Istorie fiorentine/Libro secondo/Capitolo 17

Libro secondo

Capitolo 17

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Questo umore, da Pistoia venuto, lo antico odio intra i Cerchi e i Donati accrebbe, ed era già tanto manifesto che i Priori e gli altri buoni cittadini dubitavano ad ogni ora che non si venisse infra loro alle armi, e che da quelli, di poi, tutta la città si dividesse. E per ciò ricorsono al Pontefice, pregandolo che a questi umori mossi quello rimedio che per loro non vi potevono porre con la sua autorità vi ponesse. Mandò il Papa per messer Veri, e lo gravò a fare pace con i Donati; di che messer Veri mostrò maravigliarsi, dicendo non avere alcuna inimicizia con quelli; e perché la pace presuppone la guerra, non sapeva, non essendo intra loro guerra, perché fusse la pace necessaria. Tornato adunque messer Veri da Roma senza altra conclusione, crebbono in modo gli umori che ogni piccolo accidente, sì come avvenne, gli poteva fare traboccare. Era del mese di maggio; nel qual tempo, e ne’ giorni festivi, publicamente per Firenze si festeggia. Alcuni giovani, per tanto, de’ Donati, insieme con loro amici, a cavallo, a vedere ballare donne presso a Santa Trinita si fermorono; dove sopraggiunsono alcuni de’ Cerchi, ancora loro da molti nobili accompagnati; e non cognoscendo i Donati, che erano davanti, desiderosi ancora loro di vedere, spinsono i cavagli fra loro, e gli urtorono; donde i Donati, tenendosi offesi, strinsono le armi; a’ quali i Cerchi gagliardamente risposono; e dopo molte ferite date e ricevute da ciascuno, si spartirono. Questo disordine fu di molto male principio; perché tutta la città si divise, così quelli di popolo come i Grandi; e le parti presono il nome dai Bianchi e Neri. Erano capi della parte bianca i Cerchi, e a loro si accostorono gli Adimari, gli Abati, parte de’ Tosinghi, de’ Bardi, de’ Rossi, de’ Frescobaldi, de’ Nerli e de’ Mannelli, tutti i Mozzi, gli Scali, i Gherardini, i Cavalcanti, Malespini, Bostechi, Giandonati, Vecchietti e Arrigucci; a questi si aggiunsono molte famiglie populane, insieme con tutti i Ghibellini che erano in Firenze; tale che, per lo gran numero che gli seguivano, avevono quasi che tutto il governo della città. I Donati da l’altro canto, erano capi della parte nera, e con loro erano quella parte che delle sopranomate famiglie a’ Bianchi non si accostavano, e di più tutti i Pazzi, i Bisdomini, i Manieri, Bagnesi, Tornaquinci, Spini, Buondelmonti, Gianfigliazzi, Brunelleschi. Né solamente questo umore contaminò la città, ma ancora tutto il contado divise; donde che i Capitani di parte e qualunque era de’ Guelfi e della republica amatore temeva forte che questa nuova divisione non facesse, con rovina della città, risuscitare le parti ghibelline. E mandorono di nuovo a papa Bonifazio perché pensasse al rimedio, se non voleva che quella città, che era stata sempre scudo della Chiesa, o rovinasse o diventasse ghibellina. Mandò pertanto il Papa in Firenze Matteo d’Acquasparta, cardinale Portuese, legato; e perché trovò difficultà nella parte bianca, la quale per parergli essere più potente temeva meno, si partì di Firenze sdegnato, e la interdisse; di modo che la rimase in maggiore confusione che la non era avanti la venuta sua.