Mentre che queste cose in questa maniera si travagliavano, venne il tempo che il supremo magistrato si rinnuova; al quale per gonfalonieri di giustizia fu Niccolò Soderini assunto. Fu cosa maravigliosa a vedere con quanto concorso non solamente di onorati cittadini ma di tutto il popolo, e’ fusse al Palazzo accompagnato; e per il cammino gli fu posta una grillanda di ulivo in testa, per mostrare che da quello avesse e la salute e la libertà di quella patria a dependere. Vedesi, per questa e per molte altre esperienze, come non è cosa desiderabile prendere o uno magistrato o uno principato con estraordinaria opinione; perché, non potendosi con le opere a quella corrispondere, desiderando più gli uomini, che non possono conseguire, ti partorisce, con il tempo, disonore e infamia. Erano messer Tommaso Soderini e Niccolò fratelli: era Niccolò più feroce e animoso; messer Tommaso più savio. Questi, perché era a Piero amicissimo, cognosciuto l’umore del fratello, come egli desiderava solo la libertà della città e che sanza offesa di alcuno lo stato si fermasse, lo confortò a fare nuovo squittino, mediante il quale le borse de’ cittadini che amassero il vivere libero si riempiessero; il che fatto, si verrebbe a fermare e assicurare lo stato sanza tumulto e sanza ingiuria di alcuno, secondo la volontà sua. Credette facilmente Niccolò a’ consigli del fratello, e attese in questi vani pensieri a consumare il tempo del suo magistrato; e dai capi de’ congiurati, suoi amici, gli fu lasciato consumare, come quelli che per invidia non volevono che lo stato con l’autorità di Niccolò si rinnovasse, e sempre credevano con uno altro gonfaloniere essere a tempo ad operare il medesimo. Venne per tanto il fine del magistrato di Niccolò, e avendo cominciate assai cose e non ne fornite alcuna, lasciò quello assai più disonorevolmente, che onorevolemente non lo aveva preso.