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L'alitinonfo Proemio

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all’illustrissimo signore mio osservandissimo

il signor conte ALFONSO ESTENSE TASSONI

degnissimo giudice de’ savi e consigliere secreto

del serenissimo signore

il signor don ALFONSO QUINTO

duca di ferrara, ecc.

Chi vorrá considerare i generali disordini che tuttodí si sentono e sonosi quasi in ogni parte del mondo da molti anni in qua sentiti, e anco quelli che seguir potrebbono per la varia alterazione, che sinora è stata usata e piú che mai si usa e si userá di continovo, se non vi si provede, delli prezzi e valori dei due preciosi metalli, oro ed argento, tanto non coniati quanto anco ridotti in monete — non si trovando forma o regola, con la quale essi debbano in universale esser mantenuti per sempre in una reale e proporzionata corrispondenza cosí delli pesi come delli valori; ma piú tosto che siano, come sono, ogni qualch’anno mossi e di qualche valore accresciuti, e ciò secondo la varia disposizione degli appetiti degli uomini, tutto che i prencipi frequentemente con quella maggior diligenza che possono, sí come fa il serenissimo duca nostro signore, cerchino, con gride, bandi ed altri simili mezi, di fermarli in un giusto essere e in diversi modi a ciò provedere; — e chi vorrá insieme pensare con quanti danni e bestemmie degli uomini la peste di questa commune alterazione domini e regni, chiaramente conoscerá con qual giusta occasione, spinto dal zelo del ben commune e non per alcuna mia particolare ambizione o interesse, io mi sia mosso a scrivere questo Discorso, per mezo del [p. 4 modifica]quale io spero (quando egli sará dal mondo accettato) che si dará tal forma e regola ad essi oro ed argento, che da ora inanzi non si temerá dell’incendio, che (com’ho detto), giá tanto tempo fa, il mondo consuma e distrugge. Né qui si dee alcuno maravigliare come io mi sia posto in questa fatica, nella quale per i tempi passati tanti altri, piú di me svegliati e di tal maneggio studiosi e prattici, non hanno avuto ardire d’implicarsi, percioché, forse da questi essendo stato conosciuto con quanta difficultá si possano le giá permesse usanze dal mondo levare ed in vece loro nuovi riti ed ordini introdurre, non hanno voluto in questa impresa ingerirsi. Ma io, c’ho molte fiate intorno questo fatto pensato, e che appresso mi trovavo in obligo verso Sua Altezza per la promessa fattale, col mezo però e parola di V. S. illustrissima, quando io fui, ha giá quattr’anni, mandato dalla mia patria sopra il trattato delle cose delle monete ambasciatore al detto serenissimo prencipe; posto da banda ogni rispetto né istimando fatica alcuna, ho scritto quanto in questo Ella potrá vedere, con ferma speranza di dover fare cosa giovevole al mondo in generale, onorevole ed utile a’ prencipi, e sopra il tutto gratissima a Dio, ed anco (come mi rendo sicuro) da non dispiacere a detta Sua Altezza ed a V. S. illustrissima; alla quale ho voluto questa mia fatica indrizzare, sí per l’obligo ch’io le tengo infinito, sí perché so che, mercé sua, di cuor Ella mi ama. Restami solo a pregarla ad essermi intorno ciò scudo e difensore contro le lingue di coloro che sopra ciò cercheranno di mordermi, non volendo col loro retto giudicio conoscere e possedere intieramente la veritá del fatto da me proposto: ché tutto ciò riceverò in singolar grazia da lei. Alla quale facendo umilmente riverenza, prego da Nostro Signor Iddio ogni contentezza e felicitá.

Di Reggio, il 16 maggio MDLXXIX.

Di V. S. illustrissima

obligatissimo servitore
Gasparo Scaruffi.