Il triplice disastro ferroviario al bivio dell'Acquabella
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IL TRIPLICE DISASTRO FERROVIARIO AL BIVIO DELL’ACQUABELLA
— 7 morti e 23 feriti —
Un impressionate disastro ferroviario è accaduto fulmineamente lunedì sera, quasi ad un chilometro dalla Stazione Centrale di Milano – disastro che ha commosso tutta la città, non solo per il numero di vittime, ma per la tragica fatalità, la quale ha voluto che tre treni viaggiatori precipitassero nel medesimo luogo e quasi nella stessa ora in spaventevole conflagrazione. Ecco, in rapida, precisa sintesi, come è accaduta la catastrofe:
Alle 20,47 di lunedì sera il treno 2577 omnibus viaggiatori lasciò la Stazione Centrale di Milano diretto a Bergamo via Treviglio. La partenza era avvenuta regolarmente; il treno aveva segnata dinnanzi a sè via libera. Procedeva adagio. Superato il ponte-cavalcavia che attraversa il corso Loreto, avanzò anche più lentamente, a passo d’uomo, in causa degli ingombri per opere di riparazione in corso sulla linea ferroviaria. Appena all’inizio del viaggio, in prossimità del bivio Acquabella – dove ora quasi arrivano le costruzioni di corso Indipendenza fuori porta Monforte – il macchinista fu sorpreso di trovare il segnale di linea chiusa. Si fermò, senza che per altro, il personale del treno, sceso sulla linea, potesse darsi ragione delle cause che avevano determinato il segnale di arresto, giacchè appena pochi momenti prima alla Stazione Centrale la linea era indicata libera. Nondimeno il personale non ebbe alcuna preoccupazione ed attese tranquillamente il momento di riprender la corsa. Infatti nulla c’era da temere, poichè nessun altro treno avrebbe potuto partire da Milano fintanto che il segnale di linea chiusa non fosse stato tolto. Il treno così rimase fermo, a 700 metri circa di distanza dalla Stazione Centrale, poco lungi dal bivio Acquabella, in località con due soli binari, uno per le partenze e l’altro per gli arrivi.
Rimanere fermo, voleva dire obbedire ai segnali ed al regolamento per la marcia dei treni: ma, purtroppo, per una tristissima fatalità, tutto doveva procedere diversamente da ogni regola normale. Il guardia-blocco che aveva chiuso il segnale facendo fermare sulla linea il treno 2577 diretto a Bergamo lasciò aperto – per una inesplicabile aberrazione della memoria – il segnale di via libera al direttissimo Parma-Sarzana diretto a Roma, in partenza dalla Stazione Centrale alle 21,5. Il direttissimo ebbe ordine di partenza e questa si effettuò regolarmente. Proseguì la corsa senza il minimo sospetto che la linea fosse ingombra. Il segnale indicante via aperta era piena garanzia che poteva procedere liberamente. Il direttissimo avanzò anch'esso lentamente oltre il cavalcavia di Corso Loreto in causa del tratto di linea mosso per le opere di riparazione. Se avesse proceduto con la velocità consueta il disastro sarebbe stato incommensurabile. Come il macchinista ebbe superata, in brevi momenti, la prima distanza, giungendo a dominare la linea fino alla curva verso l’Acquabella, ebbe la terribile sorpresa di trovare davanti a sè, ad una ventina di metri, il treno per Bergamo partito venti minuti prima, che non doveva più nemmeno essere in vista, e che invece era là immobile, sulle rotaie. Era troppo tardi per fermare. Diede disperatamente il controvapore. L’incontro era però ormai inevitabile. I pochi viaggiatori del direttissimo affacciati ai finestrini dei primi vagoni e i viaggiatori tutti del treno per Bergamo che al rumore minaccioso del direttissimo sopraggiungente trasalirono, ebbero la sensazione del pericolo mortale. Fu un attimo. La macchina del direttissimo raggiunse con un urto tremendo i vagoni di coda del treno fermo spezzandoli e scavalcandoli fra il fragore di un terribile schianto. La macchina era come entrata, squarciandolo, nel primo vagone di coda, aveva poi rovesciato altre carrozze affollate di viaggiatori, s’era sollevata sulle rovine, stritolando ogni ostacolo, contorcendosi come in uno spasimo disperato, per precipitare a terra schiantata e distrutta, rovesciandosi coi fianchi lacerati sovra il binario di partenza, mentre col corpo andava a coprire l’altro binario di arrivo distendendosi fino al limite della scarpata coi suoi due fanali accesi che lanciavano lontano la loro luce sanguigna.
Il fragore dell’urto si ripercosse lungo la linea, a grande distanza. S’udivano salire dal massacro di rovine le grida dei feriti, dei moribondi, alcune vittime, rimaste sul colpo, ebbero appena il tempo per lanciare l’urlo supremo. I viaggiatori superstiti si gettarono fuor dai vagoni, strepitando. In quell’istante di smarrimento generale, mentre parecchi fuggivano inorriditi, ed altri erano rimasti lì quasi irrigiditi dallo spavento, e il personale era in preda alla più grave angoscia, s’avvertì da lontano il fragore di un altro treno che sopraggiungeva a gran velocità. La scena spaventevole non era finita. Tutti si ritrassero, rifugiandosi nei prati laterali, in attesa del nuovo urto formidabile. Il rumore s’avvicinò. Era l’accelerato di Genova, proveniente da Voghera, che sopraggiungeva in quel momento, diretto a Milano. Questo treno procedeva sul binario legale d’arrivo. Giunto all’Acquabella senza trovare segnali di arresto, si avvide di essere sul teatro di un disastro, ma troppo tardi. Il binario di arrivo era ostruito dal corpo fracassato della locomotiva del direttissimo Sarzana-Roma. La macchina del direttissimo di Genova proseguì fischiando disperatamente, andando ad urtare nell’ostacolo con fragore terribile, rimanendo come inchiodata sovra quel mucchio di rottami che rappresentava la locomotiva del direttissimo Parma-Sarzana, già spenta e contorta. Un macchina sovra l’altra. Una confusa nell’altra, spaventosamente! Il nuovo urto però non produsse, per fortuna, altre vittime, all'infuori di qualche ferito. Diversi vagoni caddero sconnessi. Due bagagliai rovesciaronsi sulla linea e lungo la scarpata. Il cumulo delle macerie spaventosamente ingombrava il suolo per un tratto lunghissimo. Qua e là si scorgevano i morti, dei feriti. Una scena angosciosissima, indescrivibile, aggravata dall’oscurità della notte appena attenuata dai raggi della pallida luna circonfusa di nebbia.
La spaventosa notizia fu subito nota a Milano e una folla enorme accorse sul luogo – e carabinieri e militari avevano un bel da fare a tenere indietro tutta quella gente, parte ansiosa, parte curiosa che accalcavasi da ogni lato sul teatro del disastro spaventevole. Nel direttissimo per Parma-Spezia era il ministro del tesoro, Carcano, proveniente da Como, con vari deputati e senatori; le vetture di coda di questo treno, rimaste incolumi, furono ricondotte in stazione; mentre sul luogo della rovina, fra scene strazianti, e col concorso dei vari corpi d’assistenza, dei pompieri, di agenti ferroviari e della sicurezza pubblica compievasi, fra molte difficoltà, l'opera di salvataggio.
Nelle complicazioni del triplice, spaventoso investimento, le vittime, per fortuna, furono meno di quante avrebbero potuto essere – sette morti, tutti identificati e 23 feriti, prontamente assistiti dalle vicine ambulanze o portati negli ospedali cittadini.
Le cause.
Come mai un tale insieme disastroso di circostanze in località munita d’ogni più perfetto sistema di sorveglianza? Il capostazione della Centrale, signor Vercellone, interrogato, ha così ricostruita la situazione e la possibile causa del disastro:
– Alle 20,47 è partito il treno 2577 per Bergamo. Il blocco della stazione segnava: via libera. Quando il treno è giunto al blocco di scambio n. 2, non trovò alcun segnale che indicasse che la via non era libera.
Il treno 2577 così giunse presso il blocco dell’Acquabella, n. 3, ove il treno fu fermato. Il personale discese e si recò al blocco per le informazioni e per avvertire che al blocco n. 2 non era stato avvertito alcun segnale. Verificassero perciò gli apparecchi. Frattanto partiva da Milano il treno n. 23 per Roma, il quale avrebbe necessariamente dovuto trovare chiuso il disco al blocco n. 2, ed invece era aperto. Per ciò il treno procedette, fra la nebbia. Appena fu avvertito il 2577 fermo su la linea, furono tosto chiusi i freni; ma troppo tardi.
Due blocchisti arrestati.
Il Casati Francesco deviatore al blocco n. 3, fu arrestato, martedì mattina. Egli si era completamente dimenticato che a quell’ora dovesse passare il treno per Bergamo, e quando il blocchista n. 2 gli chiese la via libera con due tocchi, non rispose nemmeno. Il capotreno discese per chiedergli la causa di tale fermata. Saputo che il treno era per Bergamo, gli rispose che si sarebbe affrettato a dargli il via libera. Il capo-conduttore partì dalla garretta di blocco dirigendosi al treno, ma nel frattempo il blocco n. 2 avvertiva il blocco n.3 della partenza del direttissimo per Roma. Il Casati diede dal blocco n. 3 via libera, dimenticandosi che il treno per Bergamo non aveva ancora ripreso il suo viaggio. Fu appunto mentre il capo-conduttore si recava alla testa del suo treno per farlo partire, che avvenne l’investimento da tergo per opera del direttissimo Parma-Spezia proveniente dalla Centrale di Milano.
Martedì mattina fu pure arrestato il deviatore del blocco n. 2, Luigi Brioschi, che si era ecclissato dopo il disastro. Costui interrogato dall’autorità di P.S. perchè non avesse dato il segnale al treno 2577 di fermarsi, rispose che poichè l’omnibus per Bergamo e il direttissimo per Roma, partenti immediatamente l’uno dopo l’altro, sono abituati a trovarsi l’uno vicino a quello che lo precede, e sono spesso costretti ad attendere la via libera, allo scopo di non tenerli inutilmente fermi, si lascia che si rincorrano. Essi procedono però a moderata velocità. La nebbia foltissima di iersera gli impedì di vedere che il 2577 era fermo ed omise di chiedere al blocco n. 3 perchè non avesse risposto alla sua prima domanda di via libera pel treno di Bergamo.
Resta poi a sapersi perchè, in circa un quarto d’ora di tempo che intercorse dal momento dell’urto, nessuno provvide a far chiudere, con apposito segnale, il binario d’arrivo da Rogoredo per fermare l’accelerato di Genova, che fu lasciato avanzarsi fino a che andò a dare di cozzo nella rovesciata locomotiva del direttissimo Parma-Spezia. Un complesso di insufficienze, di imprevidenze, le quali fanno sempre meglio vedere a quale disorganizzazione – col servizio di Stato – sia arrivato il regime ferroviario, mentre gli agenti, famosi per la violenza dei loro voti contro ogni disciplina, hanno avuto aumenti di paghe, miglioramenti di orarii, tutto quanto hanno chiesto e voluto, ed ancor più si preparano a chiedere, e, viceversa, la pelle e gl’interessi di chi si serve delle ferrovie sono alla mercè delle loro negligenze e del lasciar andare che – un brillante ed efficacissimo conferenziere – l’ing. Eliseo Galluzzi – ha espressivamente sintetizzato nel titolo: Il microbo del disservizio ferroviario in una vibratissima conferenza detta a Bologna la sera del 13 gennaio ed ora pubblicata in volumetto molto interessante da Zanichelli.