Favole (La Fontaine)/Libro decimo/II - L'Uomo e la Biscia

Libro decimo

II - L'Uomo e la Biscia

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Jean de La Fontaine - Favole (1669)
Traduzione dal francese di Emilio De Marchi (XIX secolo)
Libro decimo

II - L'Uomo e la Biscia
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Un Uom vide una Biscia
e disse: - Un beneficio, s’io l’uccido,
farò di certo a tutto l’universo -.
E l’animal perverso
(dico la biscia, e prego non confondere
coll’uom, che è molto facile)
è preso, dentro un sacco rinserrato
e colpevole o meno, io non decido,
a morte condannato.
Per dargli tuttavia qualche ragione
l’Uomo gli sfoderò questo sermone:

- O simbol degli ingrati, è verso i tristi
stoltezza la pietà.
Or muori, e il tuo velen più non contristi
la mesta umanità -.
A questo dir in sua voce dolente
risposegli il serpente:
- Ohimè! se tu condanni quanti sono
al mondo ingrati, a chi darai perdono?
A te, fratel, tu stesso
colle parole tue muovi il processo,
ond’io ritorco in te quegli argomenti
che tu per gli altri inventi.
I giorni miei distruggere tu puoi,
perché così conviene
solo al tuo bene ed ai capricci tuoi.
L’uomo comanda e regge
"e libito fa licito in sua legge".
Ma lascia ch’io dichiari coll’estreme
parole mie, che il serpente non è,
ma ben è l’uomo degli ingrati il re -.
L’altro rimase come l’uom che teme
a questo dire, e quindi a lei rispose:
- Sono ragioni insipide e noiose
che potrei tagliar corto, e tuttavia
rinuncio al mio diritto e vo’ che sia
nell’affare alcun giudice invitato -.
E il rettile: - Accettato -.

Una giovenca vien chiamata in mezzo,
ascolta, poi risponde:
- La Biscia n’ha ben donde
se si lamenta, è chiara come il sole.
Quando ho veduto il prezzo
io de’ servigi miei, da cui l’uom suole
trarre ogni giorno il vitto?
Sempre per lui, tutto per lui, non mai
per me, pei figli miei qualche profitto.
Col latte e coi vitelli
egli ingrassò, si riempì la mano,
io lo mantenni sano
contro i danni del tempo alle mie pene
ei deve, se poté
vivere sempre allegramente e bene,
ed ora, ed ora, ahimè,
perché son vecchia, senza un fil di fieno
mi lascia in un cantuccio. Oh dato almeno
mi fosse di brucar quattro fogliette
nel prato! no, mi tiene
legata alle catene.
L’avrei creduto verso me più pio,
se stato fosse un anima di serpe.
Ho detto quel che penso e chiaro, addio -.

Poco contento l’Uom della sentenza,
allor disse alla Biscia:
- E credi a questa scema,
a una vecchia bisbetica che trema
nel cervello? Sentiamo un poco il bue.
- Sentiamo pure le ragioni sue, -
a lui rispose l’animal che striscia.

Sen viene il bove lento e dopo un lento
e lungo ruminar apre la bocca,
e dice che da molti anni gli tocca
d’ogni fatica il ruvido tormento,
eterna litania di tutti i mali,
sempre a tirar costretto
ciò che Cerere all’uom, agli animali
offre ne’ campi suoi.
Qual era il premio riserbato ai buoi?
Botte a bizzeffe e assai poco rispetto,
finché vecchi e scannati sull’altare
andavan del lor sangue ad implorare,
a titol quasi d’onorificenza,
pei peccati dell’uomo l’indulgenza.

- O noioso, va’ via, declamatore! -
ancor grida il padrone, -
e credi forse colle parolone
farti del tuo signor l’accusatore?
Non ti conosco, stupido, ma questo
albero qui presente
dica da tronco onesto
quel che pensa di me sinceramente -.

Ma l’albero chiamato a dire il vero
fu ancora più severo.
Egli era contro il caldo e contro il vento
e contro l’uragano un buon ombrello.
Egli era de’ giardini l’ornamento
e nei campi non sol d’ombre cortese,
ma ancor di frutti saporito e bello.
Ebben, per sua mercede un rozzo arnese
ecco l’abbatte al suolo!
Invan all’uomo è l’albero gentile
di fior nel dolce aprile,
invano a lui di pomi empie il cestello.

Invan d’estate le sue foglie ei spiega
e nell’inverno allegra il focherello.
- De’ miei difetti mi corregga pure
l’uomo, ma non adoperi la scure,
e non tronchi la vita a cui mi serba
natura, colla sua mano superba -.

Irato l’Uomo ch’altri lo confonda
volle la lite vincere per forza,
e disse: - Sciocco me, che ascolto queste
fanfaluche moleste! -.
Nella vendetta il suo corruccio smorza,
battendo il sacco contro ad una grotta,
infin che il serpe ebbe la testa rotta.