Inferno monacale/Alla Serenissima Republica Veneta

Alla Serenissima Republica Veneta

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Alla Serenissima Republica Veneta
Inferno monacale A quei padri e parenti che forzano le figlie a monacharsi


Alla Serenissima Republica Veneta

Sul’ali della fama vola ad ogn’angolo più rimotto dell’universo che palesa come Voi, Serenissima Regina, concedete a qual si sia natione della vostra bella metropoli libertà non circonscritta, di modo che ne godono tutt’i crocifissori dell’ Figliolo della vostra Santissima Protettrice.

Nella primiera edificatione della vostra città in queste lagune penetrò questa fama fin ne gli abissi, di dove trasse la Tirannia Paterna che, celatasi sotto la maestà delle vesti de’ vostri senatori, ha finalmente piantata sua sede nel Palaggio Ducale e domina la città tutta, seguendo per l’ordinario i vassalli l’orme de’ prencipi, come fa l’ombra e ’l corpo. È riuscitta tanto accetta ed è statta tanto volentieri abbracciata e seguita, questo mostro d’Inferno della Tirrania patterna da’ vostri nobilissimi signori, che non mi resta d’onde temere che questa mia, lineata dalla rozza penna che già mai habbia vergati fogli, non sia per riuscirvi grata.

Ben si conviene in dono la Tirannia Paterna a quella Republica nella quale, più frequentamente che in qual altra si sia parte del mondo, viene abusato di monacar le figliole sforzatamente. Non merita d’esser presentata ad altri principi per non apportar loro scandoli eccessivi: proporcionata è la mia dedicatione al vostro gran Senato, che, con incarcerar le figliole vergini, acciò si maccerino, salmeggino et orino in cambio loro, spera d’etternar voi, Vergine belissima, Regina dell’Adria.

Se godete sentir a dire che ne’ vostri fortunati natali rinaque la libertà, che si credea esser morta con Cattone, aggiungete a’ vostri preggi il non negar a me i frutti delle vostre gratie che, quasi nova Amaltea, versate con liberissima mano ad ogni uno.

Vi dedico dunque e consacro questo mio primo parto come capriccio d’inteletto feminile. Non vi suplicherò volerlo diffendere da lingue detratrici per ché son sicura che non da altri che da’ vostri nobili, che son parte di voi, e da’ vostri sudditi, che a voi son soggietti, son per incontrar malignità di censura. Mi protesto che i miei detti non sono intentionati a biasmar la religione né a ragionar se non contro quei padri e parenti che con violenza imbavarano le figliole.

Ell’è una grand’ingratitudine che quella patria che è protetta parcialmente dalla Vergine, che per mezzo d’una donna ottene già vittoria contro gl’impiti ribelli di Baiamonte Tiepolo, più di qual si vogl’altro dominio del mondo avvilisca, inganni e privi di libertà con forza le sue vergini e donne.

Non vo’ mendicar scuse e colori per insinuarvi la mia sincerità: che ad ogni modo non resta che perdere a chi ha perduto la libertà.

Di Vostra Serenissima.