Giuseppe Gioachino Belli

1834 Indice:Sonetti romaneschi III.djvu sonetti letteratura Io Intestazione 19 gennaio 2025 75% Da definire

La ggiustizzia ingiusta Li quadri de pittura
Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti del 1834

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IO.

     E ïo? Nun t’aricordi che rrisposta
Che jje seppe[1] fà io? Sì ttu, ma io
J’aridisse tratanto er fatto mio,
Come fussi una lettra de la posta.

     Bbe’, arrotavi:[2] ma ccorpo d’un giudio,
Nu’ la fesce po’ io la faccia tosta?[3]
Chi jje lo diede er puggno in d’una costa?
Nu’ je lo diede io, sangue de ddio?

     Ah, ttu ssolo nun sformi?[4] e ffórz’[5] io sformo?
E ssi[6] ttu nner giucà stai a la lerta,[7]
Io me pòzzo[8] avvantà[9] che mmanch’io dormo.

     Io so cche io, co’ sta manina uperta,
Io pijjo er déto[10] che mme pare, e ll’ormo[11]
Io nu’ lo tièngo mai pe’ ccosa scèrta.[12]

8 aprile 1834.

Note

  1. Seppi.
  2. Arruotare: fremere.
  3. Far la faccia tosta: metter giù i riguardi.
  4. Sformare: prorompere in isdegno.
  5. Forse.
  6. Se.
  7. All’erta.
  8. Posso.
  9. Vantare.
  10. Prendere il dito: indovinare il punto al giuoco della morra.
  11. Tener l’olmo, è al gioco delle passatelle “esser condannato a non bere mai.„
  12. [Per cosa certa: di certo.]