Meritò pertanto Teoderigo non mediocre lode, sendo stato il primo che facesse quietare tanti mali; talché, per trentotto anni che regnò in Italia, la ridusse in tanta grandezza, che le antiche battiture più in lei non si ricognoscevano. Ma, venuto quello a morte, e rimaso nel regno Atalarico, nato di Amalasiunta sua figliuola, in poco tempo non sendo ancora la fortuna sfogata negli antichi suoi affanni si ritornò, perché Atalarico, poco di poi che l’avolo morì; e rimaso il regno alla madre, fu tradita da Teodato, il quale era stato da lei chiamato perché l’aiutasse governare il regno. Costui, avendola morta e fatto sé re, e per questo sendo diventato odioso agli Ostrogoti, dette animo a Iustiniano imperadore di credere poterlo cacciare di Italia, e deputò Bellisario per capitano di quella impresa; il quale aveva già vinta l’Affrica, e cacciatine i Vandali, e riduttola sotto lo Imperio. Occupò dunque Bellisario la Sicilia, e di quivi, passato in Italia, occupò Napoli e Roma. I Goti, veduta questa rovina, ammazzorono Teodato loro re, come cagione di quella, ed elessono in suo luogo Vitigete, il quale, dopo alcune zuffe, fu da Bellisario assediato e preso in Ravenna. E non avendo ancora al tutto conseguito la vittoria, fu Bellisario da Iustiniano revocato, e in suo luogo posto Giovanni e Vitale, disformi in tutto a quello di virtù e di costumi; di modo che i Goti ripresono animo e creorono loro re Ildovado, che era governatore in Verona. Dopo costui, perché fu ammazzato, pervenne il regno a Totila, il quale ruppe le genti dello Imperadore, e recuperò la Toscana e Napoli e ridusse i suoi capitani quasi che allo ultimo di tutti gli stati che Bellisario avea recuperati. Per la qual cosa parve a Iustiniano di rimandarlo in Italia. Il quale, ritornato con poche forze, perdé più tosto la reputazione delle cose prima fatte da lui, che di nuovo ne riacquistasse; perché Totila trovandosi Bellisario con le genti ad Ostia, sopra gli occhi suoi espugnò Roma; e veggendo non potere né lasciare né tenere quella, in maggiore parte la disfece, e caccionne il popolo, e i senatori ne menò seco, e stimando poco Bellisario, ne andò con lo esercito in Calavria, a rincontrare gente che, di Grecia, in aiuto di Bellisario venivano. Veggendo per tanto Bellisario abbandonata Roma, si volse ad una impresa onorevole, perché, entrato nelle romane rovine, con quanta più celerità potette, rifece a quella città le mura, e vi richiamò dentro gli abitatori. Ma a questa sua lodevole impresa si oppose la fortuna, perché Iustiniano fu, in quel tempo, assalito da’ Parti, e richiamò Bellisario; e quello, per ubbidire al suo signore, abbandonò la Italia; e rimase quella provincia a discrezione di Totila, il quale di nuovo prese Roma. Ma non fu con quella crudeltà trattata che prima, perché, pregato da san Benedetto, il quale in quelli tempi aveva di santità grandissima opinione, si volse più tosto a rifarla. Iustiniano intanto aveva fatto accordo con i Parti, e pensando di mandare nuova gente al soccorso di Italia, fu dagli Sclavi, nuovi popoli settentrionali, ritenuto, i quali avieno passato il Danubio e assalito la Illiria e la Tracia; in modo che Totila quasi tutta la occupò. Ma, vinti che ebbe Iustiniano gli Sclavi, mandò in Italia con gli eserciti Narsete, eunuco, uomo in guerra eccellentissimo; il quale, arrivato in Italia ruppe e ammazzò Totila, e le reliquie che de’ Goti dopo quella rotta rimasero si ridussero in Pavia, dove creorono Teia loro re. Narsete dall’altra parte dopo la vittoria, prese Roma, e in ultimo si azzuffò con Teia, presso a Nocera, e quello ammazzò e ruppe. Per la quale vittoria si spense al tutto il nome de’ Goti in Italia, dove settanta anni, da Teoderigo loro re a Teia, avevono regnato.