Istoria genealogica delle famiglie nobili toscane et umbre - Famiglia de' Pichi
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Questa Famiglia nella città del Borgo San Sepolcro ha sempre da immemorabili tempore, tenuto i primi gradi al pari d’ogni altra Partizia Borghese, fino dai primi giorni, che cominciò ad abitare il suddetto borgo, come si proverà appresso. E perché uno scrittore moderno ha ardito di profferire di questa Città: quod nulla spectabili antiquitate nobilitetur, (parole in vero troppo pregiudicali, non solo a questa famiglia; ma a tutte l’altre nobili di detto luogo) ci è forza mostrare primad’ogn’altra cosa, che l’autore predetto, è stato meglio informato della nobiltà dei Cittadini che dell’essere riguardevole della Patria di essi, poiché nel terzo tomo della sua opera, facendo poco conto di questa Città, come, che in essa non non sia cosa degna di memoria antica, e nobile, la lascia quasi che in abbandono; e nel settimo tomo poi dell’istesima opera, chiama nobile la famiglia dei Pichi della città di Sansepolcro antica Patria di detta Famiglia. Malamente accordano insieme al mio giudizio queste proposizioni, che i cittadini siano Nobili, e la Patria di loro non degna di memoria; essendo, che i luoghi dalle persone, e le persone dai luoghi , pigliano le loro denominazioni; e che chi ha i suoi principi nobili con la continuata serie di azioni eroiche, e ragguardevoli, deve a forza chiamarsi nobile; e che il continente vanta le medesime qualità del contenuto; perché questo torto a quello antico e degno luogo ? E a chi non palese, che la città del Borgo Sansepolcro è l’antica Biturgia ? Ogni scrittore, tanto antico, che moderno, la tiene per tale, o almeno in su le rovine di essa esser stato fabbricato; che più? L’istesso Tolomeo, e tutti i suoi commentatori asseriscono essere il Borgo Sansepolcro l’antica Biturgia, e tale la chiama il Cluverio; e F. Leardo Alberti non differente dai suddetti, né tampoco l’Ortelio nel suo Teatro, chiamandola accertatamene Biturgia sotto i Toscani. La prova di questa verità viene cavata dalla testimonianza che a difetto del tempo si conserva ancora una lapide che si legge in detta Città di Sansepolcro posta vicino al portone del palazzo Vescovile.
D. M.
Q.Volcacio Q. F. Celeri Militi Cob.VIIII. Pater Beneficiario Tribuni VII Attici. Militavit VI annis, vixit annis XXV.
Di questa famiglia Volcatia n’abbiamo scritto nel nostro primo volume, nel quale passando dall’Umbria a Roma, fu arruolata nel numero delle famiglie consolari Romane, avanti Cesare Augusto;e fu allora quando i Romani, avendo domata l’Umbria, e poi la Toscana, fecero Roma patria comune, e perché gli Aretini, furono gli ultimi a soggiacere, e più volte tentarono di riacquistare la loro perduta grandezza come si legge in più luoghi di Tito Livio, e nell’Epitome di Livio Floro, mandarono al Borgo Sansepolcro allora Biturgia il suddetto Q.Volcazio con la sua corte composta di 666 soldati in presidio in detto luogo, acciò non si riunisse questa agli aretini essendo colonia loro, come si dirà appresso, e ricevendo Liturgia da questo valoroso campione, che aveva militato sei anni in Attico, la sua conservazione, eressero i biturgesi la suddetta lapide, come beneficio alla loro patria, essendo vissuto nell’arte militare 25 anni. Sì che da questa si argomenta l’antichitàdel Borgo Sansepolcro allora detta Liturgia avanti l’arrivo dei santi pellegrini, e ne’ i tempi dela grandezza e potenza della grandezza Romana fiorendo nel tempo di quello invitissima Repubblica; anzi si prova, che la suddetta Biturgia fu in essere e fondati dagli antichissimi Toscani, avanti il nascimento della suddetta repubblica romana; poiché liturgia si legge essere essere stata una delle prime Colonie seminate dagli Aretini, che molte furono e nella Lombardia e nel Lazio, e nel Regno di Napoli ed in Sicilia; ma prima nella Toscana e nell’Umbria; come ciò asserisce Curzio Inghirami nei suoi scritti, e Lodovico Iacobilli in più luoghi dove tratta dei santi e beati dell’Umbria ed in una cronica della Città di Fuligno si vede chiamato il Borgo Sansepolcro chiamato Biturgia, antica colonia degli aretini. Che più ? Il discorso naturale ce l’insegna; essendo questa lontana da Arezzo non più che quindici miglia, ed abitata sempre da molte Famiglie già feudatarie della Repubblica Aretina; e tanto più conosceranno questa verità i leggenti, se rifletteranno a quelle iscrizione da noi riferita nel primo volume trattando della famiglia Annia in persona di quell’ Annio Aretino, uno dei due fondatori della città di Tiferno, oggi Città di Castello, che sta nella facciata di San Florido, Cattedrale della stessa Città, fino al dì presente sta affissa per la quale niuno potrà negare che quel paese non soggiacesse agli antichi Toscani prima della potenza Romana, e che girando i suoi confini dal Monte Santa Maria al lago di Perugia, non fosse il vecchio territorio degli Aretini; come in tutti quegli archivi di Arezzo si legge fino del secolo del novecento. Sì che non è maraviglia, che questa città del Borgo Sansepolcro, anticamente Biturgia fosse ripiena di Nobili Famiglie Aretini; e che da queste poi indipendentemente fosse governato a modo di repubblica come in effetto fu, leggendosi chiaramente nel ritormagioni di Firenze ed in quelle di Borgo Sansepolcro e negli archivi di Arezzo che in questo luogo faceva i suoi consigli e magistrati da per se stesso; onde con verità infallibile si puo’ dire che il continente ed il contenuto ha i suoi principi Antichi e Nobili.
Ma dato, e non concesso, che il Borgo Sansepolcro principiasse dalla venuta dei due Santi Pellegrini Arcano ed Egidio, il qual fatto viene riferito da molti e molti scrittori; asserendo tutti che questo nuovo nome di Sansepolcro fosse imposto per il Miracolo delle reliquie portate da terra santa dai sopraddetti Pellegrini, i quali posatisi appresso Biturgia per prendere qualche riposo successe il miracolo descritto da cento penne; per il qual fatto concorse molto popolo, e fu necessario fabbricare diverse abitazioni; certo è che queste non potevano essere fatte che dagli uomini delle vicine contrade, ricchi e potenti per ricettacolo, e comodità de’popoli più lontani concorrenti a così gran devozione; e per scritture degli Archivi e di Firenze e, d’Arezzo, sappiamo benissimo, che in queste parti abitavano alcune Famiglie Nobili; e potenti Aretine, le quali a guisa di Regoli, con fortilizzi , e grosse torri , godevano i loro territori , difendendogli da qualunque ostilità di fazione diversa, non cedendo questi ad altri potenti Aretini, che trapassavano con i loro domini fino di là dall’Alpe, con il possesso ancora di Massa Trabaria, come da noi si è scritto nell’Istoria d’Arezzo, con la prova di scritture autentiche, che si conservano ne’precitati Archivi; e tra gli altri, che signoreggiavano quei luoghi furono i Barbolani, con il dominio della grossa terra di Anghiari, e della forte piazza di Montauto; come ancora furono potenti in quelle parti i Tarlati padroni di Monte Casale e della forte piazza di Pietramala da loro edificata, la Famiglia dei Conti di Montedoglio scaturita da quei signori antichissimi di Catenaria moltiplicata poi in diverse consorterie, di una delle quali, erano i Signori della Faggiola, dominando questa tutte l’alpi, scendendo fino in Romagna; la Famiglia dei Barbolani non contenta di dominare tutta la costa d’Arezzo con la valle di Chio, che tirando per la montagna di Cortona alla volta del Monte Santa Maria, arrivava fino ai confini del Borgo; e i Longobardi di Celle con la loro signoria di Citerna, entravano ancor’essi nelle vicende del territorio del Borgo, dominando fino al fiume della Sovara. La Famiglia dei Pichi, ancora essa molto si dilatò in queste parti, che col possesso di più luoghi e particolarmente del forte Castello dell’Afra, dominava quasi tutta quella riviera; il quale castello, in processo di tempo, fu poi chiamato Corgiolo, il di cui possesso e di essi Pichi fino al tempo d’oggi; che fosse di gran considerazione questo Castello niuno lo potrà negare per le vestige forti ancora rimaste, con una grossa ed alta torre, e altre fortificazioni ancora in buon essere. E tante altre Famiglie come i Conti Palamidessi di Metula, i Berardini , i Bocconiani, i Platanelli, ed altre famiglie primarie, che tutte dominavano, e possedevano attorno al Borgo luoghi forti ed inespugnabili i quali tutti d’accordo fabbricarono nuovi edifici, per dare comodità a loro stessi, e ai forestieri, ritornando ad abitare in quei luoghi quasi distrutti ed abbandonati, per le gran guerre che poco dinnanzi aveva patito l’Italia tutta; Che però il sopra citato Iacobilli grand’antiquario dell’Umbria fondatosi nella predetta Cronaca di Fuligno dice nel secondo tomo delle Vite dei Santi e Beati dell’Umbria VOL III che nel 1109 fu unito il Monastero di Val di Castro, diocesi di Camerino, il Monastero e Badia di San Giovanni Evangelista fuori dal Borgo Sansepolcro con tutto il Castello di esso borgo, che fu poi fatta terra ed ultimamente Città Vescovile e al foglio nove del suddetto tomo parlando del Beato Fra Angelo dice che quello fu discepolo del Serafico San Francesco, che si vestì l’anno 1212 e che tolse della Famiglia dei Tarlati d’Arezzo Signori di Pietramala, una delle tre Famiglie che vennero ad abitare il Borgo dopo il successo del suddetto miracolo delle tre reliquie dal che si viene a concludere, che il Borgo aveva il castello e che la Badia eretta poi in Cattedrale era fuori dal Borgo, che fu invero edificata dove successe il detto miracolo, la quale inità poi con le suddette fabbriche, al Borgo ed al Castello, si fece questa una grossa terra; e poi fattasi della suddetta Badia una Cattedrale, fu eretta in città da Papa leone X nel 1520. Conferendo questo Vescovado a Galeotto Graziani essendo esso in questo tempo Monaco ed Abate di detta Badia: onde in tutte le maniere si deve concludere che il continente riconosca i suoi principi nobili come in fatto gli riconosce dalla prima nobiltà della Toscana e però stimar si deve la città del Borgo Santo Sepolcro e tutte quelle Famiglie che la governarono per nobili, e pervenute da principij nobili; e se è vero, come verissimo che l’azioni nobili fanno il cavaliere, non potrà niuno negare, (data a sua proporzione del contenuto e continente) che questa città non abbia fede autentica (non parlando i martiri) il sopra citato Iacobilli, mostrando singolarmente che la Città del Borgo Santo Sepolcro abbia ricevuto lo splendore di ventisei tra santi e beati come bene si raccoglie dai suoi tre tomi delle Vite dei Santi e Beati dell’Umbria in lettere poi si accerti poi ognuno che questa città ha sempre prodotto uomini sigolari e degni d’eterna memoria come fu Fra Stefano Mucciachelli generale della religione dei Servi che fu nunzio in Polonia e Cardinale di Santa Chiesa sottotitolo di Santa Prassede. Fra Dioniso Roberti della medesima religione, che fu Arcivescovo di Siponto, e Manfredonia, Francesco Matteurcci Governatore di Palestrina e Maestro di Camera di Papa Innocenzio IX. Luca ducci, che fu Datario di Paolo V, Dionisio Migliorati, che fu filosofo famoso e lettore pubblico di filosofia di Padova del quale ne fa menzione il Sansovino. Alessandro Nomi, ultimamente fu Segretario dell’Armi del Serenissimo Granduca di Toscana che a nostri tempi si è veduto risedere in quella carica con ammirazione, e soddisfazione e di tutti. Et in arme finalmente fu uomo in signe di quella città Giovanni Torino, che fu Signore di Lufarches, e di molt’altre terre, Maresciallo di Francia e Generale del Re Cristianissimo, Gnagni Picconi, che fu Generale dei Veneziani. Simone Baliardo pure Generale dei Veneziani, di cui ne fa onoratissima menzione il Machiavelli nelle sue Istorie; e di questi uomini così celebri se ne vedono i ritratti nella residenza della detta Città di Sansepolcro; e tanti altri, che per brevità si tralasciano. Solo dirò per conclusione di questo nostro formato discorso, (in riprova di quanto ha detto inavvertitamente di questa città il sopraddetto autore) di tre uomini insigni che illustrarono la patria, cioè quel Dionisio tanto nominato, che fra Tommaso d’Errera nel suo Alfabetico Agostiniano descrive e con tanta lode proferisce di lui queste precise parole:
“Dionysius T cuscus de Burgo S.Sepulchri egreius extitit Concionator a Benedico XII.eligitur Episcopus Menopolitanus 16.K at Aprilis anno 1339. Terbio fui presulatus anno vitam cum morte commutavit. Erat anno 1328. In philosophia, Divinis literis Magister Parifiensis, Ioannes Villanus Dionysj amicus, familiaris enarrat, quod eius nomen potuti non leviter observare illustrem illo seculo, viris excellentissimis amicissimum reddidit superacua observatio vanitatum AstroQlogicarum in quo singulariter eminebat. Fuit Roberto Regi Napoletano acceptissimus; unde Petrarcha ad Regem Dionysio mortuosic cecinit. Solamen vite quondam Rex optime perdis Non mediocre tue; quis tecum consulet Astra, Fatorum <secreta monens, aut ante notabit Successus belli dubios, mundique tumultus, Fortunasque Dacum varias? Quis lenibus aures Mulserit eloqujs? Aut te emulante quis unquam Sufficens aderit Testis?”
E l’epitaffio, o Elogio da porre sopra il tumulo di Dionisio, fu medesimamente fatto dal grande Poeta Petrarca, e inviato al medesimo Re Roberto, di questo tenore :
Qui fuit Hesperia Dechs, et nova gloria gentis Cultor Amicizia fidus, charisque benignus Convictu placidus, vultusque , animoque severius Religionem Pius, factisque, habituq;modestus Altus ingenio, fecondo splendidus ore, Flos Vatum; celi scrutator, cognitus Astris Rarus apud Veteres, nostro rarissimus Aevo, Unicum ex mille iacet hic Dionysius ille.
Il tutto vien riferito dal sopraddetto Autore Tommaso d’Errera al luogo sopraccitato a gloria tutta del Borgo Sansepolcro. Gli altri due uomini di questa Città furono, come si legge negli Annali Aretini Guglielmo Platanelli, o di Platanello; e l’altro, Baldo de Boccognani, che furono potestà in quella Repubblica Aretina; il primo dell’anno 1192 e il secondo del 1307. Questi, certo bisogna credergli Cavalieri generosi e armigeri, poiché in dignità simile si eleggevano dalle Repubbliche soggetti della più rara, e scelta nobiltà d’Italia, che non solo per se stessi erano nobili, ma nobilitavano tutti i loro discendenti ancora. E se fino di quei tempi così antichi richiedeva in se il Borgo Santo Sepolcro Cavalieri, e nobiltà grande; perché dunque il sopraddetto Autore moderno profferire parole così pregiudicali contro questa Città? Ma di questo basta fin qui, senza riferire la quantità grande di Capitani, Legisti famosi, che ha avuto Sansepolcro, insignito da molte Croci , e particolarmente da quella di Malta; seguiteremo la principiata genealogia de’ Pichi, che questa sola basterà per approvare, che tanto il continente, che il contenuto è stato sempre nobile, e degno di memoria. Senza apportare qui i racconti del Zazzera, e di tanti altri autori, che hanno descritto in varie maniere l’origine di questa famiglia Pica , e senza disputare se questa sia l’istessa con la Pica della Mirandolana, né tampoco con quella di Pichena, secondo il nostro stile seguiteremo la prova della Nobiltà di Casa Pichi dal Borgo Sansepolcro Fondata nelle scritture autentiche antiche, le quali ci insegnano, che questa Famiglia ha sempre goduto molti luoghi di considerazione, come buona parte ne gode presente nella riviera del fiume Afra, col dominio del forte Castello dell’Afra, così chiamato nelle antiche scritture; e dopo col nome di Corigiolo, vicino al villaggio del Trebbio, signoreggiando tutte quelle contrade vicine, il qual Castello dell’Afra o Corigiolo, viene descritto in più istrumenti, che si citeranno appresso, dove era un gran Palazzo a guisa di Fortezza cum turris, domibus, girone, fossis, iuribus adiacentis, e pertinentis suis, e col Castello di Selvole, con le contrade di Ponzano, di Gragnano, di Braccioli, di Pietrabona e di Murella, loughi antichissimi di questa Nobile Famiglia de Pichi, e in possesso di tempo ebbero il dominio del Castello di Sorci e di Brancialino nel villaggio di Santa Fiora, Scoiano, di Cantigliano, e d’altri castelli e Villaggi, né quali ancora mantengono il possesso, se non in tutto, almeno in gran parte. Essendo pertanto i Pichi possessori fino ad oggi del Castello dell’Afra, o di Corigiolo, e di molte possessioni intorno al Castello, e statone possessori, e padroni da tempo immemorabile in qua, fino da quel Rinaldo Pico, come ancora da’ suoi progenitori, se ne forma per il continuato possesso di questi beni l’infrascritto Albero. I possessori de’ sopraddetti Castelli, e luoghi, che nell’antico si trovano, e che avevano il loro palazzo nel Castello dell’Afra, oggi detto Corigiolo, furono Pietro di Gherardo Teuzzone, e Benno fratelli, come si legge nell’Archivio della Cattedrale di Aretina alla sacchetta 4.n.32. che Pietro mentre abitava e possedeva il detto Castello, dona alla Canonica di San Donato d’Arezzo quello, che aveva, e possedeva in Iustiniano per l’anima di Gerardo suo padre, e Teuzzone suo Avo , entrando tutta questa Casa a partecipare dell’orazioni, che si facevano in detta Cattedralel’anno 1035. Rogato da Gisto Notaro Aretino. Di Pietro non se ne vede generazione; bensi di Benno, che generò Ugo, detto Ugolino, il quale si vede fare una donazione alla sopraddetta Canonica di San Donato dell’ottava parte del dominio Castello di selvole rogata dal medesimo Giffo, la quale donazione si conferma in detto archivio n.28 e al n.33 della medesima sacchetta, si leggono Benno, e Uguccione filij q. Ugolini de Benno, in un lodo che fanno con la Canonica Aretina d’un mulino, e Gualchiera, posto a Ponsille l’anno 1202. Rogato da Ugolino. D’Uguccione si vede figliolo Raniero, detto Pico, che si legge tra quegli, che giurarono fedeltà al Vescovo d’Arezzo, come feudatari de’ loro luoghi l’anno 1339. Come in detto Archivio de’ Canonici Sacchetta V.n.13. per rogito di Rosso di Boncompagno; e in un altro rogito di Forzore di Bontalento del 1235. Si vede, presente Rainaldo Pico, che si conferma nell’archivio della cattedrale Aretina; come un altro Pietro figliuolo di Gerardo vocato Guelfo del 1124 che possedeva il Castello di Santa Fiora, e quello di Selvole, i quali per esser collaterali da noi si tralasciano. DI Rainaldo, o Rainiero, detto ancora Neri nascano Domenico, e Guido, come si leggono tra’Priori dell’antica Fraternità, fondata nel Borgo Sansepolcro dal Serafico Padre San Francesco; cioè, Domenico Nerij Pichi e Guidi Nerij Pichi; e questi furono i primi, che cominciarono ad abitare il Borgo suddetto, e godere gli ufizi nobili di quella Città dell’anno 1297. E la riprova si ha dal non vedersi nominato nessuno di questi Pichi nel contenuto fatto del 1279. Da Borghesi con gli Aretini, di portare ad Arezzo ogni anno in perpetuo un’onorevole pallio per la festa di San Donato protettore della Città, essendo questo ricordo sottoscritto da tutt’ i Cittadini del Borgo Sansepolcro, come ciò si vede alle Riformagioni di Fiorenza, al libro 24 de capitoli fol.176. e di questi Pichi non se ne vede, (come si è detto di sopra) sottoscritto alcuno, perché abitavano per ancora i loro Feudi e Castelli predetti. Guido generò Neri di Nardo, Giulio, e di Meo, i quali tutti si leggono alle Riformagioni del Borgo Sansepolcro in un libro del 1365 e 66. Dove si veggono estratti ai primi ufizi in detto luogo. Guido sopraddetto fu progenitore di sei rami, e Nardo fu capo, e padre di altri sei rami, i quali divideremo in 2 alberi, che verranno poi tutti portati nello stipite di Neri di Guido di neri Pichi; e prima di quei di Nardo. Nardo dunque generò Cristofero, Angelo, e Lodovico, i quali tutti si leggono in un Contratto di divisione rogato da Ser Matteo d’Andriolo Notaro, essendo,
Arbitres nobiles, egregi Viri, Lucas Ioachinus Fratres, filij Guidonis Nerij de Pichis de dicto burgo, inter Nobiles, egregios Viros D. Cristophorum q. Nardi Neri de Pichis iuris peritum, Angelus eius fratrem filium dicti Nardi pro se, Vira eius item dicti Cristophori nipote, olim filio alterius Vici Nardi Predicti, ex una, urbanum q. Mei Neri de Pichis, ex altera;
il quale istrumento si conferma appresso il Sig. Bali Leonardo Pichi. Di Cristofero nasce Fabiano, il quale si legge Priore di Fraternità, estratto l’anno 1479. E generò Lionetto Padre di Fabiano, che generò Alessandro, i quali tutti si leggono nel lib. Dell’Estimo, che vegliava l’anno 1565. Che dice, Alessandro di Fabiano di LionettoPichi, il quale libro si conserva nella Cancelleria della detta Città di Sansepolcro Quartiere di San Giovanni alla suddetta porta. Alessandro generò Francesco padre di Silvestro, e Carlo vivente; Silvestro generò Francesco Vivente, come per fede del Battesimo. Angelo figliuolo di primo Nardo generòun’altro Nardo padre di Francesco, il quale si vede al Catasto, che si conferma in detta cancelleria alla Porta di Francesco suddetto, che dice, Francesco d’Angelo Pichi; il qual Nardo fu de’ Priori l’anno 1482. Francesco generò il Capitano Alessandro, il quale si legge in una comparsa in pubblica formaa’ 5 Gennaio 1532. Per una lite vertente inter Alessandrum Francisci Nardi de Pichi ex una , Comitem Bernardum de Palamidessibus, il quale si conferma presso il detto Balì Pichi. Questo Alessandro generò Panfilo, come si legge al sopraccitato Catasto; e fu padre di Lionardo, che generò il Dottor Panfilo vivente padre di Lionardo, e Giulio viventi. Da Lodovico figliuolo del primo Nardo nasce tutta la generazione de Pichi Signori, e Padroni del Castello di Sorci; e generò un altro Lodovico, come si è provato sopra, che fu padre di Carlo, che generò Ottaviano, come si vede al sopraccitato Catasto nel libro dell’Estrazioni. Ottaviano generò Lodovico, e Alessandro Lodovico generò Clarice , natali della Signora Alfonsina di Gio Battista Pichi, che fu maritata al Sig. Dottor Alessandro Brindagli d’Arezzo Signore di Ranco, e viene nominata al Battesimo Clarice Anna Eusebia, come in detti libri de’ Battesimi, e dal contratto dotale; i fratelli suoi siglioli di Lodovico suddetto si chiamarono Lionardo, Valerio, e Ottaviano. Lionardo fu padre di Camillo, che generò il Balì Lionardo vivente padre di Francesco vivente. Valerio generò Rutilio, che fu padre di Valerio, e di Alfonso viventi; e Valerio ha un figliolo, che si chiama Rutilio. Di Ottaviano però sopraddetto, oltre il suddetto Lodovico furono figlioli Alessandro Marcantonio, Camillo, e Carlo, i quali tutti insieme si leggono in una sentenza data contro i Capitani di Parte, per la presentazione de’ Rettori della Chiesa di S. luthio, o Eleuterio, cum omnibus suis iuribus, et pertinentijs, et annexis de Castro Sorcij, data in Firenze a’ 17 Dicembre 1557. Rogata da Ser Luca di Jacopo di Giannotto de’ Fabbroni da Marradi Cittadino Fiorentino, la quale si conferma appresso il predetto Balì Lionardo Pichi. M.Ottaviano fu padre di Gio Maria , e di Gio Battista; Gio Maria non ebbe figlioli maschi, ma una femmina sola chiamata Florida oggi moglie del Conte Asdrubale Matauti; Gio battista fu padre del Tenente Ottaviano, e di Patrizio Viventi. Alessandro dunque figliuolo del primo Ottaviano, generò il Cavalier Ciriaco, che fu padre di Flamminio, i quali si leggono in una comparsa, che fa Leonardo di Lodovico Pichi, pretendendo esso contro Federico, e Flamminio fratelli, e figliuoli del Cavalier Ciriaco d’Alessandro Pichi, la fatisfazione de’ pagamenti de’ suoi credti, dove pure sono nominati il Cavalier Nicandro et il Cavalier Pier Francesco Pichi fratelli de’ detti Federigo, e Flamminio; la qual scrittura si conferma nelle mani del detto Balì Pichi. Flamminio generò Ciriaco, Pier Francesco, Aloisio, et il Cavalier Gio Carlo tutti viventi. Ciriaco è religioso della Compagnia di Gesù, Pier Francesco è Monaco Casinente, con il nome di D. Iacinto, al preferente Priore della Badia di Firenze. Aloisio è Cappuccino con il nome di F. Michelangelo. Dell’altro fecondo Albero, che da noi si dimostra diviso in altri sei rami provenienti da Guido di Neri, e dall’altro Guido del primo Neri Stipite di tutti due gli alberi, si dichiara, che del fecondo Guido nascono, Luca, e Giovacchino, che furono arbitri del sopraccitato contratto di divisione; e Pietro ancora figliuolo di d. Guido, il quale si legge di consiglio l’anno 1391 nel qual’anno morì, come al libro delle Riformagioni di Sansepolcro. Pietro ebbe per figliolo Marcolino padre d’un altro pietro, e di giovanni e di Luca; Pietro si legge in un istomento rogato da Ser Francesco del q.Andrea l’anno 1484 il quale si conserva presso il Cavalier Camillo Pichi; e il suddetto Marcolino fu de’ Priori della suddetta Fraternità l’anno 1451 dove non potevano entrare se non erano dichiarati nobili. Questo suddetto Pietro generò Bernardino, che fu de’ Priori l’anno 1506 e fupadre di Girolamo, e di Camillo, che si legge Gonfaloniere l’anno 1572 e fu padre del Dottore AntonMaria, che generò il Cavaliere Marcolino padre del Cavaliere Camillo vivente, il quale ha tre figliuoli AntonMaria, RanierFrancesco e Giuseppe viventi. Girolamo generò il sopraddetto Bernardino padre di M.Girolamo, che fu Gonfaloniere l’anno 1612 e generò il Capitano GiovanBattista vivente, e Pietro. Il suddetto Capitano generò Bernardino, e Pietro Generò Girolamo vivente. Giovanni figliuolo del primo Marcolino generò Conte, che si vede in un quadernuccio , o vero ricordanze Seg. D. che incomincia, Io M.Conte di Gio di Marcolino Pichi, scriverò tutte le cose, che mi occorreranno di dare, e avere. Il quale risiedè Gonfaloniere del Borgo Sansepolcro l’anno 1522 e 1523 ma la prima volta che fu estratto, fu nel 1512 per i mesi di novembre, e dicembre, che era assente, e morì del 1523 come ne’libri dell’Estrazioni nelle Riformanze di quella Città, o Cancelleria. M. Conte generò GioMaria, il quale si vede risiedere Gonfaloniere di Settembre, Ottobre 1553 e questo fu padre di Niccolò, che pure Gonfaloniere, come in detti libri, e generò Lattanzio Padre di Giuseppe e di Ranieri viventi. Niccolò suddetto ebbe un altro figliuolo nominato Alessandro padre di Bernardo vivente con tre figliuoli, come si vede al libro de’ Battesimi di detta Città. Di Luca del primo Marcolino fu figliuolo di Francesco padre di Girolamo, di cui nacque Lattanzio padre del Dottor Luca vivente con tre figliuoli. Fin qui è la dichiarazione del Fecondo Albero, che si mostra appresso con le medesime scritture autentiche, come il primo; quali tutti due si pongono, acciò siano ben considerate dai Lettori , tralasciando noi le linee estinte con molti nomi collaterali, per non far confusione, ma bensì un’evidente chiarezza a chi legge. Dimostratosi da noi l’albero non pare, che questa famiglia abbia di bisogno della nobiltà, e grandezza de’ Signori di Pichena, benché il sign. Curzio di Pichena Huomo stimatissimo, e primo Segretario di Stato dell’Altezze Serenissime di Toscana, si sottoscriva, scrivendo a’ Signori Lionardo, e Ludovico Pichi di Borgo Sansepolcro, Affezionatissimo Parente, e Servitore li 9 giugno del 1615. Non doveva esso ricusare per Parente questa Famiglia, Stante la sua antichità, e Nobiltà come si è da noi sopra dimostrato; ma questo non basta come prova d’una Consorteria così antica, né tampoco si deve credere ad alcune copie, che vanno attorno e anche sono messe in processo provanti, che questa Famiglia de’ Pichi sia l’istessa con quei di Pichena; non avendo noi potuto trovare l’Istoria di Orlando Malavolti, sopra l’Italia, ma bensì quella sopra la Città di Siena, nella quale non parla appunto di quello, che qui appresso si porrà. Vogliono dunque quegli, che hanno dato fuori l’Infrascritto squarciafoglio, si stacchi dal sopraddetto Malavolti nella sua istoria d’Italia, non cognita per ancora a noi, né a molti letterati; tutta volta parlano con la sua autorità nella seguente maniera. Mentre Carlo d’Angiò rè di Francia fu in Italia, preso Poggibonsi, ed altri luoghi di Siena, e Firenze; ebbe per suo Luogotenente Generale dell’Esercito un certo Monsù al Picho generoso, e valoroso Cavaliere Francese, il quale per la sua prudenza, e generosità, si fece in Italia famosissimo; e mentre dimorò in Toscana, edificòil Castello di pichena nel contado di San Gimignano, oggi territorio di Firenze, nominandolo Pichena dal suo nome, e per grazia del suo Re lo fece libero, e così restò fino a che da Fiorentini fu soggiogato San Gimignano, ed esso Castello da’ medesimi disfatto, ancorché gli fossero preservate per i successori di detto Monsù Alpino Signore di detto Castello, alcune esenzioni, immunità di sali e altro come meglio si può vedere in Firenze all’archivio delle Reformagioni. Ebbe il detto Picho quattro figliuoli, i quali di Francia condusse seco in Italia, in servizio del Re Carlo all’impresa della Toscana, da’ quali ne sono discesi i Nobili di Pichena, oggi cognominati Pichenesi, in San Gimignano, Volterra, e colle; e la Nobile, e popolosa Famiglia de’Pichi del Borgo Sansepolcro, anticamente, secondo Tolomeo, Liturgia; dove Plinio (secondo, che egli attesta in una sua Epistola) ebbe la Villa, del che a pieno sono stato verificato del sito dal Carissimo Iuriconsulto M.Cesare Pico principale al Borgo Sansepolcro, che oggi è Città; essendogli per suo Vescovato concessa un’Abbazia , che già era de’ Monaci di San Benedetto di Camaldoli, e aggrandita di molte Nobili e Onorate fabbriche; e il medesimo M. Cesare, oltre agli altri, essendo consumato nella professione legale, specialmente in questa Rota della Città di Siena, con con satisfazione del suo, e del nostro Signore, e dell’universale, conferma la memoria de’ suoi passati. Oltre che alla Famiglia Pichia Borghese è nota a tutta Italia per essere numerosa di gente; per il che ha tenuto sempre il luogo primato in detta Città, per averne ancora, oltre altre occasioni, dato segno molti anni sono; perchèmentre i Malatesti, in quel tempoSignoi di Rimini; signoreggiavano detto luogo; Lodovico Picho borghese capo della Famiglia Pichia, e di dodici case, che governavano, non volendo la loro Patria sotto tal giogo, e servitù de’ Malatesti, gettò dalle finestre il Governatore di detti Signori in detto luogo, riducendolo nella pristina libertà, sotto il governo suo, e delle dodici case, facendovi edificare più torri, per assicurazione delle scorrerie de’Malatesti, fiorentini, e della Chiesa; e, così si conservala Famiglia Pichia lungo tempo, con l’aiuto di detto Lodovico; essendo molti del medesimo sangue, e facoltosi per l’eredità de’ loro passati portate al Borgo. E non maraviglia, che detta Famiglia sia fino in oggi moltiplicata di gente in detto luogo, perché nel libro degli Annali del Re in questa Città di Siena all’archivio delle Riformagioni si trova, che di questa Famiglia
Quadem nomine Iosephus Ciuis Senensis et frenuus Eques, ex famiglia nobili Pichia ex tribus uxoribus filios centum quadraginta legittimos, naturales habuit, qui cum legationem ad Summum Pontificem, Imperatorem a Repubblica Senensidesignatus esset, quadraginta octo ex dictis fuis filijs secum duxit, cuius figura naturalis adhucin Palatio Dominorum Senensium in Aula Pacis propè figuramiustitia panno nigro indutus ante omnes Cives Senenses viget. Domus autem eiusdem fuit, adhuc extat in Platea s. Pelregrini, Sepulchrum vero ubi est Porta Sacrestia S.Dominici, cum insignibus, armis ut inferius describitur.
L’arme è colorita campo azzurro con tre picchi, e tre gigli d’oro, con cimiero sopra al quale era un leone con uno stocco nella branca destra, insegna, et arme de’ Nobili di Pichena di San Gimignano, Volterra, e colle; e del Borgo Sansepolcro già Biturgia.
Tutto questo racconto vien causato dall’Istoria descritta del Sign. Orlando Malevolti Gentiluomo Senese nel suo libro dell’ Istoria d’ Italia, il quale puol’essere, che non sia fuori alle stampe, e che il suddetto Malevolti per compiacere il fudd. M. Ceferi Pico allora Auditore di Ruota gli donasse il sopraddetto discorso della Famiglia Pica, Sia come si sia, che tutto è favola, convincendo quando dice tanti istromenti, che si veggono fino al tempo della Gran Contessa Matilde, sottoscritti da Nobili di Pichena; e Monsù Alpino Luogotenente Generale del Re Carlo d’Angiò che pure è nome fittizio, non già il Re, che fu in Toscana dopo più d’un secolo della morte della suddetta Contessa Matilde. Si vede anche formato l’Albero dei Signori di Pichena dal Sig. Capitano Cosimo della renna Antiquario Fiorentino, che non ha connessione punto con i Pichi della Mirandola, né tampoco con i Pichi dal Borgo Sansepolcro, de’ quali tutte queste tre Famiglie se ne devono offendere, non che gloriarsene, essendo essendo per se stesse tutte Nobili, e antiche; e forse potrebbe essere, che tutte e tre riconoscessero un principio più remoto; il che questo l’ho per difficile, non trovandosi di quei tempi i cognomi, aggiungendosi la scarsità delle scritture, che ci priva di molte curiosità. Non è dunque sufficenteprincipio nobile, che che si dà da noi alla Nobile Famiglia de’ Pichi, col mostrarla Nobile, ricca, e potente fino nel secolo 900 pervenuta nel Borgo Sansepolcro dalla potente Repubblica Aretina? La quale dominando forti palazzi, torri, e Castelli ne’ paesi circonvicini al Borgo Sansepolcro, dove come Nobile venuta , sempre si è vista trattare in tutte le scritture antiche, che si mostrano nella sopraddetta Città; come molte altre Aretine delle più cospique hanno ivi dimostrato, e governato, con aggrandire quella Città, la quale non è disprezzabile, essendo molto vaga, con godere una maestosa pianura, e amene colline, col Tevere vicino, e altri più piccioli fiumi; che con la loro freschezza, e col continuo bagnare, hanno fatto nascere e accrescere glorie a questa Città del Borgo; poiché applicati i Cittadini di essa a gli esercizij di Pallade , e di Marte, hanno fatto famoso per ogni dove la Patria, e la loro progenie tutta; e in specie la Famiglia de’Pichi, della quale tessiamo l’Istoria che per la sua potenza, né più remoti secoli, bisogna crederla gloriosa sì in lettere come In Arme; e non potendo noi mostrare distintamente l’azioni eroiche de’ suoi primi Antenati, per mancanza di scritture furate dal tempo, almeno in genere asseriremo, che la Pietà, e la Religione hanno avuto in quella Casa sempre la prima Fede, mentre queste si ravvisano nelle generose donazioni a’ luoghi pij, erezione di Tempij, di Altari , e altre opere Cristiane, come bene lo testificano molte scritture, e in specie la carta di donazione fatta alla chiesa di San Donato Cattedrale Aretina di tutte le loro possessioni, Fortilizj, Castelli, e Terre, con prenderne poi dalla detta Chiesa, e dalla Badia di Santa Fiora di Detta Città l’infeudazione. Ma passiamo da questa Città a quella di Borgo Sansepolcro, dove questa Famiglia ha sempre goduto, e gode tuttii primi gradi, e cariche, come gli altri Nobili primari; che vedremo in ogni tempo essere trattati in tutte le scritture questi Signori Pichi, col titolo di Nobile, et Egregio, et in specie si legge l’anno 1428 che Lodovico Pichi comprò il Castello di Sorci, vien trattato in detto contratto di titolo eguale a’ Conti di Montato, e a’ Marchesi di S. Maria. Fu invero questo Lodovico huomo di grande portata, e ripieno di generosi pensieri, che per far risplendere la sua Casa, non contento del possesso di tanti luoghi riguardevoli, che possedeva, volle comprare la Contea di Sorci, che fu prima de’ Tarlati, e dopo de’ Conti di Montato , per eredità di detto Tarlato venutagli con tutta la giurisdizione , come si detto da noi nel primo Volume , nella Famiglia de’ Barbolani; volendo il sopraddetto Lodovico con questa compra accrescere la potenza della sua prosapia, per renderla eguale di forze all’altre famiglie feudatarie Aretine; non potendo soffrire, che altri dominassero la sua Patria, mentre lui si sentiva bene in piedi per governarla da per se, con i suoi Concittadini, con quella libertà, che si reggevano le Repubbliche; del che ne faccia prova l’azione eroica fatta da esso al tempo dei Malatesti, che risoluto all’impresa, assaltò, vinse e liberò la sua Patria dal governo tirannico, come si è detto di sopra con l’istorico Malevolti ; e questo Lodovico per il suo molto valore, e autorità, diede gran lustro alla Famiglia, la di cui discendenza poi fu sempre chiamata sino al presente giorno i Pichi da Sorci, che sono quattro linee del Balì Lionardo, Cavaliere GioCarlo, Valerio e Tenente Ottaviano tutti viventi; e col tralasciare altri uomini insigni, che resero il loro nome cospicuo, ela Patria di essi; solo faremo menzione di Guido di Neri Pichi, che ancora questo fu huomo di degna memoria per la sua molta prudenza e buon governo, il quale eletto ambasciatore alla Città di Castello per trattare affari importantissimi; conservò la sua patria in libertà, con riportarne grandissima lode, così si legge al libro delle Riformagioni della Città di Sansepolcro del 1365 e 1366 per uno de’ Deputati e c. dove si veggono ancora molti altri Pichi tutti impiegati al servizio della loro Patria. Non meno di riguardevol ricordanza fu il Capitano Paolo di GiovanBattista Pichi, il quale datosi all’impiego dell’armi, profittò non poco, rendendosi famoso in tutt’i cimenti; et essendo Capitano della Fortezza di Padova, nella guerra navale contro l’armata Ottomana al tempo di Papa Pio Quinto si finì d’immortalare , mentre questo Capitano fu il primo, che con la sua galeazza attaccassi il cimento , e dessi di mano a mieter le palme alla Vittoria Cristiana. Di quanta gloria fusse quest’azione, ben conosciuta, e riconosciuta dal nobile Bragadino, con una testimonianza amplissima e d’un benservito. Non fu dissimile da’ suoi Antenati il Capitano Lattanzio Pichi nell’esercizio di Marte, del cui merito ne fa onorata menzione l’ Ariani nell’istoria dei suoi tempi ; testifica ancora il suo gran valore l’Infrascritto Elogio, che sta affisso al suo deposito nella Chiesa della Venerabile Compagnia della Madonna delle Grazie della Città di Sansepolcro.
Deo Optimo , Memoria.
Lactantij Pichi Roberti filij Burgensis Qui pro magno Cosmo Mediceo Fortes eduxit Acies in Senenses Ductor ipse fortissimus Ac Tribunus ad deterrendos Ab Aede Laurentana Thraces accitus Facie, ubraq; Belli fugavit Quatenus Chiliarcha sub Guidi Ubaldo Rovere Aut pugnavit ubique Ac iterum, terbio in Arena bellator Quem mirantes spectaverunt aliquando Conflictantes exercitus Invictas insuruit Palmas, Cuius famam ad LXIII Annum. A victoria Lactatum fuisse. Lactantius Pichus Niccolai filius hares XIV ab eius obitu lustris in scribi iussit. C I D. DCXLV.
Il Capitano Curzio Pichi col Capitano Dionisio si possono anch’essi annoverare nel ruolo degli huomini celebri per molta perizia nell’armi; fu anche degno rampollo di questo pedale l’Alfiere Alessandro, per il valore mostrato nelle guerre di Canizza come fecero altri soldati di questa Casa, de’ quali due furono insigniti della Croce di San Maurizio, e Lazzaro dal serenissimo Duca di Savoia. Vanta ancora questa Famiglia di avere avuto fino al dì d’oggi dodici Cavalieri di Santo Stefano con due Balì, il primo de’ quali fu il Cavalier Ciriaco Pichi decorato dell’abito fino dal nascimento della detta Religione ; e fu tanto benigno questo Cavaliere, che meritò i favori più parziali del Serenissimo Gran Duca Cosimo Primo; e mentre esercitò la carica di Capo Caccia del d. Serenissimo, la Splendidezza, e il decoro furono i due poli, ove sempre si raggiungono i suoi vasti pensieri, Ma dove lasciamo Marcolino figliolo di Pietro Pichi? Poiché questo solo illustra, e la Famiglia, e la Città tutta di Sansepolcro; al cui merito devono i Cittadini di quella essere eternamente obbligati. E a chi non è palese la sua generosità? Mentre col suo danaro proprio, e col suo trattare, liberò la Patria dal forte assedio, che tenevagli Niccolò Piccinino, che fu in vero un’azione la più eroica, che possa fare un Cavaliere della sua qualità, per il che si rese degno del Titolo di Pater Patrizie; come ciò si cava dall’Epitaffio fatto a GiovanFrancesco figliuolo di Bernardino Pichi, peritissimo nelle lettere Latine, e Greche ; per il che il Serenissimo gran Duca di Toscana Ferdinando, si servì di questo personaggio in più occasioni con gran sua soddisfazione, come si legge da una lettera del 1592 di Firenze il 23 Maggio.
Il sopraddetto Epitaffio si vede nella Chiesa della cattedrale della città, appresso all’Altare della Natività di nostro Signore, Padronato di detti Pichi.
D. O. M.
Io Franciscco Pico Bernardini F. philos. Literis Grecis, Latinis, omnibus Ingenuis disciplinis ornato At avo illo Marcolino edito, qui ad Nicolaum Piccinum Publico decreto legatus, illisque bis mille nummis aureis Aere domestico persolutis Biturgiam Patriam obsidione liberavit. Hyer. Picus I. C. Rote olim Genua nunc senis Auditor , et Traianus Picus germano fratri dilectus parenti opt. Iussu. P.P. Anno Domini M.D.C.I.
Io: Franciscus obijt octavo idus Nov. Anno M.D.XC.VI Vixit ann. XXXII Mens. VIII. Bernardinus frater excessit IV Non. Decemb. An.M.D.C.X. Aetatis sua LXXI Horum Cineres medio in Templo Picor.Sep. conduntur.
Da questo si vede non solo la grande autorità, e alta fiducia, che avevano i Borghesi nella persona di Marcolino, eletto da loro con pubblico decreto Ambasciatore a quel gran Capitano Niccolò Piccinino, col quale seppe così ben dire, e negoziare la libertà della sua Patria languente; ma ancora la possente ricchezza, e la profusione generosa del proprio denaro, con cui detto Marcolino riportò una vittoria pacifica, contro quel grande, e invitto Eroe ; a pena quellosnodòla lingua, che questo ripose il ferro, e le dolci parole tempronrno il crudo a quel brando, che sopra della sua Patria pendeva severo. Si vede ancora nella lettura di detto epitaffio, oltre la generosità, ed eloquenza di Marcolino, la scienza di GioFrancesco Pico; e toccata alquanto quella do Girolamo, che si rese così famoso per l’alta sua dottrina, poiché Genova, Siena, Ravenna, e Bologna sono ripiene tutte del suo gran sapere, mandandone elogij fuori per far perpetua la memoria di sì grand’huomo. E di gran prudenza, e governo fu M. Pier Francesco Pichi, che potò il cognome di Sforza, concessogli da quel Duca Sforza, Mentre fu Governatore di tutto lo stato Sforzesco; fu anche Auditore Fiscale in Siena, ed ebbe altre cariche di considerazione. Huomo insigne, e di gran stima fu M.Cesare Pichi, che oltre all’essere stato Commissario di Monte San Savino, e della Repubblica di San Marino, fu anche eletto dal Serenissimo Duca di Toscana Suo Signore, per uno degli Auditori di Ruota di Siena, il quale ancora fu graziato della proroga d’un altro triennio, in riguardo della sua dottrina, e prudenza, integrità d’animo, e costanza nella Giustizia, e per la soavità de’ suoi costumi, si guadagnò ancora un parziale affetto della Città, testimoniando il tutto un’amplissima patente, che si conserva appresso il Sigor Balì Lionardo Pichi. Alessandro Pichi fu Ambasciatore della Comunità di Sansepolcro all’Illustrissimimo Signor Duca della Repubblica Fiorentina l’anno 1535 col quale trattò molti negozi importantissimi , comeciò si vede dalla sua istruzione autentica, che si conserva presso l’istesso Balì Pichi. Furono anche famosi nel corso letterario, e nell’Ordine Ecclesiastico F.Paolo Pichi dell’Ordine di San Domico, che gli conferì le maggiori cariche di quell’Ordine ; fu fatto Segretario della Congregazione dell’Indice da Papa Paolo V e dopo vescovo di Volturara nel REGNO DI Napoli; Monsignor Bernardo fu Prelato di gran lettere e Canonico di Santa Maria in Violata, e referendario del Papa Paolo Quinto ; e non meno di esso fu Prelato degno Monsignor Gabbriello Pichi, che fu Canonico Alessandrino, Protonotario Apostolico partecipante, e familiare di Papa Paolo Terzo, come ciò si causa da un Breve , nel quale si concede facoltà dal Sommo Pontefice di poter godere più benefizj Ecclesiastici , il quale si conferma appresso il detto Balì Pichi. Non men chiaro ruscello di questa Nobil fonte si mostrò il Dottore Ottavio Pichi , che con tante virtuose fatiche, rese più glorioso il suo sangue; la sua Roma Sotterranea. Ma che? I cittadini di quella Moderna Roma, impietositi del caso, in premio di si gran fatiche, e delle sue rare qualità, gli resero altro lume così eterno, che con la guida del seguente passaporto, si condusse al trono dell’immortalità.
Quod Franciscus Ravenna. Hieronymus Mutus, et Christophorus Cincius Cors. de Illustris Viro Octavio Pico Romana Civitate donando adSenatum retulere. S.P.Q.R. D. E. R. I. F. C. Cum ad augendum servandamque Remp. Non tam in Cives Romanos meritis, ac nobilitate insignes premia, Honoresque conferire, quam exterorum, hominum virtutem benigne excipere more maiorum statum sit, atque etiam, ut ad summa vere laudis fastigia ardentius quisque contendat , ad ipsam rempublicam ornandam, et tutanden alacrior fiat, morum exemplo, fuis , quos digna laboribus premia consecutus videat natura comparatum sit. Cumque S.P.Q.R. Illustrem Virum Octavianus Pichum quondam Leopardi filium I.V.D. de Civitate Burgi S.Sepulchri ex Nobili Famiglia ortum acceperit, eundemque singulari in Popolum Romanum Charitate, fide et observantia sempre fuisse, nihilque indignum viro ingenuo, et contestata, ac perenni maiorum quorum virtute unquam ferisse fidem, ac infiurandum pia farteque colpisse plenè cogoverit. Eiusdemque virus, integritatis, bonitas, et in rebus agendis industria S.P.Q.R. Fatis probat e sint, ob eos res Senatur estimare predictum illustrem Virum Octavianus Pichum amplissimo hoc manere decorandum Civitate Romana donandum, inq; Senatorum ordinem merito coaptandum esse. Itaque Senatum placere, ut pred. Illusti Viro Octavio Picho, eiusque liberis, nepotibus, et posteris, ac successoribus in perpetui in Senatum Venire, sententiam discere, magistratus gerere, Sacerdotium obtinere, bona liberaatque immunia habere, ijsque immunitatibus, honoribus, gratis, et privilegijs uti, fungi, et potiri liceat, ac si ipsa in urbe natus per quos omnes Reip. Gradus erectus fuisset fungi lege liceret. Quodque predictus illustris Vir Octavius Pichus, quique ab ipso veniet omnes Cives nobiles, Patritjque Romani, eodem iure sint, quo Cives nobiles Patritijque Romani nati , ant iure optimo facti sunt, Gentemque Habeant S.C. auctoritate publico in Consilio viva voce, ac nemine discrepante Populus Romanus per libenter tenuit. Qui impedite sciat Senatum existimaturum , eum conta Rempublicam Fecisse. Que nota testante in posterum essent ab actis publicis, in quibus hec contineatur, et servantur Privilegium huius modi fieri solitoque Vrbis sigillo communiri, ac ab eiusdem Sacri Senatus scribis subscrivi mandavit. Ex Capitolio nono kalendas Martij M.D.G.XXXI.
Angelus Cuscus Sacri S.P.Q.R. scib.
Monsignor Angelo Pichi coltivò utilmente questo antico tronco con le sue rare e ammirabili qualità, che accrescè a’ suoi progenitori tanti frutti di gloriosa memoria, quanti ne possa mai concepire nobiltà d’un generoso cuore, Fa questo Abbreviatore de Parco Maiori, e Segretario della Congregazione non gravetur; e di poi Referendario dell’una, e l’altra Segnatura; fu fatto Arcivescovo di Amalfi nel regno di Napoli, dove si ravvisano per ogni parte testimonianze della sua pietà. Fondò il Baliaggio di Casa Pica, con il nome di Balì della città di Colle, la cui carica, e dignità in oggi viene esercitata dal Sig. Balì Lionardo Pichi nipote del detto Monsignore, che non meno dello zio nutrisce generosi, e nobili spiriti, seguendo le vestigie de’ suoi non abbastanza lodati precursori. Passò infine il sopraddetto Monsignore Angelo all’Arcivescovado di Amalfi, al vescovado di San Miniato al Tedesco, per potere più d’appresso godere il favore, e la protezione de’ suoi Serenissimi Principi naturali, da’ quali fu visto sempre con occhio benigno. Di questo gran prelato ne parla il P. Abate Ferdinando Ugelli nel tom.7 della sua Italia Sacra nella seguente maniera.
Angelus Pichus nobilitus parentibus Burgi S.Sepulchri in Etruria natus, Aeques S.Stephani utriusque Signatur et Referendarius ab Urbano VIII Pontefice electus fuit Archiepiscopus Amalfitanus anno 1638, vix adeptus possessionem Diecesim lustravit, coactoque Cleri Cantu luculentam habuit orationem; sinodum celebravit die S.Luci et in Metropolitanam anno 1639 statuta statuta sua Diocesis in meliorem formam redacta promulgavit, Metropolitanam consecravit, odeo, organo. Et nobili suggestu exornavit. Seminarium a predecessore institutum, erectumque stabiliuit, per vigili cura expectazionem de se exercitat am longe superavit, et eum sedisset annos decem, translatus est ad Ecclesiam Miniatensem in Etruria ; eius memoriam Octavianus Bonitus Archidiaconus, eiusdemquegeneralis Vicarius in Metropolitana Ecclesie titulum excitavit, hisce conceptis verbis perpetuo duraturam
Angelo picho Archiepiscopo amalphit. Qui Seminarium erexit, Eecl. Consecravit, Suggestum Marmoreum extruxit, Organum aureo insigniuit Octavianus Bonitus tanti Presulis Vicarius Generalis Publicum grati animi monumentum P. Singula Quoque huius atrij insigna, duobus antiquis Instauratis fieri curavit Anno Domini 1648 Mortem obijt Pichus in Miniatesi Civitate Anno 1653 Sepultus in ea Cathedrali
Il Capitano Vincenzo pichi fu huomo nell’armi eccellente, e però venuto alla carica di Capitano, fu in diverse occasioni impiegato; ed ultimamente ebbe la carica di Capitano do Cartiglio della Pescaia. Fu ancora buon Cortigiano, avendo servito Madana Serenissima Madre di Casa d’Austria, dalla quale fu impiegato in diversi negozj importantissimi ; come si vede in molte commissioni fattegli, che sono appresso il Dottor Luca Pichi. Si annoveri ancora frà gli uomini insigni di questa Casa il Dottor Paolo Pichi, celebre per il suo gran sapere, il quale fu Auditore in guerra del 1644 Governatore dell’armi di Chiusi, Potestà di Scansano, Fiscale di Sorano, e Auditore di Pitigliano, le quali cariche furono esercitate da lui con somma sua lode. Vive in oggi il Dottor Panfilo di LIONARDO pichi, huomo molto venerato nelle lettere, il quale essendo stato Commissario del Monte SanSavino, e della Repubblica di San Marino, e Governatore di Norcia, ha fatto conoscere il suo valore non dissimile dai suoi principij. Il Dottore, e Capitano GiovanBattista di M. Girolamo Pichi, per la molta perizia nelle lettere, e nell’armi, si rende ammirabile al pari d’ogn’altro; e per esser caro alle Muse e di dolcissima conversazione. Il Dottor Alfonso di Rutilio pichi, non meno de’ suoi antipassati si fa conoscere degno frutto di quel tronco, questi si acquistò molto onore, mentre fu camerata di Monsier di Villa Nova Generale della Cavalleria del Re Cristianissimo in Italia, dal quale fu mandato con lettere di Sua Maestà alla Repubblica di Lucca a domandare il passo, e stabilire le Tappe a Viareggio per detta armata ; come ancora si è mostrato, e si mostra in ogni negozio huomo dotato di molta prudenza. Vivono ancora il Dottore, e Prete Giulio di Marcolivio pichi, Prete Girolamo di Pietro Pichi, e il Dottor Luca di Lattanzio Pichi tutti soggetti degni , e riguardevoli. Sì che questa Famiglia per antichità, per ricchezze, per virtù, e per la serie continuata d’huomini insigni, et illustri, si è resa per ogni parte cospicua; come bene si è provato da noi con scritture autentiche, et antiche; e quello, che corrobora il tutto, et accerta pienamente il fatto, è il possesso continuatodi tanti luoghi di considerazione, cioè del Castello dell’Afra, o Corrigiolo, del Castello di Brancialino, del Castello di selvoleo Silvelle; del Castello di Sorci, del Villaggio del trebbio, di Scoiano, e di Cantigliano; posseggono ancora do presente a Capanne territorio della Città di Castello molti poderi; nella Villa di San Marino molte tenute di beni con una torre antichissima incastratavi l’arme di Casa Pichi, che mostra ancor questa essere molto antica ; pure nella Villa di Santa Fiora Palazzo, e torre assai grande, et antica, nel Castello di pianettole alcuni poderi, nelCastello di Baldignano, e nel luogo detto Vill’Alba, e nella Villa della Montagna posseggono molte possessioni, e tanti altri luoghi dentro, e fuori del territorio del Borgo Sansepolcro , per brevità tralasciamo. Onde non solo si è mantenuta sempre potente, e ricca; ma sempre numerosa di persone più d’ogni altra famiglia Borghese ; per il che questi Signori Pichi si sono per lo più imparentati tra diloro, e non avendo soggetti della Famiglia, con le prime della medesima Città ; e di fuori di essa poi strinsero parentela con i Bernardini Conti della Massa, Con I Brindagli d’Arezzo Più volte, Come pure con gli Albergotti, con i Borghesi di Siena, con i Baglioni di Perugia Signori di Cannara, e Rettona; con i Lanciatrici di Pistoia, Con i Conti d’Urbecco e di presente con i Passerini di Cortona, con gli Ubertini Conti di Chitignano, e con i Barbolani Conti di Montauto. Che però con ragione i Signori di Pichena, e i Pichi Duchi della Mirandola sottoscriversi parenti della Famiglia de’Pichi del Borgo Sansepolcro, sapendo ben loro, che non è Famiglia da ripudiare nella loro Consorteria, della quale hanno scritto più autori, come il Zazzera, Gio Batista Adriano nell’Istoria de’ suoi tempi, Gio Batista Cini, nella Vita del Serenissimo Cosimo de’ Medici Gran Duca di Toscana, il Giovio, Mambrin Rofeo, Giovanni, e Marco Villani, et altri a’ quali mi riporto.