Italia - 26 settembre 1938, Discorso di Verona

Benito Mussolini

1938 Discorso di Verona Intestazione 5 luglio 2013 75% Discorsi/Fascismo

Il 26 settembre, parlando al popolo, Hitler conferma l’incrollabile volontà del Reich di liberare i tre milioni e mezzo di tedeschi oppressi dal governo di Praga. L’Europa è ormai divisa in due campi avversi. Parigi si barda per la guerra; Londra comincia a scavare trincee nelle strade; in Cecoslovacchia si combatte fra insorti polacchi, insorti sudetici e truppe governative; il nuovo ordine di mobilitazione comprende le donne e i bambini. L’Europa di Versaglia agonizza. Ma la nuova Europa sorgerà dai campi di battaglia insanguinati o da una pacifica intesa secondo giustizia e secondo il principio dell’autodecisione dei popoli?
Chamberlain dichiara di non perdere le ultime speranze: l’uomo che non aveva esitato a servirsi dell’aeroplano, quasi settantenne e per la prima volta in vita sua, per raggiungere al più presto il Führer e sottoporgli le sue proposte di intesa con al Cecoslovacchia, comincia forse a pensare che soltanto il Duce potrà salvare l’Europa.
Ma il Duce è a Verona, accolto dalla passione travolgente del suo popolo, meraviglioso di forza e serenità; e a Verona, il 26 settembre, il Duce rivolge un supremo appello all’Europa. È il discorso ceh chiude il viaggio nelle Venezie. Eccone il testo


Camicie Nere di Verona, di questa mia un poco, molto, Verona, di questa Verona romana, bersaglieresca, fascista nell’anima fin dalla Vigilia!

Con questa maestosa adunata di popolo, accompagnata da uno schieramento superbo di forze, si chiude il mio viaggio tra le genti del Veneto e il mio pellegrinaggio sui campi sacri delle nostre gloriose battaglie. (L’enorme folla grida ad una sola voce: «Ritorna, ritorna!»).

I nostri avversari, coloro ai quali io allusi l’altro giorno davanti alla fremente adunata delle Camicie Nere di Belluno, i nostri avversari raccolti sotto i segni del triangolo e della falce e martello, avevano in questi ultimi tempi dato corpo alle loro pietosissime speranze.

Queste moltitudini, che hanno risposto in modo univoco alle mie domande, dimostrano a tutti, dico a tutti, che mai come in questo momento fu totale, intima, profonda la comunione tra Fascismo e Popolo italiano. (La moltitudine grida: «Sì, sì!»).

E questo Popolo italiano non è disorganizzato e senza anima come molti altri popoli; è potentemente inquadrato, armato spiritualmente e pronto ad esserlo anche materialmente. (Il popolo risponde ancora con un solo urlo: «Sì, sì!»).

Lo svolgersi degli eventi che tengono in questo momento sospesi gli animi, ci permette oggi di fare il punto della situazione.

Bisogna riconoscere e apprezzare gli sforzi che il Primo Ministro britannico ha compiuto per dare una soluzione al problema dell’ora.

Bisogna uguale riconoscimento fare per la longanimità di cui ha dato prova fin qui la Germania.

Il memorandum tedesco non si discosta dalle linee che erano state approvate nella riunione di Londra. È di tutta evidenza che se i céchi saranno lasciati a contare sulle loro forze, saranno i primi forse a riconoscere che non vale la pena d’impegnare un combattimento sul cui esito finale non può esistere dubbio alcuno.

Dal momento che è stato posto dalle forze irresistibili della storia, il problema, che ha un triplice aspetto: tedesco, magiaro, polacco, deve essere integralmente risolto.

Se vi è uomo in questo momento in Europa che è il più indicato a rendersi conto di quello che succede, questo uomo è il presidente della repubblica cecoslovacca.

Egli è stato uno degli artefici più ostinati, se non maggiori, della disgregazione della duplice monarchia absburgica. Allora egli parlava di una Nazione boema.

La sua rivista che si intitolava La Nazione cecoslovacca sosteneva ciò esplicitamente. Ed egli stesso lo andava dichiarando ovunque, ivi compresa Ginevra. Ginevra è in quello stato che i medici chiamano comatoso. Tutti quelli che si oppongono all’Italia devono finire così.

Ora le parole pronunciate in quel tempo furono labilissime. Questi venti anni di storia lo hanno dimostrato.

Lo sviluppo degli avvenimenti può svolgersi secondo queste linee: ci sono ancora alcuni giorni di tempo per trovare una soluzione pacifica. Se questa non si trova, è quasi sforzo sovrumano potere impedire un conflitto.

Se questo scoppia (la folla grida: «Siamo pronti, siamo pronti!») in un primo tempo può essere localizzato.

Io credo ancora che l’Europa non vorrà mettersi a ferro e a fuoco, non vorrà bruciare se stessa per cuocere l’uovo imputridito di Praga.

L’Europa si trova di fronte a molti bisogni, ma certamente il meno urgente di tutti è quello di aumentare il numero degli ossari che sorgono così frequenti sulle frontiere degli Stati.

Vi è tuttavia da prevedere il terzo tempo: quello nel quale il carattere del conflitto sarà tale che ci impegnerà direttamente. E allora non avremo e non permetteremo nessuna esitazione.

Debbo ancora aggiungere che la successione di questi tre tempi può essere straordinariamente rapida. (La moltitudine urla: «Non importa, non importa!»).


Camerati!

È inutile che i diplomatici si affatichino ancora per salvare Versaglia. L’Europa che fu costruita a Versaglia, spesso con una piramidale ignoranza della geografia e della storia, questa Versaglia agonizza. La sua sorte si decide in questa settimana.

È in questa settimana che può sorgere la nuova Europa: l’Europa della giustizia per tutti e della riconciliazione fra i popoli.


Camicie Nere!

Noi del Littorio siamo per questa nuova Europa.


Più tardi, all’Arena, dopo una manifesatazione di massa, offerto dal popolo e dalle forze giovanili e chiusa da un formidabil coro di decine di migliaia di voci, il Duce, ammirato e commosso, fattosi portare un microfono, dice che «non dimenticherà mai lo spettacolo di fede e di gioia a lui offerto in questa grande e sacra vestigia di Roma».
Due giorni dopo, invocato da Chamberlain, il Duce salverà l’Europa.