Il piccolo principe/II
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Traduzione dal francese di Franco Perini (2016)
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Per questo ho vissuto una vita solitaria, senza persone con cui potessi davvero parlare, fino a sei anni fa, quando ebbi un guasto nel deserto del Sahara. Qualcosa nel mio motore s'è rotto. E siccome non c'erano con me né un meccanico né passeggeri, mi provai a fare, tutto da solo, la complessa riparazione. Per me era una questione di vita o di morte. Avevo acqua da bere per appena otto giorni.
Pertanto la prima sera mi sistemai a dormire sulla sabbia, lontano mille miglia dal primo posto abitato. Ero ben più isolato di un naufrago sulla zattera in mezzo all'Oceano. Quindi potete immaginare la mia sorpresa, quando al levarsi del sole una buffa vocina mi svegliò. Diceva:
— Per cortesia… disegnami una pecora!
— Che?!
— Disegnami una pecora…
Io balzai in piedi come se fossi stato colpito da una saetta. Mi stropicciai gli occhi. Osservai con cura. E vidi un ometto piuttosto fuori del comune che mi scrutava attentamente in modo molto serio. Ecco qua il ritratto migliore che, più tardi, riuscii a fare di lui. Ma, di sicuro, il mio disegno, è decisamente meno carino dell'originale. Non è certo per colpa mia. All'età di sei anni, i grandi mi avevano demotivato dal fare il pittore, e non ho più imparato a disegnare nulla, a parte i boa interi o aperti.
Osservai dunque questa apparizione con occhi scasati dallo stupore. Non dimenticate che io mi trovavo a mille miglia dal primo posto abitato. Però il mio ometto non mi pareva sperduto, né stravolto dalla fatica, dalla fame, dalla sete o morto di paura. Non aveva affatto l'aspetto di un bambino sperduto in mezzo al deserto, a mille miglia di distanza dal primo luogo abitato. Quando alla fine riuscii ad aprir bocca gli dissi:
— Ma… che cosa ci fai qui?
E egli mi ripeteva, con dolcezza, come fosse una cosa molto seria:
— Per cortesia… disegnami una pecora…
Quando il mistero è troppo impenetrabile, non si osa disubbidire. Mi sembrava così assurdo, lontani mille miglia da luoghi abitati e a rischio di morte, presi dalla tasca un foglietto di carta e una penna. Ma in quel momento mi ricordai che avevo studiato soprattutto la geografia, la storia, la matematica e la grammatica e dissi all'ometto (con un po' di malumore) che io non sapevo disegnare. Egli mi rispose:
— Non importa. Disegnami una pecora.
Siccome non avevo mai disegnato una pecora rifeci, per lui, uno dei due disegni che solo sapevo fare, quello del boa intero. Fui sorpreso di sentire l'ometto rispondermi:
— No! No! non voglio un elefante dentro un boa. Il boa è molto pericoloso, e l'elefante è molto ingombrante. Da me è tutto piccolo. Mi serve una pecora. Disegnami una pecora.
Quindi la disegnai.
L'osservò attentamente, e poi:
— No! questa è già molto malata. Fanne un'altra.
Disegnai questo:
Il mio amico sorrise gentilmente, con indulgenza:
— Lo vedi bene anche tu… questa non è una pecora, è un ariete. Ha le corna…
Dunque rifeci ancora una volta il mio disegno:
Ma fu respinto, come i precedenti:
— Questa è troppo vecchia. Voglio una pecora che abbia ancora molto da vivere.
Allora, spazientito, siccome dovevo iniziare a smontare il mio motore, scarabocchiai questo disegno.
E gliela misi giù così:
— Questa è la sua cassetta. La tua pecora è dentro.
Fui però molto sorpreso di vedere il viso del mio giovane giudice illuminarsi:
— Questo è proprio quello che volevo! Pensi che questa pecora abbia bisogno di molta erba?
— Perché?
— Perché da me è tutto piccolo…
— Basterà certamente. Ti ho dato una pecora molto piccola.
Chinò la testa verso il disegno:
— Non così piccola da… Oh! S'è addormentata…
E fu così che conobbi il piccolo principe.
Ecco qui il miglior ritratto che, dopo, riuscii a fare di lui.