Invito a Lesbia Cidonia ed altre poesie/La distruzione di Gerusalemme

La distruzione di Gerusalemme

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Adamo scacciato dal Paradiso terrestre Gessner ovvero Aronte
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LA DISTRUZIONE DI GERUSALEMME


Vidi un’antica selva.
Nido di mille augelli,
Ombrosa, e folta in verso al cielo alzarsi:
E co’ suoi rami sparsi,
5Coprir il dorso d’un alpestre monte;
E i roveri nodosi.
Che cento volte ricoprir la fronte,
E i platani frondosi,
E l’abete col faggio, e il cerro, e il pino;
10E il real cedro onor de la foresta,
Con un legger susurro
Delle scomposte foglie.
Invitar a tenzone
Zeffiro, ed Euro, e ’l Noto, e l’Aquilone.
15Ne’ duri e grossi tronchi avean fidanza.
Abbarbicati alle natie pendici.
Con vincoli d’altissime radici.
E benchè cada poca foglia al vento,
Stavano pur sicuri,
20Non perder braccio all’orrido cimento.
Mentre le varie frondi,
Presentan vaga scena,
E al venticel, che qua e là le mena
Si cangian di colore
25In faccia i rai del Sole;
Io sento in quelle orribile fragore.
Un vorticoso turbine dal Cielo
Sopra quel bosco di repente piomba,
Che con acute strida,
30Torcendo i rami intorno
Sfronda l’abete, il cerro, il pino, e l’orno:
E dal concavo speco,
E dalla bassa valle,
I fischi ed il fragor raddoppia l’eco.
35Non che nudar le noderose spalle,
Colle svelte radici, il tronco istesso
Avvilito e confuso, a terra e messo.
Fugge da quella selva
Spaventata ogni belva:
40E resta nudo il duro giogo alpino:
Fiera vista d’orror al pellegrino.

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Poi vidi in mezzo al mare
Glorïoso naviglio,
Ricco di mille palme, e vincitore
45Ben cento volte del marin periglio;
Con vele porporine,
In chiarissimo giorno, e senza nubi,
Tingere d’ostro e d’or Tonde marine:
Parea che il flutto, ovunque egli sen gisse,
50Riverente s’aprisse;
E mansueti i pesci ed i saltanti
Delfini in varii giri,
Su per l’umido regno,
Desser tutti di letizia segno:
55Quando una nube su pel Ciel si stende,
E con nero velame il giorno fura,
Tingendo il Cielo e il mar d’alta paura.
Fierissima procella,
Quale non vide l’Ocean giammai,
60Di quella nave si superba e bella,
Qual facesse governo io non saprei.
So ben che in men d’un’ora,
Rasserenato il Cielo,
I fregi d’or dell’infelice prora,
65Eran su flutti qua e là natanti:
Spettacol di spavento a’ naviganti.
E vidi dopo in un medesmo giorno.
D’alabastri e di marmi
Torreggiante palagio in su d’un colle:
70Le spazïose porte,
Effigïate di metallo, e lungo
Ordine di marmoree colonne,
E simulacri di famosi eroi,
Vivi spirare, e da mill’armi e mille
75Uscire ancor le belliche scintille:
E sull’ingresso un lauro trionfale,
E un pacifico ulivo insieme intesti
Mille simboleggiar fregi celesti,
Quando improvviso fulmine,
80Segnando il ciel di sanguinose strisce,
L’aria d’un tuono orribile stordisce;
Nè già l’arresta il lauro,
Che là non vuoti l’ira,
U’ la mole bellissima s’ammira;
85Si che all’aprir del ciglio.
Che per terror si chiuse,
Apparver nella cenere fumante
Tutte le sue bellezze arse e confuse.
Allor chiara una voce
90All’orecchio mi giunse,

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Che il cor di tema e di dolor compunse:
Terribil più di scatenato vento,
Di procella sonante,
E di fulmin volante,
95Piomba l’ira di Dio;
E nell’età presenti, e nelle antiche,
Sulle città superba al ciel nemiche.