Un’Anitra, un Cespuglio e un Pipistrello,
non trovando fortuna nel paese,
fanno una lega ed a comuni spese
vanno in cerca d’un sito un po’ più bello.
Con agenti e commessi una gran banca
aprirono e un’azienda, in cui non manca
un registro, una penna, un calamaio.
Ma sul più buon scoppiò subito un guaio.
Tirato in stretti gorghi il capitale
e in un mar pien di scogli, in un momento
precipitò nel baratro infernale,
che dal volgo si chiama fallimento.
Ma il mio terzetto non strillò. Sapienza
è invece d’ogni straccio di mercante,
quando perde, di far sempre sembiante
che guadagna e salvare l’apparenza.
Ma questa volta il tonfo è così grande,
che la voce in un subito si spande:
senza denari, credito e soccorso,
eran ridotti a far ballare l’orso.
Con sbirri, e carte, e citazioni intorno,
con creditori indocili, indiscreti,
un momento non erano quieti
dallo spuntare al tramontar del giorno.
E congiuravan per trovar appigli
di non pagar; ma inutilmente, credi,
il Cespuglio cacciavasi fra i piedi
della gente per chiedere consigli;
tormentato dai birri iva anche lui
il Pipistrel negli angoli più bui,
e l’Anitra tuffavasi nel mare
la mercanzia perduta a ricercare.
Conosco debitori, che non sono
Pipistrelli, non Anitre e Cespugli,
ma nobiloni, i quali han questo dono
d’uscir per la scaletta dei garbugli.