In morte di Lorenzo Mascheroni (1831)/Prefazione autore
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Vincenzo Monti
Ben provvide alla dignità delle Muse quella legge del divino Licurgo, la quale vietava l’incidere, non che il cantar versi sulla tomba degli uomini volgari, non accordando questo alto onore che alle anime generose e della patria benemerite. Non sarò dunque, spero, accusato di aver violato il decoro di questa legge prendendo a cantare di Lorenzo Mascheroni di Bergamo. Insigne matematico, leggiadro poeta ed ottimo cittadino, egli ha giovato alla patria illustrandola co’ suoi scritti, conquistando nuove e peregrine verità all’umano intendimento, provocando con gli aurei suoi versi il buon gusto nella primogenita e più sacra di tutte le arti, nella quale son pochi tuttavia i sani di mente e molti i farnetici e ciurmadori; egli ha giovato finalmente alla patria lasciandone l’esempio delle sue virtù; beneficii tutti meno strepitosi, gli è vero, ma più cari e d’assai più durevoli che tanti altri partoriti o per valore di armi o per calcoli di mercantile e sempre perfida e scellerata politica. Le repubbliche greche e la romana son morte; il tempo ha divorate le conquiste di Alessandro e di Cesare; pochi anni bastarono a distruggere il frutto delle famose giornate di Maratona e di Salamina: ma durano tuttavia per conforto dell’umanità i divini precetti di Socrate; e la luce uscita dalle selve dell’Accademia e del Tuscolo, superata la caligine e i delitti di tutti i secoli, illumina ancora e illuminerà eternamente gli umani intelletti, perchè la verità sola e la virtù sono immortali.
Ma ti sei tu proposto, dirà taluno, di piangere qui soltanto la perdita del tuo amico? Nol so le cagioni del piangere sono tante. Guai a colui che a’ dì nostri ha occhi per vedere e non ha cuore per fremere e lagrimare!
Lettore, se altamente ami la patria e sei verace Italiano, leggi: ma getta il libro, se per tua e nostra disavventura tu non sei che un pazzo demagogo o uno scaltro mercatante di libertà.