Izquierda de copia - nuovi sensi del possesso nell'era digitale/2.0 Copyleft: spiegazioni e usi/2.1 Introduzione al concetto di copyleft

2.1 Introduzione al concetto di copyleft

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2.0 Copyleft: spiegazioni e usi 2.0 Copyleft: spiegazioni e usi - 2.2 Licenze OpenContent (per prodotti non software)

Il termine copyleft viene dalla parola inglese “copyright” (“diritto alla copia”): “right”, che significa anche “destra”, “giusto”, viene sostituito da “left”, in un gioco di parole che si fa intraducibile. Il titolo di questa tesi deriva dalla traduzione forzata di questo gioco di parole dall’inglese al castellano: in Spagna, infatti, “copyleft” diventa “izquierda de copia” (in un paese abituato a tradurre ogni singola parola inglese, left è stato naturalmente sostituito con izquierda, ovvero sinistra).

La prima traccia di copyleft della storia si può trovare nelle prime nove righe del codice sorgente di Tiny BASIC per il processore di un Intel 8080, scritto nel 1976 da Li-Chen Wang, professore all’università di Palo Alto. La scritta diceva: “Copyleft, all wrongs reser- ved”. Il codice faceva parte di un grande progetto open source, e quando fu modificato la scritta “all wrongs reserved” rimase.

Le discussioni sulle tematiche del copyleft sono nate all’interno della comunità informatica, ma da molto tempo, ormai, questo modo di gestire il diritto d’autore ha pervaso ogni campo artistico, scientifico e -in generale- creativo, diventando addirittura la bandiera di un vastissimo movimento socio-culturale che ha investito tutto il mondo.
E’ un concetto che prende forma nella nostra società multimediale, e non prima, perchè la diffusione a livello massiccio delle nuove tecnologie ha permesso una conseguente distribuzione di cultura un tempo impensabile: traslate a nuovi tipi di supporti di una consistenza fisica minima, le opere dell’ingegno umano possono viaggiare sui continenti attraverso le reti, ad un costo prossimo allo zero e ad una velocità impressionante.

La digitalizzazione è stata una delle più grandi rivoluzioni nel campo della produzione intellettuale umana, e doveva inevitabilmente portare a questionarsi sul diritto d’autore.
E’ diventato perciò necessario ripensare alcuni concetti, perchè quelli esistenti non erano più sufficienti a gestire questo nuovo tipo di diffusione di opere dell’ingegno, e non solo. Infatti, con le reti si diffondono anche nuovi modi di creare, basati sulla cooperazione attraverso Internet di milioni di utenti. Il risultato di tali “collaborazioni planetarie” è un tipo di opera che non può essere distribuita con le vecchie norme sul diritto d’autore, e questo accade sempre più spesso: creatore e pubblico si fondono, l’autore unico scompare per lasciare spazio alla società-autore, lo spettatore diventa co-autore e diffusore... E’ un panorama artistico molto allettante, che dà continuamente vita a nuovi spunti creativi, un tempo impensabili, ma non può rimanere in un campo “abusivo” della legiferazione sul diritto d’autore.

Le licenze di tipo copyleft sono nate in territorio americano, ma si sviluppano e vivono in Internet, il non-luogo per eccellenza che non conosce e non vuole confini, nè fisici nè politici nè giuridici.

A differenza del brevetto, l’acquisizione del diritto d’autore è automatica con la creazione dell’opera e non comporta l’iscrizione dell’autore alla SIAE (vedi Lessico alla voce SIAE) o altri organi simili. Una certificazione è utile solo al fine di proteggere la paternità dell’opera in eventuali controversie giuridiche. Esistono vari sistemi per provare l’esistenza di un’opera da una certa data in poi:

  • pubblicazione in una rivista
  • deposizione dell’opera in un ufficio pubblico il cui compito è protocollare certi tipi di documenti (questo avviene con le tesi di laurea nelle università)
  • registrazione presso gli uffici della SIAE o enti simili
  • registrazione presso un ufficio notarile
  • invio dell’opera a sè stessi tramite raccomandata (da non aprire se non in casi di estrema urgenza, come nei film di spionaggio!).



Per la legge italiana (633/1941), il diritto d’autore serve a proteggere da plagio o furto le opere dell’ingegno umano come scritti, musica, arte visiva eccetera.
Mentre il diritto morale (cioè il diritto di paternità dell’opera) è inalienabile e irrinunciabile e spetta solo all’autore, i diritti di utilizzazione economica si possono vendere (o regalare) a terzi. In questo caso, l’opera cade sotto pubblico dominio solo 70 anni dopo la morte dell’autore.
Esistono vari casi in cui si può liberamente utilizzare parte dell’opera (quello che nelle leggi americane è il cosiddetto fair use), ma quando la SIAE avanzò la pretesa di un compenso economico anche per il fair use a scopo didattico, in Italia si aprì il dibattito che portò alla concessione della pubblicazione, in Internet, di materiale “a bassa risoluzione” (!) a titolo gratuito e a scopo didattico.

Con una licenza di tipo copyright, i soggetti individuabili sono solitamente autore, editore e produttore. Con una di tipo copyleft, abbiamo da un lato il licenziante-autore, dall’altro il licenziato-fruitore, il quale può trasformarsi a sua volta in un soggetto attivo in questo processo modificando, copiando, ridistribuendo l’opera.

Il copyright ha una vita di due secoli ed è stato largamente studiato e discusso.
Gli studi sulle nuove licenze, invece, sono ancora in fase embrionale, e molti aspetti controversi potranno essere studiati solo con il passare del tempo, con l’aggiornamento delle licenze e comunque sempre sulla base dei singoli casi.
Le associazioni che rilasciano i testi di tali licenze non sono e non possono essere soggetti attivi nei rapporti giuridici che attraverso di esse si vengono a stipulare. Ovvero, le licenze vengono fornite così come sono, e hanno validità fino al momento in cui qualcuno non ne dimostra l’illegittimità giuridica in un determinato tempo e luogo, e applicato ad un singolo caso concreto. Questo significa che la stessa licenza può non avere legittimità in un caso ma essere pienamente legale ed effettiva in un altro.
Un problema serio sorgerebbe nel momento in cui dette associazioni cominciassero a rilasciare licenze in versioni aggiornate, che però soppianterebbero le precedenti. In teoria non sarebbe legale, perchè l’autore che ha scelto di applicare alla propria opera una licenza copyleft non poteva sapere, in quel momento, che in futuro le clausole –e quindi il destino della sua opera- sarebbero cambiati.

Un problema rilevante delle licenze copyleft –nato tra l’altro dalla loro peculiarità principale, ovvero la libertà che ognuno possiede di scrivere la propria licenza, a patto che sia giuridicamente valida- è il loro eccessivo proliferare e la conseguente difficoltà di monitoraggio a livello globale di un numero spropositato di licenze.
Questo nodo è anche un punto di scontro tra Open Source Initiative e Free Software Foundation. La prima ha semplicemente stilato dieci regole che definiscono un software come open source a tutti gli effetti (la Open Source Definition). La seconda vorrebbe imporre un unico tipo di licenza, la GNU GPL, e tollerarne le derivanti, a patto che abbiano lo stesso senso giuridico.
Comunque, c’è da notare come la maggior parte delle diatribe risulti, ad un occhio critico e soprattutto non di parte, puramente teorica, per non dire futile e puerile, perchè i risultati ai quali si vuole giungere spesso sono gli stessi, per entrambe le parti... quindi smettiamola di litigare.

Creative Commons Swag Contest 2007. Di Tyler Stefanich.
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