In lotta con la nevrosi
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CHI E’ L’AUTORE
Santino Scapin, è nato a Chions, nel Friuli. Fin da piccolo, com'era allora consuetudine, è entrato tra i frati. Ha compiuto i suoi studi universitari a Roma e a Milano, ottenendo la Licenza in Teologia e la laurea in Filosofia.
Nei burrascosi anni '70-'80 ha fatto il prete operaio e il sindacalista; ha tentato nuovi modi di vivere la vita di frate, puntando soprattutto sulla povertà e sulla preghiera.
A tale scopo, è stato alcuni anni anche in Sicilia per portare avanti con altri frati questo tipo di vita religiosa.
Alla fine degli anni '80, lo ha colpito una depressione e un forte esaurimento di energie fisiche e mentali. Perciò, ha dovuto mettersi in analisi presso uno psicoterapeuta che nel tempo si è rivelato per lui un caro amico.
Ha pubblicato due libri di poesie ed anche un’autobiografia dal titolo: Uomo in fuga.
Le presenti poesie sono state scritte nel periodo al culmine della malattia mentale. Scritte al volo. Là dove l'autore si trovava. Tanto per liberarsi dal cancro del tormento interiore. In un continuo girare qua e là, senza pace.
NATURA E AMICIZIA
- Faccio il poeta
Cavo dall’oscurità
dolce poesia.
Mi parlano al cuore
la notte e il silenzio,
il tedio della vita
e la sua pesantezza,
le ali della farfalla
e il distratto
rumore dell’asfalto.
Ad ogni cosa
strappo il suo velo.
Al di là del velo
il silenzio mi parla.
- Cerco una luce.
Ficco gli occhi nella notte:
cerco una luce,
una sola.
Non la vedo.
La metto io,
là,
sopra la collina
perché
mi scaldi il cuore.
Stenico (Tn), ottobre 1988
Cascata del rio Bianco
Sento il rumereggiar
delle acque.
Vedo lo scorrere antico
di bianca schiuma.
La cascata si spezza
in mille rigagnoli,
dall’alto in basso,
tra antichi muschi
che nulla temono
della furia del torrente.
La mia vita
è come quel muschio:
non cede.
Buono è
lo scorrere della vita.
Sbatte, squassa
i miei teneri rami.
A volta a volta
essi caparbiamente
rinascono.
Inno alla Montagna
Montagna,
mia casa.
I dubbi, le speranze, la rabbia,
il vuoto, l’oggi e il domani
pellegrino
presso i tuoi sentieri
e le misteriose fonti, deposi.
Solo.
Se dell’immenso Dio qualcosa conobbi,
questo fu
tra le tue nevi a me sempre care,
gli abissi e le maestose rocce.
Ho negli occhi la tua potenza.
Montagna.
E nel corpo i sudori, la stanchezza
e la paura, perché mai perdoni
chi sbaglia.
Montagna, sorella.
Notturno sul Lago di Garda
La notte mi avvolge.
Tenera.
Sulla spiaggia, i piedi nudi,
dentro le calme acque del lago.
La sua quiete mi è pace.
Ho atteso a lungo:
oltre l’umano sperare.
Un anno, due, tre.
Il torbido, il disgusto, la nausea
mi hanno avvolto,
squassato,
fatto prigioniero.
Triste compagno del dolore.
A capo chino ho sempre detto sì.
Anche questo torbido
è l’uomo.
L’ho capito col tempo.
Ora le stelle, il vasto buio,
le luci che si allungano
sulle acque
mi accarezzano il corpo.
Soavemente.
Lo spirito è sereno.
una brezza leggera
mi solleva i capelli.
Guardo lontano.
Oltre la notte.
Val d’Algone (Tn), ottobre 1988
Brani di luce
L’inverno avanza,
inghiotte a brani
il verde dell’estate.
Il fogliame tiene ancora
il calore.
……
A DORA, NELLA SUA MORTE
Un groppo mi serra il cuore.
Una lacrima mi scende in volto
mentre scorro i fogli scritti per te,
un tempo.
Ti portai dentro il cuore.
Nascosta, in segreto.
La vita mi sorrideva allora.
Moristi un triste giorno d’agosto.
Sulla bara deposi
i pochi fiori, che la montagna mi dette
in cambio d’una lacrima.
Facesti un baratto:
la tua morte per la mia vita.
Ti riuscì.
A te il mio canto,
la mia primavera.
Ti ricordi la mia nuda terra?
Ora è piena di fiori! Grazie.
A GRAZIA
Guardo, riguardo
i tuoi colori, le nature morte,
i paesaggi;
la casa
che si rispecchia sul lago,
i visetti di bimba,
i cesti di fiori.
Sono la tua gioia di vivere
impressa sul foglio.
Sono colmo di meraviglia,
Grazia,
perché il dolore
che è in te,
non ti spegne i colori.
Ti spezzerà il cuore
ma non ti incatenerà
la vita.
Profumi di primavera,
Grazia.
Sai colorare di gemme
l’arido inverno.
Sono solo
Sono solo in casa:
nessun passo,
nessun rumore.
Posso toccare, palpare,
la mia solitudine.
In essa
tutto mi viene in superficie.
Come tronchi
presi dalla corrente.
Certezze, dubbi,
fragilità, fortezza,
assenza, presenza.
Sogni giovanili
e dura realtà di adulto.
Prendo in mano
ora un tronco
ora l’altro.
Ecco tutto ciò che possiedo.
Sono io.
Proprio io
e non un altro.
Nudo,
a capo chino,
mi accetto anche così.
La solitudine
elimina le scorie,
rafforza la volontà.
O ti fa impazzire.
S. Vito al T.(Pn) 20 novembre 1988
Come una zolla
Per la sconfinata pianura
vago solitario.
Mi sento smosso
come queste zolle qui
sotto i miei piedi.
Frutto della fatica
di genti
che non conobbi.
Lavorato per interi secoli
perché,
guardandomi dentro,
conoscessi la pace.
Umile zolla
che, chinando il capo,
abbraccia la speranza
che la vita gli dona.
Grazie per chi mi ama
Grazie, mio Dio,
per chi mi vuol bene.
Per chi coglie i miei cocci
e li rende uomo.
I miei frantumi
e gli da
occhi, mani, bocca.
Essere che merita
fiducia.
Seme cui si offre
un terreno fertile
per una nuova seminaggione.
Grazie, mio Dio,
per chi mi ama.
Se scompare l’amore
So cos’è l’amore,
Marisa:
due braccia aperte,
una carezza,
uno sfiorar di corpi
che si riparano,
si guariscono,
si proteggono
a vicenda.
Non sono giudice
di chi ama.
Piango con lui,
in silenzio,
se scompare l’amore,
avvolto dalla tomba
per sempre.
Si spegne una luce.
Torna il freddo della notte
con le sue paure.
Lo so, Marisa.
Chions (Pn) novembre 1988
Qui sono nato
Gli occhi corrono
la vastità della campagna.
Un profondo benessere
si diffonde
in me.
Qui sono nato
tanti anni fa.
L’aria porta con sé
l’acre odore di stallatico.
Ovunque guardo
tutto mi è amico:
sento che ciò mi fa bene.
Convalescente,
assaporo
la libertà ritrovata.
Tutto mi ama:
uomini, animali,
e cose dei tempi andati.
Settimo (Ve) 7 dicembre 1989
RICORDI
Ero fanciullo.
Ricordo
la vasta campagna:
mi perdevo in essa,
tra gli alberi nudi
dell’inverno,
sempre raccolti
nell’ovattata nebbia.
Mi sentivo a mio agio
nel cuore della nebbia,
sicuro,
come nel ventre
di mia madre.
Ancora ricordo la casa,
la dolce casa
dove Rina
in assenza della madre morta,
portava la fatica
della nostra fanciullezza,
mia e di Luigina.
Ricordo mio padre,
duro
ma protettivo.
Ed ancora:
le trasognate serate
passate nel calore
della stalla
dove
animali ed uomini
scrivevano insieme
le vicende della vita.
Rammento le allegre risate
che si perdevano
nella grande pianura estiva.
Come sogno
quei tempi sereni,
senza spaccature,
di pura dolcezza!
Quando lo stesso dolore
veniva guarito
dal sole, dalla pioggia
e dalla scarna esistenza
che ognuno tesseva
per l’altro
come un caldo panno
sulle spalle del ferito.
Sì
ognuno ha fatto allora
del suo meglio
per dare senso alla vita.
Ci siamo dati tutti
una mano.
Ciascuno a modo suo.
La vita
ci condusse poi
per strade diverse,
impegnative.
Ma allora,
là nella stretta casa
di Settimo
regnava la pace.
Ora, io sono diventato
ciò che quella casa
mi seminò
di serenità
e di pazienza.
Forse per tutti questi motivi,
inconsciamente,
sono venuto
a vivere qui,
una vita simile,
in questo luogo deserto
del lago.
Spoglia di tutto,
lontana dal paese.
Per ricondurre tutto all’essenziale,
allo stretto necessario
di un tempo.
Per riportare in superfice
le ricchezze di allora,
i buoni valori
che il passar degli anni
non hanno distrutto.
Non esistono, infatti,
difficoltà così grandi
che non generino
abbondante grazia.
Inverno
E’ l’imbrunire.
I miei passi
si muovono lenti
verso occidente.
Il viottolo
è due solchi di fango
che l’ultimo raggio di sole
illumina.
Mi sembra
che non scenda la notte,
ma che il freddo
avvolga il giorno
in una morsa oscura.
Il cra cra dei corvi
sul mio capo
mi ricorda che è inverno.
Dico: basta!
Rifiuto il pantano.
Se un posto odora di muffa
lo rifiuto.
Dico: basta!
Una strada bianca
è meglio
d’un’oscura cantina.
L’incertezza
meglio dell’inerzia:
è inumana.
L’aria libera,
no il chiuso recinto.
Voglio vivere il grande,
non il piccolo.
Con le mie povere ali
remare
i vasti cieli.
Vorrei la notte…
Com’è arida la mia notte.
Senza un fruscio d’ali,
un alitar di fate,
un prato in fiore.
E’ una notte
senza sogni:
è la mia notte di adulto.
Vorrei la notte
dei bambini.
Che il quadrato
diventasse cerchio.
Che io danzassi sui prati del cielo.
E tante altre cose belle.
Chissà…
forse un giorno succederà.
E’ primavera?
Mi sentivo vecchio, frusto.
Cosa da buttare
che a nulla più serve,
su cui il passante
sputa
con sprezzante noncuranza.
Ma un fatto nuovo
ha riaperto le porte
della speranza.
L’arido corpo
sente nell’aria
il ritorno
del tempo degli amori.
E’ forse primavera?
Due mani strette insieme
Un uomo
assieme alla sua donna.
Come due barche
nel mare aperto,
ancorate alla stessa speranza.
La tempesta si placa,
le ondate
si attenuano.
Un filo di luce
traccia il cammino.
Due mani
strette insieme
sono una forza.
Regalo inatteso
I tuoi occhi,
i tuoi grandi occhi castani
ricordo
mentre ti guardavo.
Occhi stupiti,
meravigliati
come per regalo inatteso.
Lo splendore del tuo volto
aumentava la mia gioia.
Tu avvolgevi
di dolce tepore
il mio stanco corpo.
Mi chiudevi nel tuo cuore.
Le tue parole
mi erano balsamo.
Polcenigo (Pn) 25 aprile 1989
La pioggia
Guardo la pioggia
che scende:
silenziosa e lenta
innonda il paesaggio,
le tenere foglie e i grossi fusti,
schiaccia le case
laggiù sul fondo,
dove scorre il torrente
rumoroso
e senza pace.
In treno, 21 maggio 1989
Mi sono vestito a festa
Stamattina
ho provato
la pura gioia dei sentimenti,
mentre preparavo
ogni cosa per incontrare te.
Gioia di vederti,
gioia per l’affiorare di sentimenti
nuovi, belli,
un tempo repressi.
Mi sono vestito a festa
come bimbo
per la prima comunione.
Mi sono profumato.
Odoravo di primavera.
Sei troppo semplice
Spero di non averti
mai
fatto del male.
Non lo meriti.
Hai il cuore tenero
di bambina,
sei come pura acqua
che scende canterellando
a valle.
Mi piaci
per questo tuo cuore fanciullo.
Ti sfioro come corolla
al sole.
Non saprei pensare male di te.
Sei troppo semplice
e buona.
Il mio futuro passa da te
Sai che penso?
Guarirò a causa tua,
perché mi vuoi bene.
Man mano che ti vengo incontro
sento il mio corpo
rilassarsi,
liberarsi dalle paure.
Forse tu sei una strada
per me.
Forse il mio futuro passa da te.
Tu inghiotti il mio torbido;
volendomi bene,
tu ricuci le mie ferite.
La voglia di vivere
E’ bello sentire
che tu mi vuoi bene.
La mia vita distrutta
riprende il cammino.
Per vie segrete,
il tuo amore
distrugge il desiderio
di morte e distruzione,
mio compagno da anni.
Il tuo corpo
ebbro di gioia,
le tue risate che salgono
da fonte a me nascosta,
mi attaccano adosso
la voglia di vivere.
Valsugana, maggio 1989
Corri trenino
Il cielo è azzurro,
nuvoloni vi giocano sopra.
Corri, corri
trenino,
lascia alle spalle
gli incubi, le paure,
il nonsenso, il vuoto.
Percorri veloce
le verdi vallate
cucite di allegri colori.
Porta i miei occhi con te,
avvolti di sole.
Ora vedono cose belle
e grandi.
Mori (Tn), 9 agosto 1989
Oltre le nubi
Tutto mi si cambia
dentro,
stando in tua compagnia.
Il cielo
risplende sereno,
oltre le nubi.
Muovo un passo dietro l’altro
con calma,
senza esigere troppo.
Anche la vetta più ardua
è accessibile.
Ieri non lo era.
E’ bello
guardare lontano.
Colorare di luce la vita,
in tua compagnia.
Limone sul Garda (Bs)
La notte
Fuori c’è la luna,
si culla sul lago
in un mare
di luce.
Gli alti cipressi
svettano
sul ripido pendio.
La notte nera
è
punteggiata di stelle.
Fate, spiriti,
dolci presenze
tengono in mano
la mia piccola dimora.
5 Novembre 1989
Una luce
Non spegnerla,
grande Dio.
E’ una sola,
lo so.
Per me
è una speranza, però.
Mi apre il cuore,
altrimenti
si spezzerebbe
nell’aspra solitudine.
Han fatto i loro affari.
Sono partiti
sazi, opulenti.
Almeno
tengano accesa
là nel giardino
quella luce per me,
grande Dio.
Lo scopo per cui sono qui
Solo.
Nella lunga, torrida
giornata del lago.
Solo.
Mentre ascolto
l’acqua sciacquare
sulla spiaggia
i suoi tormenti.
Solo.
A guardare i gabbiani
volteggiare festosi
le loro ore d’amore.
Pare che tutto mi sia amico,
che tutto mi accolga
con simpatia.
Ogni cosa sembra conoscere
lo scopo
per cui sono qui:
ritrovare pace.
Il fagiano
Ora ho un compagno:
è un fagiano.
Dalle penne colorate,
bello,
maschio.
Non ha paura di me.
E’ sfuggito ai cacciatori.
Io non sono
come loro.
Non gli farò
del male.
Mi si accovaccia vicino.
Come fossi suo amico,
sua difesa.
Per lui sono importante.
Il pettirosso
Quant’è simpatico
il pettirosso
che bussa
alla mia finestra.
Prima,
avverte
con un lieve pigolio.
Poi,
col becco bussa.
Insiste
più e più volte.
Finché non lo osservo
e gli getto
briciole di pane.
Chi l’ha mandato?
Uno
che vuole stemperare
la mia solitudine.
La viola
Incredibile!
Nella morsa del freddo
è spuntata orgogliosa
una piccola viola.
E’ un messaggio
per me,
un segno:
il gelo
non spegne la vita.
Sono più forti
il coraggio,
la speranza,
di ogni catena di morte.
Anch’io rifiorirò.
Anche se sembra impossibile.
CONFIDENZE A CHI SI VUOL BENE
Sii forte,
amore mio.
La tua stanchezza,
il tuo corpo
che sembra invecchiare,
sono solo paure.
Di non essere nel giusto,
di stare fuori posto.
Forse non hai mai provato
essere nel tuo posto.
Mai hai tentato
il tuo giusto modo.
Ora, invece, tenti il modo
e provi il posto,
quello tuo.
E le paure che nascondevi
ti mordono
ti stancano
ti invecchiano.
Non cedere mai.
Assumiti
la dura divina
responsabilità
di essere dove sei
e di volere quello che vuoi.
Ce la farai.
Sul golfo di Salò
Sorge il sole.
La luce
si spande sul lago.
Le lievi onde,
in mille dondolii,
la portano lontano.
Sbatte sulle case,
si infrange sui vetri.
Fa risalire la danza della vita
dal buio della notte.
La luce bussa
anche al mio cuore:
“Scuotiti. E’ ora di vivere”.
La mia piccola dimora
Ogni angolo della mia casa
mi è dolce.
Qui ho sofferto,
là ho stretto i denti.
Dovunque
ho messo
un pezzo di mosaico
della mia vita.
Lì il tepore
della legna al fuoco.
Là le poltrone del salotto
con l’orsachiotto
dallo sguardo smorto.
I posters alle pareti.
Dalle profondità
del mio essere
ripesco
la bellezza di ogni cosa.
Lì, tutto ha un senso,
tutto è ricamato
come
per una stanza
in cui l’uomo ama la sua donna.
Copro le viole
Copro le viole
con un delicato panno
perché non perdano
nella notte
il calore del giorno.
Domani
ungeranno ancora
il mio corpo
di delicato profumo.
I sandali da viaggio
Ogni sera sembra spegnersi.
Ogni mattino rinasce.
Da segrete fonti,
ricompare in me
il desiderio
di riprendere il fardello,
di rimettermi ai piedi
i sandali da viaggio.
La voglia di scoprire
nuovi orizzonti
diversi da quelli di ieri.
6 dicembre 1989
Prendi dalla natura
Fermati!
non andare in fretta.
Non lasciarti sfuggire
l’occasione di stupire.
Tutto ti è dato:
eccolo lì
davanti a te,
sotto i tuoi occhi.
Il sole al suo tramonto
incorona di rosa i monti.
Il lago
viene incontro,
in un delicato
scuotersi di acque,
da laggiù
dove fa muro la nebbia.
Sopra la tua testa
gli olivi
hanno tra il fogliame
matura oliva.
Uccelli
si radunano
per il riposo della notte.
Ferma i tuoi passi,
fissa i tuoi occhi.
Non rubi nulla
se prendi dalla natura.
Sulla sabbia
Mi è dolce
camminare con te
sulla spiaggia.
Il lago,
prima minaccioso,
ora stende
mite
le sue onde
ai nostri piedi.
Guardo sereno
il cielo ancora cupo,
la luce
che tenta di liberarsi
dai ceppi delle nubi.
Le campane
suonano a festa.
E’ domenica.
Nella quiete decembrina
ci avvolge il silenzio,
stringe nella pace
il cuore
che brama riposo.
I tuoi passi vellutati,
le tue mani nelle mie mani
mi mettono adosso
il desiderio
di non smettere la speranza.
Non smetto di crederci
Ti guardo negli occhi,
mio amore,
e mi vien da ridere.
Pensiamo insieme,
infatti,
ad un’assurda scommessa.
Riusciresti tu
a dare
foglie e frutti
ad un albero rinsecchito
cui fu proibita
la giovinezza
e la primavera?
Io non smetto di crederci.
E tu ?
Vittorio Veneto (Tv), 27 febbraio 1990
Vincerà la luce
E’ l’imbrunire.
S’appressa la notte.
Ma non calerà
nel mio cuore.
Dentro di me
vincerà la luce.,
la benevola accoglienza
che nutre il creato
verso di me.
Perché
ogni cosa è buona
se buono è lo sguardo.
LA NEVE
Affondo il piede
nella fresca neve,
da lungo attesa.
Godo del vento e della tormenta,
dei grossi fiocchi
che danzano nell’aria
e mi schiaffeggiano il viso.
Sono felice,
mi sento bambino.
Piglio al volo
brani di neve.
Portami in alto,
sulle tue spalle,
Signore,
per non affondare nella neve.
Da lassù vedrei le cose
con occhi diversi.
Giocherei nella tempesta.
NEVROSI
Male oscuro
Quell’ombra che mi insegue,
chiamatela
come volete:
nevrosi,
fogna,
satana,
tenebra
e altro ancora.
Purché vi sembri pantano,
morsa,
lutto.
Mi hai tolto tutto,
sanguisuga.
Hai divorato
la mia giovane vita.
Pure Dio, che tanto amavo,
lo hai reso uno schifo.
I colori li hai fatti neri;
le fiabe, proibite.
L’orizzonte, meschino.
Se un fiore profuma
io non lo sento.
La gola è secca
per poter cantare.
Dio ti stramaledica,
cancro dell’anima.
Nevrosi.
Ora, per favore,
se non ti è difficile,
fai una pausa:
lasciami sognare,
cantare,
guardare lontano.
Lasciami
le lacrime agli occhi.
Credetemi:
val più un attimo di quiete
che mille godimenti.
Ma sui miei passi
scorgo ancora
tracce di sangue
di abbondante sangue.
E un sacco di lacrime.
Da quanti decenni soffro?
Non si sono seccate
le lacrime
dai miei occhi.
Steso per terra,
come un qualsiasi animale,
nel più aspro dolore,
con la mente
mi guardo
il corpo tutto,
pezzetto per pezzetto.
Da quanti decenni
soffro?
Eppure anche domani
gli chiederò ancora
di soffrire.
Senza fine.
Vita lacerata
Ecco il cancro,
il cuore dell’abisso:
vivere al di là,
oltre se stessi,
fuori dal centro.
Sempre
perennemente sbilanciati.
Altri ritmi,
altre misure
che le proprie.
Prendere a prestito
la vita, i gusti,
le idee e i sentimenti
e viverli come propri.
La nevrosi:
un vita in prestito,
non la tua.
Per cinque, dieci anni
la cosa funziona.
Il corpo pazienta,
tiene duro.
Poi il crollo.
Il tuo io
non sopporta più
l’essere qui
e l’essere là,
il fare il suo
e contemporaneamente,
l’altrui volere.
E’ il caos,
la lacerazione.
Piegato su me stesso,
medito.
Bastonato, umiliato,
trascino i miei giorni.
Ma il fatto stesso
di conoscere
il cuore dell’abisso
mi mette adosso
tanta voglia di lottare,
di non mollare
di un centimetro.
Di riprendermi
la vita.
Caricarla sulle spalle
e andare
verso l’orizzonte
più lontano.
Due lacrime
I sentimenti,
gli affetti,
i profumi
non si sono spenti
del tutto in me.
Vado a letto
piangendo.
E’ stupendo piangere
in queste condizioni.
Le due lacrime
che scendono sul volto,
pur dentro
il duro patire,
faranno crescere
erba, fiori,
sui prati dell’anima,
apriranno l’azzurro
lassù
oltre le nubi.
Nevrosi
Era stata una serata
terribile.
Il corpo accartocciato,
steso sul letto,
stretto nella morsa
della nevrosi.
Reso impotente.
La mente annebbiata.
Mi vidi
per i restanti anni,
preda della pazzia.
Senza più scampo.
Non avevo alternative.
Umanamente
avevo fatto l’impossibile
per non cascare dentro
quella inumana gabbia.
Ora mi arrendevo:
vieni odiata compagna
dei miei tristi restanti anni!
Non pensai minimamente
ad uccidermi.
Anche il folle
ha un suo senso;
il suo vagabondare
contiene un messaggio.
Dalle mie profondità
dissi a quel Dio
che tanto avevo amato,
pur nel dolore:
“Sia fatta la tua volontà”.
Mi accettavo
nella dura realtà della pazzia.
Sapevo che era
cosa assurda il farlo:
eppure non sapevo
fare una cosa diversa.
Un torpore
invase il mio corpo.
Mi rilassai.
Non avevo ormai
più motivo di difendermi.
Di lottare,
di sottrarmi al caos.
L’abisso mi inghiottiva.
Per sempre, pensavo.
Chiusi gli occhi
e dormii.
Sfruttare il Negativo
Che duro lavoro,
che lotta immane
per distogliere la mente
da decenni
di perdizione!
Essa ha sempre e solo
registrato ogni fatto
al negativo.
Niente per lei
ha più un valore positivo:
solo questo pensiero
la sazia.
Cosa fare?
Vado per tentativi.
Sfrutterò il negativo della mente,
ciò che fa schifo.
Devo ingannare la mente
distorta.
Lavorare sul terreno
che più le piace.
Usare il paradosso.
Odorare i fiori
che ad essa fanno schifo.
Profumare il corpo
che per essa non conta nulla.
Guardare il sole
e i suoi ricami
senza senso.
Spero che la cosa riesca.
Forse la bontà e bellezza
che so essere in ogni cosa
respingeranno
la registrazione negativa
finora fatta
dalla mente ottenebrata.
Il nemico è dentro
Dove posso fuggire?
Non lo so.
Il nemico lo porto dentro.
Lo porto con me.
Dovunque
mi sono compagni
paure, angosce,
inseguimenti di fantasmi.
Il cuore batte affannosamente,
mi manca il respiro.
Da anni è così, senza pause,
senza mai smettere.
Non ho scelta, Dio mio.
Tra le tue braccia
vorrei nascondere
il mio volto.
Impaurito e tremante
invoco:
basta, Dio dei cieli.
Lasciami riposare.
Che assapori il sonno.
Non ho abbandonato la spada
nella lotta;
tra i primi
sono stato sulla breccia.
Ora sono esausto.
Mi mancano le forze
ed il respiro.
Fra le tue braccia
dammi quiete,
Padre!
Limone del Garda, 8 ottobre 1989
La vita
Più langue
più mi affasciana
e più l’amo.
Ogni giorno mi alzo
perché lei si alza,
e mi viene incontro.
Lotto duramente,
mi apro un varco
tra vipere e scorpioni
per incontrarla.
Non cedo,
ne sogno l’alba,
i miei occhi
scrutano nelle tenebre
il suo arrivo: la vita.
Non posso rassegnarmi
che essa
si spenga in me.
Solo perché una cultura
di morte
e di autoannientamento
l’ha prostrata.
Ora
le apro le braccia
e grido con forza: vieni!
Non tarderanno
a varcare la mia porta
i suoi dolci passi.
La sposerò per sempre.
La vita.
Le mie paure
Ritorneranno?
Non lo so.
Abitualmente
sono sempre puntuali.
Da vari anni.
Ieri sera
sono proprio state brutali,
crudeli.
Hanno infierito, morso,
stritolato, sbranato.
E poi vomitato.
Ero solo,
senza difese.
Il vicinante
dista mille passi
da me.
Ho voluto io
questa distanza.
Perché la lotta fosse aperta e chiara
e alla fine
un vincitore.
Perché non sfuggissi
le mie paure
in qualche caldo tepore.
Perciò
non avevo altra scelta:
o la pazzia
o la serena accoglienza
dei miei fantasmi.
Mentre essi mi divoravano,
pensavo:
è bello sapere
in questo torbido oggi
che domani
il sole
ancora sorgerà,
canteranno ancora gli uccelli,
le onde del lago
si accavalleranno
sulla spiaggia.
I bimbi
continueranno a ridere.
Se un uomo
riesce ancora a pensare questo,
può vivere,
ne ha il diritto.
Uomini perdonatemi
Sono steso al suolo,
la pancia in aria,
le mani sotto la testa:
guardo le grosse nubi
muoversi verso settentrione.
Una pace benefica
mi innonda
da tempo attesa.
Dico tra me e me,
in tutta sincerità:
Uomini,
perdonatemi,
se nel mio delirio
vi ho calpestato.
Abbiate pazienza.
Accettatemi per quello
che sono,
con le mie luci
e le mie ombre.
Tutto ha valore.
Un precario equilibrio
Ognuno
è un precario equilibrio,
così tanto fragile.
Ognuno è composto
di alcune conquiste
e di tanti fantasmi,
di tante paure.
Saggio
è rispettare
tale equilibrio.
E' disumano togliere
una stampella,
uno scorrimano
a chi ne ha bisogno.
Bello è rispettare tale equilibrio.
Amico dolore
Mi frughi il corpo,
con calma.
Hai tutto il tempo che vuoi,
amico dolore.
Il capo, il collo,
il cuore,
il corpo tutto
interminabile
al tuo incalzare.
Ti seguo
come docile bimbo,
tengo la tua mano.
Oggi
non ho paura di te,
dolore.
Non prendo droghe
per cacciarti:
siamo compagni ormai.
Solo,
rendimi forte,
saldo nelle tempeste,
fino ai primi raggi
del sole.
Legge, norma, prescrizione
Mi avete denudato,
distrutto,
dissanguato:
legge, norma, prescrizione.
Siete state
un vero inganno.
Vi ho dato
i miei teneri anni,
le mie giovani speranze,
un corpo ed uno spirito puliti,
scoppiettanti di primavera.
Mi riduceste
un cumulo di macerie,
una distruzione su cui si piange.
Legge, norma, prescrizione:
si glori di voi
chi vuole.
Io da voi
ho ricevuto
cenere.
Il truce pessimismo
Bando al truce pessimismo
che ha affossato
i miei anni.
Il sole del mattino
entra,
attraversando il vetro,
illumina la mia stanza.
Perché ciò non è bello?
Il bello è bello
anche se il dolore
mi attanaglia
il corpo e lo spirito.
L’ottimismo
è una dignità da conservare.
Anche in punto di morte.
I colori mi circondano,
gli affetti mi accarezzano,
l’umano calore
mi copre di tenerezza.
Non mi è lecito
rivestire tutto ciò
di opaco pessimismo.
E’ un delitto
contro natura
che non mi sento
di compiere.
Fiori sulle macerie
Ma mai si spegne
la speranza.
Sopra le nere nubi,
certo,
risplende il sole.
Non è detto che macerie
non facciano crescere
fiori,
intonare canti,
ritmare danze.
Lo sogno,
mentre la notte
cala il suo sipario
su un torrente di dolore.