Era in Firenze intra i primi cittadini del governo, e molto di lunga agli altri superiore, messer Tommaso Soderini, la cui prudenza e autorità, non solo in Firenze, ma appresso a tutti i principi di Italia era nota. Questi, dopo la morte di Piero, da tutta la città era osservato; e molti cittadini alle sue case, come capo della città, lo vicitorono, molti principi gli scrissono. Ma egli, che era prudente e che ottimamente la fortuna sua e di quella casa cognosceva, alle lettere de’ principi non rispose, e a’ cittadini fece intendere come, non le sue case, ma quelle de’ Medici si avevano a vicitare. E per mostrare con l’effetto quello che con i conforti aveva dimostro, ragunò tutti i primi delle famiglie nobili nel convento di Santo Antonio, dove fece ancora Lorenzo e Giuliano de’ Medici venire; e quivi disputò, con una lunga e grave orazione, delle condizioni della città, di quelle di Italia e degli umori de’ principi d’essa, e concluse che, se volevano che in Firenze si vivesse unito e in pace, e dalle divisioni di dentro e dalle guerre di fuora securo, era necessario osservare quegli giovani e a quella casa la reputazione mantenere: perché gli uomini di fare le cose che sono fare consueti mai non si dolgono, le nuove, come presto si pigliano, così ancora presto si lasciano, e sempre fu più facile mantenere una potenza la quale con la lunghezza del tempo abbia spenta la invidia, che suscitarne una nuova la quale per moltissime cagioni si possa facilmente spegnere. Parlò, apresso a messer Tommaso, Lorenzo, e benché fusse giovane, con tanta gravità e modestia, che dette a ciascheduno speranza di essere quello che di poi divenne. E prima partissero di quel luogo, quegli cittadini giurorono di prendergli in figliuoli, e loro in padri. Restati adunque in questa conclusione, erano Lorenzo e Giuliano come principi dello stato onorati; e quelli dal consiglio di messer Tommaso non si partivano.