Intorno all'ingiustizia di alcuni giudizi letterari italiani
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Mio Padre 1
Lo scritto, che si adorna in fronte dell'onorando e caro Nome Vostro, liberamente ragiona contro quella specie di volgare e pernicioso entusiasmo delle patrie lettere, che in luogo di rendersi, con luminose opere contemporanee, esemplare alle vicine nazioni, e memorabile alla futura nostra, usa sfogarsi in ciance biliose, e fa pompa di antichi fasti, e di tutto si soccorre, e perfino di calunniose imputazioni, onde sfregiare, se possibil fosse, nella nostra terra i nomi più illustri di tutta Europa. Inutile invidia! sconsigliato avvedimento! che a null'altro giovando fuorchè a blandire l'Italia nell'attuale suo sonno colle vane immagini delle andate glorie, le faranno intanto perdere fin quella di ospitale e di gentile.
A Voi, mio Padre, che mai non foste, nè sarete, per volgere di tempi e di destini, nel numero di quelli, o timidi, o artifiziosi, o sconfortati animi che tengono le verità per un flagello delle generazioni; a Voi sempre ardente di un operoso amore del grande e dell'utile in pro di tutti, se anche figlio io non vi fossi, dovrei questo mio discorso rivolgere. Se non che a ciò fare mi consiglierebbe allora profonda ammirazione, laddove mel persuade insieme un dolcissimo amore.
La speranza di un risorgimento d'idee, e di una più generosa coltura degli spiriti, scevra da quelle intestine gelosie ch'ebbero fin qui il nido loro negli studi medesimi, che più ne dovevano guarire i cuori degli Italiani, s'affida in quella valorosa gioventù, che ora si sta raccolta meditando e silenziosa, e adulta si fa ad un tempo con una più robusta e più vasta filosofia. Passata quindi l'irritazione dei privati odierni risentimenti, che tanto hanno di efficacia negli studi, non saranno allora più contrastate quelle dottrine, che oggidì spaventano ancora gli uni, e sconcertano l'amor proprio di certi altri. Allora incomincerà una splendida Era, il cui radioso crepuscolo Voi potrete forse ancora dal più tardo Vostro, ma pur sereno crepuscolo, salutare. Ma piuttosto nol saluti neppure il Vostro Ludovico quel felice periodo, se indugiando troppo a comparire, dovess'egli, onde gioirne, veder frustrati il presentimento e la forte brama ch'ei nutre di non sopravvivervi.
Il devotissimo e tenerissimo dei Figli
LODOVICO DI BREME 2
Note
- ↑ È il march. Ludovico Gius. Arborio Gattinara di Breme, nato nel 1754 a Parigi, ove suo padre era ambasciatore del Re di Sardegna. Appartenne a sua volta alla diplomazia piemontese e sostenne importanti uffici a Napoli, a Vienna, a Pilnitz, a Francoforte. Quando i Francesi invasero gli Stati Sardi, fu ostaggio in Francia. Venuto nel 1804 a Milano, fu nel 1805 nominato da Napoleone Consigliere di Stato e Commissario generale delle sussistenze per l'esercito d'Italia. Fu poi Ministre de l'Intérieur du Royaume d'Italie dal 1806 al 24 ottobre 1809 e in appresso Presidente del Senato. Caduto l'impero napoleonico riprese stanza nella Lomellina e a Torino, rivolgendo la mente e l'azione al pubblico bene. Per le notizie inesatte date su di lui nella Biographie des Vivans (Paris, Michaud) pubblicò anch'egli un opuscolo di replica: Lettre | du | marquis | Arborio Gattinare de Brême | à ses fils à Milan | Genève | J.-J. Paschoud | 1817 | pp. 14, che fu pure stampato col medesimo titolo a Brescia dal Bettoni il medesimo anno. La lettera ha la data di Sartirana, 24 aprile 1817. Parlando dell'opera da lui svolta durante il regno italico come ministro degli interni, egli dice tra l'altro: « Je ne ménageai au besoin ni les hiérophantes de la révolution, ni leurs protecteurs; je fus assidu au travail, ami de l'ordre et des moeurs; l'un des pilotes enfin actif et vigilant d'un vaisseau monté par plus d'un corsaire » (p. 10). Per difendere la sua opera di Ministro del Regno d'Italia, pubblicò inoltre: Observations | du | Marquis | Arborio Gattinare de Brême | sur quelques articles peu exacts de l'histoire de | l'administration du Royaume d'Italie pendant la | domination des Français, attribuée à un nommé | M. Frédéric Coraccini, | et traduite de l'italien | Turin | De l'imprimerie de Joseph Favalle | mdcccxxiii | in 8°, pp. 96, con documenti. Notevoli sono anche i suoi memoriali sulla Lomellina e sul Dipartimento dell'Agogna (1802 e 1803) e in particolar modo i suoi lavori di argomento agricolo ed educativo, i quali hanno serbato il suo nome nella storia della nostra pedagogia e della nostra agricoltura. Come il figlio Ludovico, fu un ammiratore entusiastico dell'Istituto agricolo di Hofwyl e fu in relazione con il conte Luigi di Villevieille, che era ivi «braccio destro del Fellenberg ». Morì nel 1828 a Sartirana. Un accenno alla sua azione culturale, la quale negli ultimi anni fu viva e intensa, è nel vol. G. Capponi, Sull'educazione e scritti minori, con prefaz. di E. Codignola, Firenze, Vallecchi, 1921, p. 111, e a p. 253 del vol. II del cit. Breve corso di storia dell'educazione di P. Monroe ed E. Codignola. Nel saggio di G. Vidari, Scuole mutue e asili d'infanzia agli albori del Risorgimento, in « Rivista Pedagogica », A. XX, 1927, egli è designato come « il capo piemontese del movimento lancasteriano ». È figura che meriterebbe d'essere studiata. Cfr. intanto Domenico Carutti, Storia della Corte di Savoia durante la Rivoluzione e l'Impero Francese, Torino, Roux, 1892, vol. II, p. 366; Giovanni De Castro, Milano durante la dominazione napoleonica giusta le poesie, le caricature ed altre testimonianze dei tempi, Milano, Dumolald, 1880, pp. 278-280 e p. 396, dove è anche un accenno al figlio Ludovico; André Janin, Napoléon et l'Italie, Paris, Janin, 1947, per l'inquadramento; Melchiorre Roberti, Milano capitale napoleonica, La formazione di uno Stato Moderno, 1796-1814, tre voll., Milano, « Studi e testi di storia milanese », 1946-1947; Angiolo Gambaro, Movimento pedagogico piemontese nella prima metà dei secolo XIX, in «Salesianum» XII, 1950.
- ↑ Nacque a Torino nel 1780; fu discepolo di Tommaso Valperga di Caluso, ardentissimo fin dalla giovinezza negli studi di filosofia, letteratura, storia. A Milano fu elemosiniere del Vicerè Eugenio Beauharnais, governatore dei Paggi della Corte di Milano, Consigliere di Stato nel Regno Italico, cavaliere della Corona di Ferro. Visse libero dopo la caduta del Regno Italico e morì a Torino il 15 agosto 1820, a quarant'anni. Si avverta che l'offrire al padre, da Milano, nel 1816, in segno di alto omaggio, quell'opuscolo polemico, era di per sè un aperto segno di fierezza, di indipendenza e di fiducia in una nuova azione ideale e pratica. Come è risaputo, il governo austriaco mal tollerava che si facesse il nome del vecchio ministro, che nel regno italico aveva dato prova di esperienza politica e di larghezza di idee. Il barone Giuseppe Sardagna d'Innsbruck, alto ufficiale della magistratura austriaca, che aveva imposto un «regolamento» alla Biblioteca Italiana, cercò di impedire che nella rivista si parlasse del march. Di Breme e del figliuolo letterato. Allorchè nel giugno del 1816 Mad. de Staël, con una lettera ai Compilatori della Biblioteca Italiana rispose alle critiche che le erano state mosse (vedi Discussioni e Polemiche, a cura del Bellorini, 1, pp. 64-67), la censura austriaca fece togliere l'alto elogio che del Di Breme letterato aveva fatto la scrittrice francese. Ben dice A. Luzio, nel saggio Giuseppe Acerbi e la « Biblioteca Italiana », che nella lettera di protesta mandata allora dal Di Breme all'Acerba, «non parla soltanto la vanità del letterato», offeso pel disconoscimento, «ma anche un'indole generosa insofferente d'ogni intrigo, d'ogni doppiezza». Ad ogni modo l'Acerbi non voleva rendersi ostile il gruppo dibremiano e si giustificò dicendo che non aveva voluto rinfocolare le polemiche suscitate dal discorso Intorno all'ingiustizia di alcuni giudizi letterari italiani; e quell'anno stesso, avendo la Staël desiderato che nella Biblioteca Italiana fossero recensite le Memorie del Di Rocca intorno alla guerra de' Francesi in Ispagna recate dall'originale francese in italiano, Milano, Stella, 1816 (come è noto, il Di Rocca dal 1810 aveva sposato segretamente la Staël) e avendo designato come recensente il Di Breme, l'Acerbi pubblicò la recensione senza firma. Il Di Breme, fedele al suo pensiero, scriveva in essa: «L'Italia futura avrà l'Alfieri per un suo filosofo politico non men profondo talvolta di quanto lo ravvisi sublime tragico ». Quel liberalismo non poteva certo piacere al governo austriaco. E, allorchè nel settembre del 1817 la Biblioteca Italiana parlò dell'apologia del march. Di Breme (vol. VIII, p. 160), il Sardagna scrisse all'Acerba: «Con somma sorpresa viddi dare molti encomi alla schiochissima (sic) lettera del march. Breme, fareste bene di non stampare cose simili senza consultarmi prima ».