Istorie fiorentine/Libro terzo/Capitolo 27

Libro terzo

Capitolo 27

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Stando così la città, con molti mali contenti dentro e molti sbanditi di fuora, si trovavano intra gli sbanditi, a Bologna Picchio Cavicciuli, Tommaso de’ Ricci, Antonio de’ Medici, Benedetto degli Spini, Antonio Girolami, Cristofano di Carlone, con duoi altri di vile condizione, ma tutti giovani, feroci e disposti, per tornare nella patria, a tentare ogni fortuna. A costoro fu mostro per secrete vie, da Piggiello e Baroccio Cavicciuli, i quali, ammuniti, in Firenze vivevano, che, se venivono nella città secretamente, gli riceverebbono in casa, donde e’ potevono poi, uscendo, ammazzare messer Maso degli Albizzi e chiamare il popolo alle armi; il quale, sendo male contento, facilmente si poteva sollevare massime perché sarebbono da’ Ricci, Adimari, Medici, Mannelli e da molte altre famiglie seguitati. Mossi per tanto costoro da queste speranze, a dì 4 di agosto nel 1397, vennono in Firenze, ed entrati secretamente dove era stato loro ordinato, mandorono ad osservare messer Maso, volendo da la sua morte muovere il tumulto. Uscì messer Maso di casa, e in uno speziale, a San Piero Maggiore propinquo, si fermò. Corse chi era ito ad osservarlo, a significarlo a’ congiurati, i quali, prese le armi e venuti al luogo dimostro, lo trovorono partito; onde, non sbigottiti per non essere loro questo primo disegno riuscito, si volsono verso Mercato vecchio, dove uno della parte avversa ammazzorono; e levato il romore, gridando: - popolo, arme, libertà - e: - muoiano i tiranni, - volti verso Mercato nuovo, alla fine di Calimara ne ammazzorono un altro; e seguitando con le medesime voci il loro cammino, e niuno pigliando le armi, nella loggia della Nighittosa si ridussono. Quivi si missono in luogo alto, avendo grande moltitudine intorno, la quale più per vedergli che per favorirgli era corsa, e con voce alta gli uomini a pigliare le armi e uscire di quella servitù che loro avevano cotanto odiata confortavano, affermando che i rammarichii de’ mali contenti della città, più che le ingiurie proprie, gli avevano a volergli liberare mossi, e come avevano sentito che molti pregavano Iddio che dessi loro occasione di potersi vendicare, il che farebbono qualunque volta avessero capo che gli movesse, e ora che la occasione era venuta, e che gli avevano i capi che gli movevano, sguardavano l’uno l’altro, e come stupidi aspettavano che i motori della liberazione loro fussero morti e loro nella servitù raggravati; e che si maravigliavano che coloro i quali per una minima ingiuria solevono pigliare le armi, per tante non si movessero, e che volessero sopportare che tanti loro cittadini fussero sbanditi, e tanti ammuniti; ma che gli era posto nello arbitrio loro rendere agli sbanditi la patria e agli ammuniti lo stato. Le quali parole, ancora che vere, non mossono in alcuna parte la moltitudine, o per timore, o perché la morte di quelli duoi avesse fatti gli ucciditori odiosi. Tale che, vedendo i motori del tumulto come né le parole né i fatti avevono forza di muovere alcuno, tardi avvedutisi quanto sia pericoloso volere fare libero un popolo che voglia in ogni modo essere servo, disperatisi della impresa, nel tempio di Santa Reparata si ritirorono, dove, non per campare la vita, ma per differire la morte, si rinchiusono. I Signori, al primo romore, turbati, armorono e serrorono il Palagio; ma poi che fu inteso il caso, e saputo quali erano quelli che movevono lo scandolo, e dove si erano rinchiusi, si rassicurorono, e al Capitano con molti altri armati che a prendergli andassero comandarono. Tale che senza molta fatica le porte del tempio sforzate furono, e parte di loro, difendendosi, morti, e parte presi. I quali esaminati, non si trovò altri in colpa fuora di loro, che Baroccio e Piggiello Cavicciuli, i quali insieme con quelli furono morti.