Dall’aria la regina, io dico l’Aquila,
in compagnia di monna Berta un giorno
(sì diverse fra lor di vesti e d’anima)
volavan d’un bel prato verde intorno.
Giunte in un luogo alquanto solitario,
la Gazza ebbe timor; ma la Signora,
che si sentiva per quel giorno sazia,
con parole amorose la rincora.
Poi dice: - Se il buon Dio dentro le nuvole
s’annoia a contemplar le stelle e il sole,
anch’io posso annoiarmi che son l’Aquila
sua serva... Orsù, scambiam quattro parole.
Discorriamo, rompiam questa tetraggine,
sorella mia, con qualche fatterello -.
E volentier ciarlò Gazza pettegola,
qua e là mettendo il becco, in questo, in quello.
Quel tal ciarlon di cui racconta Orazio,
che il bene e il mal dicea d’ogni persona,
non sapeva che cosa fosse chiacchiera
di fronte a questa Gazza cicalona.
Ella ch’è buona spia, tosto s’incarica
di riferir le grandi novità,
ascoltando, girando, e quindi all’Aquila
ridirà tutto ciò ch’ella saprà.
Ma l’Aquila, che già freme di collera,
- Addio, - grida, - ciarlona, resta qui:
non voglio alla mia corte una pettegola -;
e con piacer dell’altra sen partì.
Seder presso gli dèi non è sì facile,
come si crede, e costa immenso affanno.
Ciarloni, spie, persone a fondo doppio
a stento il posto lor vi troveranno.