L'isola del tesoro/Parte IV/XVIII
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Traduzione dall'inglese di Angiolo Silvio Novaro (1932)
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Con le ali ai piedi attraversammo la zona boscosa che ci separava dal fortino, sentendo a ogni passo le grida dei pirati risuonar più vicine. Presto udimmo il loro scalpiccio e lo schianto dei rami spezzati dalla furia della loro corsa.
Io capii che andavamo incontro a una seria scaramuccia e verificai la mia esca.
«Capitano», dissi, «Trelawney è un ottimo tiratore. Dategli il vostro fucile: il suo è inservibile.»
Scambiarono i fucili, e Trelawney muto e impassibile com’era stato fin dal principio del trambusto, sostò un momento per accertarsi che l’arma era in ordine. In quel mentre io, accortomi che Gray era inerme, gli porsi il mio coltellaccio. Egli si sputò nella mano, aggrottò le sopracciglia e agitò nell’aria la lama facendola sibilare; e noi n’avemmo il cuore allargato, perché ogni suo gesto diceva chiaro che la nostra nuova recluta valeva il pane che mangiava.
Quaranta passi più in là sbucammo sul margine del bosco, e vedemmo dinanzi a noi la palizzata. Abbordammo il recinto verso il mezzo del lato sud, e quasi al medesimo istante sette rivoltosi con Job Anderson, il mastro d’equipaggio, alla testa, apparvero gridando all’angolo sud-ovest.
Ristettero come sconcertati, e prima che si riavessero dalla sorpresa, il cavaliere e io non solo, ma anche Hunter e Joyce dall’interno della ridotta, fummo in tempo a far fuoco. I quattro colpi si sparpagliarono in una salva alquanto irregolare, ma ottennero lo scopo: uno dei nostri nemici cadde; e gli altri senza esitare voltarono le spalle e si tuffarono nella macchia.
Dopo aver ricaricato andammo giù lungo l’esterno della palizzata a vedere il nemico caduto. Era stecchito: la palla l’aveva colpito nel mezzo del cuore.
Stavamo rallegrandoci del nostro buon successo, quando un colpo di pistola crepitò nella boscaglia, una palla mi fischiò rasente all’orecchio, e il povero Tom Redruth tentennò e si abbatté lungo disteso al suolo. Il cavaliere e io rispondemmo al colpo, ma siccome tiravamo a casaccio, è probabile che soltanto sciupassimo la polvere. Dopo di che ricaricammo un’altra volta, e riportammo la nostra attenzione sul disgraziato Tom.
Il capitano e Gray erano già curvi su di lui, e io con una occhiata m’accorsi che tutto era finito.
Credo che, data la immediatezza della nostra relica, la salva avesse disperso nuovamente i ribelli, poiché senz’altra molestia potemmo prendere il corpo del vecchio guardacaccia, issarlo al disopra dello steccato e ricoverarlo, gemente e sanguinante, nella ridotta.
Il povero vecchio non aveva mai proferito una parola di sorpresa, di lamento, di paura, o anche solo di acquiescenza, dal principio delle nostre tribolazioni fino al momento in cui l’avevamo deposto lì dove doveva morire. S’era appostato nella corsia dietro il suo materasso come un valoroso troiano; aveva eseguito ogni ordine in silenzio e bene, con assoluta devozione; era di vent’anni il più anziano dei nostri: ed ecco, toccava a lui, a questo vecchio fedele e volonteroso servitore, morire.
Il cavaliere cadde in ginocchio accanto a lui, e gli baciò la mano singhiozzante come un fanciullo.
«Me ne vado, dottore?», chiese il moribondo.
«Tom, amico mio», risposi, «tu ritorni al Creatore.»
«Avrei prima voluto regalar qualcuno dei miei confetti a quelli là...»
«Tom», lo interruppe il cavaliere, «dimmi che mi perdoni, vuoi?»
«Le pare che sarebbe rispettoso, da me a lei, signor cavaliere? Nondimeno, così sia. Amen!»
Dopo un breve silenzio espresse il desiderio che qualcuno gli leggesse una preghiera. «È l’usanza, signore», aggiunse come per scusarsi. E poco dopo, senz’altre parole, spirò.
Frattanto il capitano del quale avevo osservato le tasche e il petto gonfi oltre misura, aveva tirato fuori un mucchio di cose, tra le più disparate: la bandiera inglese, una bibbia, un rotolo di corda abbastanza forte, penna e calamaio, il libro di bordo, e gran quantità di tabacco. Trovato poi nel recinto il fusto alquanto lungo di un abete abbattuto e spoglio, l’aveva con l’aiuto di Hunter rizzato al canto della ridotta dove i tronchi incrociati formavano un angolo; e arrampicatosi sul tetto, aveva con le sue stesse mani spiegata e issata la bandiera.
Ciò parve riconfortarlo assai. Dopo di che rientrò nella casa e si accinse a passare in rassegna le provvigioni quasi null’altro lo interessasse. Ma non mancò di badare al trapasso di Redruth, e appena questi ebbe chiuso gli occhi si appressò portando un’altra bandiera, e devotamente la distese sul cadavere.
«Non affliggetevi, signore», disse al cavaliere stringendogli la mano. «Egli è fortunato: nulla ha da temere un marinaio che è morto compiendo il proprio dovere verso il capitano e verso l’armatore. Può non essere buona teologia, questa, ma è un fatto.»
Poi mi trasse in disparte.
«Dottor Livesey», mi chiese, «fra quante settimane credete che arriverà l’altra nave?»
Gli risposi che non si trattava di settimane, bensì di mesi; che se noi non fossimo ritornati alla fine d’agosto, Blandly avrebbe mandato qualcuno a cercarci, ma né prima né dopo. «Può lei stesso fare il conto», aggiunsi.
«Ebbene», riprese il capitano grattandosi la testa, «pur facendo una larga parte ai benefici della Provvidenza, direi che siamo piuttosto mal ridotti».
«Cioè?»
«È un peccato che abbiamo perduto questo secondo carico — ecco cosa intendevo dire», replicò il capitano. «Per le munizioni ce la potremo cavare, ma quanto a viveri siamo scarsi, assai scarsi: al punto, dottor Livesey, che quasi è un bene ritrovarci con quella bocca di meno.»
E accennò con l’indice al corpo che giaceva sotto la bandiera.
In quel momento con un ruggito e un sibilo una palla passò in alto al disopra del tetto della casa e andò a cadere lontano nella boscaglia.
«Ohò!», esclamò il capitano. «Fuoco volante! Avete già abbastanza poca polvere, i miei giovinotti!»
Al secondo tentativo il colpo fu meglio diretto, e il proiettile cadde entro lo steccato sollevando una nuvola di sabbia, ma senza cagionare altro danno.
«Capitano», fece il cavaliere, «la casa è del tutto al di fuori della visuale del bastimento. Probabilmente mirano alla bandiera. Non converrebbe abbassarla?»
«Abbassare la mia bandiera?», gridò il capitano. «No, signore, mai!»: queste parole riscossero il generale consenso, poiché quell’uscita rivelava non solo il maschio valoroso uomo di mare, ma anche l’accorgimento politico di chi intendeva mostrare al nemico che non temeva le sue cannonate.
Durante tutta la serata si accanirono a bombardare. L’una dietro l’altra le palle ci oltrepassavano o non arrivavano fino a noi, o cacciavano in aria la sabbia dello steccato: ma il tiro era talmente elevato che la palla ricadeva morta e si affondava nella soffice arena. Nessun rimbalzo v’era da temere, e quantunque un proiettile fosse penetrato per il tetto nella casa andando a conficcarsi nel pavimento, presto ci abituammo a quel gioco grossolano senza dargli più importanza che al cricket.
«C’è una cosa buona, in tutto questo», osservò il capitano, «ed è che il bosco dinanzi a noi è sgombro. La marea da un po’ di tempo si sta ritirando; le nostre provvigioni dovrebbero trovarsi all’asciutto. C’è qualcuno che voglia andare a prendere del lardo?»
Gray e Hunter si offrirono per primi. Armati fino ai denti si slanciarono fuori dello steccato, ma senza frutto, poiché gli ammutinati, più arditi che non sospettassimo, ovvero fidenti nella perizia di tiratore di Israel, stavano già impadronendosi delle provvigioni e trasportandole a guado in una delle imbarcazioni ch’era lì presso e che un remo opportunamente manovrato manteneva ferma contro la corrente. Silver installato a poppa teneva il comando, e ognuno di loro adesso era munito d’un moschetto tratto da non si sa quale nascondiglio.
Il capitano intanto seduto davanti al libro di bordo scriveva:
Alexander Smollett, capitano; David Livesey, medico di bordo; Abraham Gray, secondo carpentiere; John Trelawney, armatore; John Hunter e Richard Joyce, servi dell’armatore, i soli dell’intero equipaggio rimasti fedeli, avendo viveri per dieci giorni a mezza razione, sbarcarono oggi e issarono la bandiera britannica sul fortino dell’isola del tesoro. Thomas Redruth, servo dell’armatore, guardacaccia, ucciso dai ribelli, James Hawkins mozzo...
Proprio in quel punto, mentre io mi commuovevo pensando alla sorte del ragazzo, una voce si udì dalla parte di terra.
«Qualcuno che chiama», disse Hunter che era di guardia.
«Dottore! Cavaliere! Capitano! Hallo! Hunter, siete voi?», squillò la voce.
Ed io corsi alla porta, e giunsi in tempo per vedere Jim Hawkins sano e salvo scavalcare lo steccato.