vicino di quanto non immaginassimo, come presto constatammo. Poiché uscendo dallo stretto dovemmo costeggiare molto da presso la punta sud, e li vedemmo là tutti e tre inginocchiati l’uno accanto all’altro sopra una striscia di sabbia, tendendoci le braccia supplichevoli. Piangeva il cuore a tutti, io credo, ad abbandonarli in quel misero stato; ma noi non potevamo esporci al rischio di un altro ammutinamento; e riportarli a casa loro per consegnarli alla forca, sarebbe stato un atto di gentilezza alquanto crudele. Il dottore dette loro una voce, e li informò delle provviste che avevamo lasciate e del luogo dove le avrebbero trovate. Ma essi seguitavano a chiamarci per nome, supplicandoci per amor di Dio di aver pietà e non abbandonarli alla morte in tale solitudine.
Da ultimo, vedendo che la nave proseguiva la sua rapida corsa e stava per arrivare fuori portata di voce, uno di loro (non so chi) saltò in piedi con un rauco grido, puntò il suo moschetto, e una palla passò fischiando sulla testa di Silver e bucò la vela maestra.
Allora ci riparammo dietro la murata; e quando io tornai a guardare essi erano scomparsi, e la stessa striscia di sabbia si era perduta nella lontananza. Così era finita con loro; e prima di mezzogiorno con mia indicibile gioia anche il più alto picco dell’isola del tesoro s’era affondato nel cerchio azzurro dell’orizzonte.
Trovandoci a corto d’uomini, dovevamo tutti dare una mano ai lavori di bordo; solo il capitano, disteso su un materasso a poppa, si limitava a trasmettere ordini, perché malgrado rimesso in forze aveva ancora bisogno di riposo. Non potendo affrontare il viaggio di ritorno senza rifornirci d’uomini, volgemmo la prua verso il più vicino porto dell’America spagnola; e quando vi giungemmo, ostacolati da venti contrari e da parecchie aspre raffiche, eravamo esausti.
Cadeva il sole mentre gettavamo l’ancora in un magnifico golfo circondato dalla terraferma e subito ci trovammo attorniati da un nugolo d’imbarcazioni piene di negri, indiani del Messico e mulatti che vendevano frutti e verdura e offrivano di tuffarsi per pochi spiccioli. La vista di tante facce ridenti — i negri specialmente — il sapore dei frutti tropicali, e soprattutto i lumi della città che incominciavano a brillare formavano il più delizioso contrasto col nostro torbido e sanguinoso soggiorno nell’isola. Il dottore e il cavaliere prendendomi con loro scesero a terra a passarvi la serata. Là s’incontrarono col capitano d’una nave da guerra inglese, e attaccarono discorso con lui che li condusse a bordo; in breve le ore volarono via così piacevolmente che già sorgeva l’alba quando ci accostavamo al fianco dell’Hispaniola.
Ben Gunn era sul ponte solo, e appena ci vide prese a raccontarci, tra le più buffe contorsioni, che Silver era fuggito. Il maroon aveva chiuso un occhio su quella fuga avvenuta poche ore prima sopra un canotto, e ci assicurava d’essersi così comportato per salvaguardare le nostre vite, che sarebbero certo state compromesse qualora «quell’uomo dalla gamba sola» fosse rimasto a bordo. Ma ciò non era tutto. Il cuoco non se n’era andato a mani vuote. Aveva furtivamente praticato un buco in un tramezzo, e s’era impadronito d’un sacco di monete, del valore forse di tre o quattrocento ghinee, per provvedere alle sue ulteriori peregrinazioni.
Io credo che fummo tutti contenti d’esserci liberati di lui così a buon mercato.
Infine, per abbreviare questa lunga storia, prendemmo alcuni uomini a bordo, facemmo un buon viaggio; e l’Hispaniola toccò Bristol proprio mentre il signor Blandly si disponeva ad armare la nave di conserva. Di tutti gli uomini ch’erano partiti con lei non più di cinque rimpatriavano. «Satana agli altri non ha fatto torto — con la bevanda li ha spediti in porto» spietatamente; quantunque, a dir vero, noi non ci trovassimo così mal ridotti come quell’altra nave della canzone:
Con un sol uomo della ciurma in vita |
Ciascuno di noi ebbe una larga parte del tesoro, che impiegò saggiamente o follemente a seconda della propria natura. Il capitano Smollett ha smesso di navigare. Gray non soltanto custodì il suo denaro, ma improvvisamente preso dal desiderio di imbarcarsi, s’impratichì del suo mestiere, e ora è secondo sopra un bel bastimento di cui possiede una parte; inoltre è ammogliato e padre di famiglia. Quanto a Ben Gunn, ricevette mille sterline, che scialacquò in tre settimane, o, per essere più esatto, in diciannove giorni, perché al ventesimo ricomparve con le tasche vuote. Allora gli fu dato un posto di portinaio, proprio come aveva temuto stando sull’isola; ed egli vive tuttora, grande beniamino dei ragazzi del luogo, che però ne fanno un poco il loro zimbello, e distinto cantore in chiesa la domenica e i giorni festivi.
Di Silver non si seppe altro. Quel terribile uomo di mare dalla gamba sola è finalmente fuori dal cerchio della mia vita; ma io credo che abbia ritrovato la sua vecchia negra e viva contento insieme con lei e il capitano Flint. Così almeno giova sperare, posto che non par molto probabile che la felicità lo aspetti nell’altro mondo.
Le verghe d’argento e le armi stanno ancora, per quel che io so, dove Flint le ha sotterrate, e per conto mio ci resteranno per un pezzo. Neanche un tiro di buoi potrebbe riportarmi in quell’isola maledetta; e i miei più paurosi incubi sono quando sento i cavalloni tuonare lungo la costa, o balzo d’improvviso sul mio letto, con nelle orecchie la stridula voce del capitano Flint: «Pezzi da otto! Pezzi da otto!»