Il materialismo storico e la sociologia generale/III/I fenomeni genetici

III.2. I fenomeni genetici

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III - I fenomeni economici III - I fenomeni giuridici


I fenomeni genetici umani corrispondono ad alcuni bisogni elementari, quali sono la riproduzione e l’allevamento, che nella serie psicologica generale1, per complessità, diffusione, urgenza, assiduità, vengono dopo di quelli che stanno a base della produzione economica, quali sono la nutrizione, e la preservazione dell’organismo.

Non basta. Mentre i fatti economici, come abbiamo veduto, possono esistere indipendentemente dai fenomeni genetici umani (matrimonio, vincolo consapevole e duraturo tra i genitori, o almeno la genitrice, e i figli, parentado); questi invece hanno per loro condizione preesistente e necessaria la produzione economica, ed un particolare stato dell’economia, e inoltre possono giovare e adattarsi, in queste particolari circostanze, al fine di conservare ed accrescere i beni economici degli individui e per conseguenza, dell’intiero gruppo sociale.

Senza dubbio quel grado di memoria, d’intelligenza e di linguaggio che la sociologia deve presupporre nel genere homo e massime nell’uomo che produce con uno strumento da lavoro, è una dello cause necessarie e concorrenti; senza di cui il perdurare delle relazioni genetiche e la convivenza, per quanto prolungata, degli individui che sono da esse legati, non basterebbe (come non basta tra i castori) a produrre quella consapevolezza e quel riconoscimento delle relazioni medesime che costituisce l’elemento caratteristico e differenziale tra fenomeni genetici umani e sottoumani.

Ma dall’altra parte è pure fuor di dubbio che, se quei rapporti non perdurassero per un certo tempo e se gl’individui non convivessero più lungamente e più intimamente tra loro che con altri individui, nessuna famiglia sarebbe possibile. Or la condizione prima e indispensabile di questa convivenza è che si producano i mezzi di sostentamento, necessari alla loro vita. Ebbene la produzione umana risponde in grado eminente a questa esigenza; anzi il suo prodotto può essere accresciuto con la cooperazione, ed essa ha una qualità caratteristica, che manca a quella delle specie più vicine all’uomo e frugivore, in quanto che costringe il figlio a rimanere presso i genitori oltre il tempo del divezzamento e finché non si renda atto al nuovo e più difficile modo di procurarsi le sussistenze.

Ma una tal condizione non è menomamente sufficiente a spiegare il sorgere e il sussistere dei fenomeni genetici umani. Non è la produzione economica in genere, la quale può coesistere, come abbiamo veduto, con la loro assenza, ma un particolare stato della produzione stessa, quella che li determina.

Infatti se noi partiamo dall’ipotesi che la produzione umana sorga (e possa sorgere) nella dissociazione dei piccoli gruppi genetici, cioè delle famiglie ancora allo stato sottoumano, dovremo riconoscere che, malgrado tutte le sue prerogative, una tal forma di produzione non può provocare fenomeni genetici distinti da quelli che sono comuni ad altri esseri animati, finché la dissociazione perdura; imperocché questi fenomeni implicano una continua distinzione di fronte ad altri ed un certo riconoscimento (quantunque non ancora giuridico) da parte di altri, e quindi pressuppongono il gruppo sociale, senza di che il linguaggio stesso non potrebbe intervenire e fissarne l’idea. Gli è perciò che se, viceversa, un gruppo sodale, fornito di sole attività produttive e genetiche umane, si dissolve per necessità economiche, e le famiglie si disperdono in cerca delle sussistenze, smarrendo ogni legame tra loro, esse tendono a perdere anche i tratti distintivi della famiglia umana. Così avviene infatti in alcuni Boschimani; ed anco i Veddah dei boschi, che pur si radunano periodicamente (al tempo delle pioggie), qualcosa han perduto di ciò che la popolazione, a cui appartengono, aveva acquisito, giacché essi praticano la loro animalesca monogamia (come la chiamerebbe il Westermark) anche con la sorella o la figlia.

Dalla parte opposta, se noi prendiamo le mosse dal gruppo sociale, e propriamente dalla forma più semplice della vita sociale umana, vale a dire dal piccolo gruppo di cacciatori, dovremo riconoscere che se e fintantoché esso sia perfettamente comunistico così nella produzione come nella distribuzione dei beni, fenomeni genetici umani o distinti da quelli generali e comuni non possono nascere o sussistere; i figli necessariamente si attaccano e appartengono all’orda con cui ben presto cooperano, e nessuno ha interesse o motivo di appropriarseli; ulteriori legami di parentela sarebbero assurdi; e lo stesso matrimonio esclusivo sarebbe impossibile, giacché troverebbe un ostacolo nei desideri e nell’esigenze di tutti gli altri individui, eguali e cooperanti al benessere del gruppo e d’altronde porterebbe una diminuzione della somma dei godimenti, impedendo a ciascuno di soddisfare ogni sua tendenza sessuale, e non gioverebbe all’individuo, nel caso della preferenza sessuale e bilaterale, se non, nei brevissimi limiti, in cui, in un gruppo relativamente uniforme, può serbarsi più forte della soddisfazione che un nuovo connubio impromette. Una riprova è il fatto che, quando in popolazioni molto lontane dal tipo testé descritto, del quale non trovasi ormai esemplare alcuno, ricorre l’identica relazione economica, cioè un perfetto comunismo del piccolo gruppo nei beni, nel lavoro, nell’abitato, tende a presentarsi anche la promiscuità e l’appartenenza dei figli al gruppo, e si presenta realmente nella famiglia punalua, scoperta e descritta dal Morgari in popolazioni agricole, e tutt’altro che primitiva2, e in quella già constatata da Erodoto tra i Massageti, e nelle famiglie ancora più complesse, in cui zii, fratelli e nipoti godono promiscuamente delle loro donne3

Dunque né la perfetta dissociazione né il perfetto comunismo del piccolo gruppo. Ma se consideriamo uno stato che necessariamente devo prodursi con l’aumento dell’aggregato e si produce in ogni caso4, e si presenterà a fortiori nella pastorizia e nell’agricoltura, quando cioè l’individuo è membro di un gruppo e magari coopera in gran parte con esso anche economicamente, ma nello stesso tempo è costretto dal bisogno, o spinto dal desiderio di un maggiore benessere a cercare col suo lavoro individuale, e isolatamente dal gruppo, una parte considerevole dei mezzi necessari a soddisfare i suoi bisogni primarî (nutrizione, abitazione ecc.); vedremo comparire in queste circostanze economiche anche il motivo o fine economico. Infatti l’aiuto che i figli possono prestare ai genitori o almeno alla genitrice nella produzione e quello che ne ricevono; la divisione del lavoro tra l’uomo e la donna; e la cooperazione dei parenti nel lavoro produttivo (non appena il campo della produzione isolata si allarghi): costituiscono utilità e vantaggi economici così grandi da poter costituire un motivo, sufficiente perché i figli riconoscano i genitori e siano riconosciuti ed appropriati; perché il connubio acquisti quella stabilità che prima non poteva avere, perché gl’individui provenienti dallo stesso stipite riconoscano e conservino i loro legami. E nella stessa direzione inclinano allora i motivi genetici. Quanto al matrimonio, è evidente che in quelle medesime circostanze il bisogno sessuale comincia ad operare nello stesso senso del motivo economico, potendo soddisfarsi meglio con una, più o meno, duratura unione che con i semplici accoppiamenti svariati, ma fortuiti, e non sempre sicuri. E tanto più intensamente opererà, quanto più si accentua l’isolamento economico. Lo stesso dicasi a fortiori della preferenza sessuale e dell’amore. Or questi bisogni genetici sono essi per sé soli sufficienti, quando si verifichi la condizione economica. Laonde ciò che vi sarà di universale nel matrimonio, non è il motivo economico, ma la condizione economica. Infatti se la ricchezza aumenta e l’individuo non sente più della cooperazione economica o dei servigi economici dell’altro sesso un bisogno tale da far perdurare la relazione sessuale, il matrimonio può sempre verificarsi e si verificherà, posta la condizione economica generale, in tutti quei casi in cui esso soddisfa meglio all’esigenze sessuali od erotiche5. E si può sacrificare a questa miglior soddisfazione una parte più o meno grande dei beni economici, eccedenti il minimum indispensabile alla vita, siccome avviene anco nello stato di barbarie, da un lato nelle società che praticano il matrimonio ambiliano e, dal lato opposto, in tutti quei popoli che han trasformato la donna da bestia da soma in istrumento di piacere e di lusso. Considerazioni analoghe valgono per l’istinto parentale e quindi per la relazione dei genitori co’ figli.

Chiunque segua il metodo scientifico e non voglia porre a base delle sue spiegazioni i fatti più complessi, l’amore idealizzato tra gli sposi, la dolce amicizia tra i vecchi conjugi e l’amore paterno o materno perdurante oltre il tempo assegnatogli dall’istinto — nel qual caso sarebbe immediatamente smentito da un immenso numero di popoli6— e sappia fare astrazione, almeno momentaneamente, da tutti quei motivi e riguardi giuridici, morali, religiosi che effettivamente non si trovano nei primi stadî dello sviluppo umano, e che non si possono considerare a principio senza violare il canone più elementare di ogni ricerca scientifica; dovrà riconoscere che essendo dati, oltre la produzione, il bisogno sessuale e le altre qualità della specie umana ed un particolare stato dell’economia, si può dedurre il sorgere e persistere dei fenomeni genetici umani, almeno nella loro più semplice espressione, senza ricorrere ad alcun altro fenomeno sociale umano.

La riprova induttiva generica della loro posizione seriale dopo il fatto economico si ha, osservando che non esiste una sola società umana, in cui essi si presentino senza il fatto economico. Ma noi dobbiamo provare in pari tempo la loro indipendenza dai rimanenti fatti sociali e persino da quello giuridico; e questa prova è oltremodo difficile, perché almeno il diritto ha allacciato ben presto, in epoche immensamente remote da noi, le relazioni familiari e così fortemente che esse appariscono quasi sempre come fatti giuridici a un tempo. Pure la loro distinzione dagli stessi fatti giuridici, è indispensabile alla scienza sociale, la cui possibilità presuppone, pria di tutto, il compito di analizzare e discernere i fenomeni sociali, come la possibilità della Biologia si fondava su la distinzione dei tessuti e dei fatti biologici Noi abbiamo perciò analizzato e distinto, e siamo in grado di discernere anche in un fatto genetico–giuridico ciò ch’è puramente genetico e ciò che il Diritto vi ha aggiunto od eliso. Ma non è quel che ci preme in questo momento. Noi dobbiamo trovare almeno un caso solo, in cui le relazioni meramente genetiche umane esistono senza fenomeni giuridici di sorta, o, almeno, libere da ogni complicazione con questi.

Tra i Blackfellows della Terra della Regina in Australia, tra cui il ratto violento è il modo ordinario di procurarsi una donna e la fuga di questa dall’uno all’altro marito è frequentissima, a definire le vertenze che insorgono da un siffatto stato di cose, l’orda si raduna, e il duello decide. Le donne stesse presentano le armi e gli scudi ai combattenti: poi non appena uno dei due rivali ha appioppato una terribile bastonata sul capo dell’altro, la femmina lo segue come la lionessa segue il leone vincitore. Il Lumholtz li chiama i più bassi del genere homo. È una calunnia. Tra moltissimi Boschimani neppure questa ombra di giustizia si asside su la famiglia. Essi sono cacciatori, valenti arcieri, abilissimi costruttori di archi e di frecce che vendono ai popoli vicini, ma vivono in piccoli gruppi, composti di famiglie e indipendenti tra loro, né potrebbero altrimenti nelle più maledette regioni dell’Africa australe. Or anche nel seno di ciascuno di questi gruppi il diritto non ci può essere e non ci è. Esso non è neppur indispensabile, giacché le inibizioni, prodotte dal timore della reazione individuale e collettiva, o i reciproci interessi, e i sentimenti, comuni a tutti gli esseri animati che convivono e cooperano, bastano alla coesione di un piccolo gruppo omogeneo, la quale può mantenersi, come si vede nei branchi degli animali, non ostante le baruffe individuali. Così, mentre nessun osservatore ci parla di giudizi o condanne collettive, tutti sono d’accordo nel riferire che “il più forte toglie impunemente non solo la donna ma gli averi al più debole” e le lotte corpo a corpo non sono neppure giustificate dalla presenza delle donne o dall’assembramento dell’orda. Eppure essi sono monogami e patriarcali, non sposano né le sorelle né le figlie, cioè riconoscono sino ad un certo grado la parentela. Vuol dire che i fenomeni genetici umani possono esistere dove quelli giuridici sono perfettamente assenti.

Avendovi esposto il caso più difficile, posso risparmiarmi di addurre esempî, i quali dimostrano come i medesimi fenomeni possano trovarsi là dove non esiste vestigio di scienza o di morale sociale, o di politica, e indipendentemente da qualunque influsso della religione e dell’arte; tanto più che mi preme passare ad un altro genere di prova. Quella generica poteva mancare e sarebbe infatti mancata, se fossero scomparse dalla faccia della terra senza lasciare di sé alcun ricordo, anco quelle pochissime popolazioni a cui siamo costretti di chiederla; ma non per questo sarebbe venuta meno ogni dimostrazione induttiva. Vi è una prova specifica e più profonda, e consiste nel seguito delle deduzioni verificate induttivamente. Se è vero che l’esistenza di quest’altra classe di fenomeni umani, almeno nel suo stato minimo, dipende, come da sua causa, oltre che dai bisogni genetici, dai fatti economici e non da altri fatti sociali umani, noi potremo dedurre una serie di conseguenze che dalle variazioni dei fenomeni economici dovranno provenire alle relazioni genetiche. Or se queste deduzioni saranno induttivamente verificate, noi avremo la riprova sperimentale dell’influsso causale di quei fenomeni su queste relazioni; e, se basteranno a spiegarci le prime e più profonde variazioni dei fenomeni genetici, anco della sostanziale e primitiva indipendenza di questi da altri fenomeni sociali. Senonché s’ingannerebbe chi pretendesse dedurre le variazioni del matrimonio, della famiglia e della parentela dalle sole variazioni della forma della produzione (caccia, pesca, pastorizia ecc.). E ancor più chi considerasse solo i rapporti economici (collettivismo, individualismo economico, schiavitù, servitù ecc.). Delle une come delle altre è giuocoforza tener conto, e ad un certo punto delle une e delle altre simultaneamente. Ed errerebbe pure chi dimenticasse le forme miste, e chi trascurasse la forma preesistente, che solo lentamente, diviene sussidiaria o accessoria.

Delle molteplici conseguenze, che i fatti genetici subiscono delle variazioni economiche, ricorderò qui alcune tra le più salienti; e principalmente accennerò alla posizione della donna nella famiglia. — Chi voglia ricercare gli effetti dei motivi egoistici e più semplici e faccia astrazione da quei sentimenti e motivi che, come dicemmo, non si possono calcolare a principio e che si sovrappongano, come strati sempre meno densi alle grandi cause fondamentali, non avrà difficoltà a riconoscere che nel seno della famiglia i vantaggi economici, la considerazione e il dominio, di cui ciascuno dei due sessi può godere, sono in relazione diretta e immediata con la sua utilità e potenza economica; e che ogniqualvolta la donna disponga, al pari dell’uomo, dei mezzi di produzione e possa provvedere da sé alle sussistenze o cooperare con l’uomo sul piede dell’eguaglianza, sarà perfettamente eguale all’uomo. Ciò presuppone l’eguaglianza di forza fisica. Ma anche quando si tenga conto della superiorità fisica dell’uomo (pur senza indagare s’essa sia acquisita, in tutto od in parte), si dovrà ammettere che ogniqualvolta, la donna continui a disporre, al pari dell’uomo, dei mezzi di produzione, non potrà subirne il dominio se non nei limiti molto ristretti di qualche altro vantaggio che la convivenza con lui le offra, per la semplice ragione ch’ella è in grado di abbandonarlo7. Adunque la donna non potrà scendere ad una posizione veramente e permanentemente inferiore, se non quando per una serie di conseguenze dirette o indirette, volute o non volute, della propria superiorità fisica l’uomo riesca ad asservirla (come per esempio nel caso del ratto violento e diffuso, in cui ella non può sfuggire al giogo di un uomo se non per cadere sotto la brutalità di un altro), ovvero si appropri a poco a poco i mezzi di produzione, escludendone l’altro sesso. Ne vengono immediate conseguenze. Così per esempio in quella specie di caccia o di pesca la quale richiede forti travagli e lunghi perseguimenti della preda e come tale è da principio o diviene a lungo andare8 occupazione speciale ed esclusiva dell’uomo; ogni qualvolta e dovunque essa sia principale e indispensabile risorsa, onde dal lavoro dell’uomo dipenda la sussistenza della donna, questa avrà una parte subordinata e forzosa nella divisione del lavoro, ed anche in tutto il resto, subirà il dominio dell’uomo nei vasti limiti che a lui concede la difficoltà o addirittura l’impossibilità, in cui ella si trova di abbandonarlo e di provvedere al suo sostentamento; al che si aggiungerà il minor conto in cui ella è tenuta come disadatta alla grande occupazione, e la facilità, con cui, quand’è ragazza, viene, a preferenza dei maschi, uccisa, ceduta o venduta. Così avviene infatti in tutti quei popoli che si trovano nelle condizioni testé indicate9. Ma sbaglieremmo se volessimo affermare che la caccia in generale porta la soggezione della donna. Accanto ad essa vi è sempre la produzione naturale (ricerca di frutta, radici, piccoli animali ecc.) che è occupazione anche della donna e le diviene speciale. Or fino a quando e dovunque questa forma di produzione sia sufficiente, la donna potrà sfuggire alla soggezione. Così tra gli Audamani dove la foresta offre risorse bastevoli al mantenimento della donna e del suo figliuolo, ella gode di una grande indipendenza (Giddings). Non basta. La caccia stessa e la pesca può farsi in modi più agevoli, coi lacci, nei rinchiusi, su i piccoli fiumi, od altrimenti, ed allora anche la donna vi è adatta. In tal caso la sua posizione tende ad eguagliarsi a quella dell’uomo. Così tra Chippewais la donna prendeva attiva parte alla caccia, coi lacci e col rampone, e la sua posizione era molto migliore che tra i rimanenti popoli cacciatori (Spencer). Così pure tra i Chinouck, di cui principali risorse erano la ricerca di radici e la pesca sulle fiumane, la donna godeva di un’autorità assai rara tra gl’indiani (Lewis e Clarke).

Or questi altri rapporti, non meno veri e non meno provati dai fatti possono anche indurre chi voglia fare delle ipotesi ad affermare che a principio dell’evoluzione umana, quando la produzione naturale era ancora abbondante e gli strumenti da caccia imperfetti, la condizione della donna fosse generalmente ben diversa da quella che le fu fatta nella gran caccia e nella pesca su i mari.

Splendidamente vera è anche la relazione, intuita dallo Spencer e dimostrata induttivamente dal Grosse, tra la pastorizia (occupazione dell’uomo) da una parte ed un intiero gruppo di fenomeni genetici dall’altra, patriarcato, mundio, compra della sposa, inferiorità della donna; quando però si consideri la pastorizia nella sua forma epica e come succedanea della caccia.

Or le conseguenze genetiche di questa forma di produzione, eminentemente individualistica, non cessano allorché un popolo pastore si dà all’agricoltura restando però il bestiame il mezzo economico preponderante; e si riaggravano quando nei lavori agricoli s’impiegano, oltre il bestiame anche gli schiavi già acquistati dall’uomo, lasciandosi alla donna il fuso e la canocchia. Al contrario, se il bestiame, invece di essere il risultato della gran caccia, viene ad essere per speciali circostanze, introdotto e magari diviene prevalente in una popolazione, in cui l’agricoltura preesistente od altra causa analoga permette alle donne di possedere, acquistare e magari ereditare, esse ne riceveranno un aumento di potenza. Così tra i Navajas le donne erano trattate col massimo riguardo e prendevano anche parte alle pubbliche adunanze; e la ragione che ne dà il Waitz, citando Davis, Bacchus, Schoolcraft, Möllhausen, conferma quasi letteralmente la teoria generale: “anch’esse possiedono GREGGI e quindi POSSONO ABBANDONARE L’UOMO senza divenire per ciò povere e senz’aiuto”10

Più numerose sono le distinzioni che bisogna fare per l’agricoltura. E pria di tutto dobbiamo supporre che i rapporti economici tra uomo ed uomo sieno egalitarî: considereremo in seguito gli effetti della schiavitù. Non basta. L’agricoltura non è propria esclusivamente della donna; anzi là dove occorre abbattere i fitti boschi, tagliare gli enormi durissimi alberi, distruggere gli animali feroci, l’opera dell’uomo è necessaria e preponderante. Noi supporemo dunque che la donna possa da sé sola attendere al lavori agricoli. Non basta ancora. Finché l’agricoltura è nomadica o accessoria, occupazione inferiore lasciata alla donna, finché la raccolta si dissipa immediatamente e il capitale o i mezzi di sussistenza, necessari negl’intervalli son dati dall’uomo, è evidente che la donna non possa ottenere un grande vantaggio. S’ella era prima facilmente venduta per una certa quantità di beni mobili, continua in tal condizione. Noi supporremo dunque che l’agricoltura sia divenuta una risorsa sufficiente. Ebbene in questo determinato complesso di circostanze, quando cioè i rapporti sono egalitari, e l’agricultura è sufficiente e la donna può praticarla da sé su le terre non ancora appropriate dall’uomo, la posizione di lei necessariamente, inevitabilmente si eleva.

E può nascere anche un vero matriarcato. Consideriamone un caso, tipico e bellissimo, quello che si verifica nei clan collettivistici. In realtà le forme di produzione succedono ciascuna ad un’altra preesistente, e coesistono per un certo tempo: l’agricoltura può succedere alla caccia, e può succedere alla pastorizia. In questo secondo caso il matriarcato non può nascere, perché, tra l’altro, l’uomo si trova in possesso di un mezzo potentissimo, di sussistenza e di produzione ad un tempo, ch’è il bestiame11. Vediamo, dunque che cosa succeda nell’altro, e consideriamo il caso dei clan collettivistici. A mano a mano la coltura cresce d’importanza, e viene un momento, in cui, mentre gli uomini continuano principalmente a cacciare, le donne, maestre e padrone dell’agricoltura dalla seminagione alla raccolta, si trovano in possesso di risorse, importanti, sicure, continue. La loro indipendenza economica è completa; il loro maltrattamento sarebbe contrario anche agl’interessi degli uomini; e giacché esse si aiutano a vicenda nei lavori agricoli, ciascuna troverà appoggio non solamente nelle altre donne, ma in tutti i membri della Comunità, perché la vita e la conservazione di ciascuna importa a tutti. Ma non basta. In queste favorevolissime circostanze, a cui contribuisce e la forma di produzione (agricoltura) e quella dei rapporti economici (collettivismo), né la donna può desiderare di abbandonare i suoi campi coltivati ed i suoi parenti per maritarsi altrove, né agli uomini della sua famiglia o della sua gente può convenire di cederla per quella lieve quantità di beni mobili per cui la cedevano i semplici cacciatori o pescatori. Or se s’introduce l’uso di richiedere che il conjuge si domicilii o la visiti in casa di lei, necessariamente ella acquisterà una posizione superiore a quella del marito. Migliaia e migliaia di clan in America, in Asia ed altrove, han presentato questi caratteri dell’economia e della famiglia, che poi si riflettono nel diritto e nella politica, giacché le donne non solo dispongono dell’azienda domestica e dei matrimonî delle ragazze, ma prendono parte all’amministrazione e direzione del clan e talvolta ne divengono Capi o regine. Chi nega la uniformità dei rapporti nel mondo sociale, in ciascun complesso di circostanze, e dice che uno stesso rapporto non si presenta mai lo stesso in due casi soli, non sa proprio quel che si dica!

Da quelle condizioni economiche, così, favorevoli alla donna in cui ella è padrona, dell’agricoltura, mentre l’uomo continua a cacciare, è ben possibile che sorga, come una speciale diramazione di effetti, la proprietà fondiaria in mano delle donne e la sua trasmissione alle sole donne. Checché ne sia della causa, egli è certo che in alcune popolazioni lo strano fenomeno si è constatato, come tra i Kocch dell’India. In tal caso il matriarcato segue inevitabilmente.

Ma altre serie di effetti sono possibili. L’uomo, non appena le risorse della caccia, cominciano a scemare, può darsi e si dà infatti all’agricoltura. Ebbene in tal caso si avrà un’associazione tra persone economicamente eguali, in cui l’uomo può ottenere la parte migliore e più importante nella divisione del lavoro ed esercitare un certo dominio, dovuto anche alla sua superiorità fisica; ma un tal dominio non potrà mai produrre il maltrattamento della donna, ciò che sarebbe contrario agli stessi interessi di lui, e la posizione di quella continuerà ad essere abbastanza elevata. — E i fatti lo confermano pienamente. Vi è ancora un altro caso da considerarsi. Nel trattare di sociologia economica vedemmo che allato al collettivismo agrario esiste un’altra forma agricola primitiva, senza coltura comune e senza assegnamento di lotti, cioè la coltivazione libera della terra fatta da ciascuna famiglia, indipendentemente e talora a considerevole distanza dalle altre. Questa forma è equipollente alla prima, quanto è egalitaria e non implica l’appropriazione definitiva del terreno, e spesso va a finire nella prima. Ma intanto, mancando i rapporti collettivistici, la posizione della donna non può non esserne pregiudicata, in paragone di quella ch’essa ha nei clan collettivistici, specialmente se l’uomo si è dato anch’egli all’agricoltura, e massime se la compra della sposa perdura. Eppure anche in tal caso ella acquista una qualche importanza ed è trattata amichevolmente, come rilevasi dalla testimonianza di esploratori e scienziati12. — Possiamo dunque conchiudere che dove e sino a quando non intervengono le cause di cui or ora parleremo, la donna nell’agricoltura assurge, nelle condizioni che abbiamo indicato, all’eguaglianza e talora persino ad una posizione superiore (almeno di fronte al marito), e in tutti i casi è bene ed amichevolmente trattata.

Quanta luce non si proietta da queste relazioni tra l’agricoltura e la condizione della donna su la protostoria e persino su la storia delle popolazioni antiche! Noi possiamo dire a priori che quei Licii dell’Asia minore, di cui Omero vantava la feconda gleba, e che avevano, secondo Erodoto, la famiglia materna ed erano stati governati da regine, ossia da Capi del bel sesso, non erano originariamente ariani, s’è vero che gli ariani primitivi erano pastori, ed al certo non erano discendenti immediati di un popolo pastorale. E lo stesso possiamo affermare dei loro vicini Cari, che Omero diceva di barbara favella e dei Lelegi che spesso con loro si confondono nelle più antiche memorie, e dei Lidi. E possiamo spiegarci perché gli Etruschi, figli della Lidia o almeno dell’Asia minore, abbiano serbato per sì lungo tempo alcuni caratteri della famiglia materna. E possiamo comprendere perché abbiano conservato tracce della discendenza femminile e dell’alta posizione della donna gli antichi Egizi (Teulon), popolo essenzialmente ed originariamente agricolo, mentre solo alla vita ed alla diffusione di un popolo agricolo si prestavano le condizioni del suolo. Noi possiamo inoltre spiegarci l’alta posizione originaria della donna in tutte le popolazioni libiche o berbere (Letourneau) e nei loro stretti parenti, gl’Iberi antichi (Strabone). E possiamo infine, formarci un concetto sociologico di questo gran complesso di popoli che nei tempi preistorici abitarono tra le coste mediterranee e le montagne, e ch’erano dediti essenzialmente all’agricoltura.

Ma nello stesso tempo si dimostra infondata la generalizzazione e l’induzione. Il matriarcato, la cui constatazione resta sempre un titolo di gloria per il Bachofen e il Lennan, non poté verificarsi nei popoli agricoli se non in un determinato complesso di circostanze, per il quale non fu provato da quei dotti che l’agricoltura abbia dovuto, in qualsiasi luogo, passare. Al certo non poteva esistere nei popoli essenzialmente e tipicamente pastorali; or siccome la pastorizia poté sorgere anche dalla caccia, nulla è meno dimostrato del matriarcato come fase universalmente percorsa dall’umanità.

Consideriamo ora il grave mutamento che la condizione della donna subisce, nell’agricoltura medesima, col variare della produzione e dei rapporti economici, limitandoci ai casi più salienti.

L’uomo non solamente può darsi e si dà all’agricoltura riservandosi la parte più elevata o più nobile del lavoro, ma a poco a poco con la produzione industriale e il commercio in luoghi lontani e rischiosi, può concentrare e concentra nelle sue mani la ricchezza mobiliare, e con questo mezzo può comprare la donna o le donne, compensando o superando l’utilità economica che esse offrono alle loro famiglie od al loro clan; e il suo vantaggio aumenta con l’importanza di quella ricchezza. Ma v’ha di peggio. Egli può fare schiavi anco indipendentemente dalla guerra, mercé la caccia all’uomo, (come in Africa e altrove) e impiegarli per suo conto su le terre libere. Or la schiavitù abbatte la potenza femminile anche là dove non è sorta la proprietà privata del suolo e la coltura è libera. Infatti egli può sfruttare la terra senza bisogno della donna, ed ecco scemato il valore economico di lei. Può soddisfare la sua brama di voluttà, e il suo bisogno di figli fuori del matrimonio, ed ecco abbassarsi anche il valore genetico. Non basta. Appena diffusa la schiavitù, la donna libera non può più fare a meno della protezione dell’uomo, ed ecco la sua inferiorità divenire irrevocabile. Così nei villaggi mobili dell’Africa equatoriale, dove la proprietà fondiaria non esiste e la stessa ricchezza industriale è poco sviluppata ma la schiavitù è generale “la donna è una cosa, e coopera con gli schiavi agli ozî dell’uomo”. Egli infine può appropriarsi a poco a poco la terra, escludendone la donna. Quest’appropriazione e trasmissione ai soli maschi (figli o nipoti che sieno) può avvenire indipendentemente dalla reazione potentissima che eserciteranno la conquista e l’esigenze militari attribuendo la terra a coloro che l’han conquistata e sono in grado di difenderla; può avvenire, dico, per solo effetto dell’importanza economica che per più vie l’uomo ha acquistato, nel seno della famiglia o del clan. Certo è che una volta avvenuta, la posizione della donna riceve un colpo definitivo, come ben videro il Morgan ed il Bebel. Qual riprova anche qui! Per limitarci ad un solo gruppo di popoli, del quale abbiamo già parlato (mediterranei) ed in cui la schiavitù non esisteva od era rarissima, quand’anche non fosse evidente che il decadere della donna nella massima parte di essi fu l’effetto della proprietà fondiaria accentratasi nell’uomo, sarebbe sempre decisiva l’antitesi che a tal riguardo ci offrono i Tuareg ed i Kabili. Tra i primi la donna ha continuato a possedere ed ereditare, ed ha conservato una posizione elevata; tra i Kabili invece, esclusa interamente dalla proprietà, è divenuta una specie di schiava (Hannoteau e Letourneau). Eppure tutt’e due i popoli fanno la guerra; tutt’e due appartengono all’identica razza o varietà, che il Sergi va oggi illustrando.

Agevolmente s’intende che dove tutte le cause indicate concorrono, massimo dev’essere l’effetto. Così in gran parte dell’Africa, e in molte delle antiche nazioni di Europa e di Asia, non escluse le più civili tra esse. Senonché una limitazione è qui necessaria, e non è altro che una novella conferma dei rapporti generali. L’abbondanza della ricchezza e specialmente degli schiavi esime la donna dall’ufficio di bestia da soma e la spinge negli harem e nei ginecei, strumento di voluttà e generatrice di figli. Dalla qual condizione nelle nazioni antiche la donna non si rialza alquanto, se non in seguito ad un fatto che, anco quando implichi la reazione dei sentimenti domestici e di fenomeni sociali più complessi, è sempre un fatto economico o almeno opera come tale: la dote!

E qui mi fermo, anche perché più ci inoltriamo nella serie dei tipi sociali, più si manifesta la reazione che i fenomeni sociali più complessi esercitano su i più semplici e persino su quello economico, oscurando alquanto la visione dei rapporti primitivi e più fondamentali. Or da quella reazione noi dobbiamo a principio, per quanto è possibile, prescindere.

Un’altra serie di relazioni evidenti è quella che intercede tra le forme del matrimonio individuale e le condizioni economiche, ed ha, tra le altre, una splendidissima conferma in quei popoli, in cui il diritto non ha potuto ancora allacciare le forme del matrimonio, vale a dire non ne prescrive né sanziona alcuna, onde si vedono coesistere la monogamia, la poliandria, la poligamia; perché in tal caso l’influsso delle condizioni economiche apparisce in tutta la sua nudità e crudezza: la poligamia è praticata da quelli che possono mantenere più donne o trarne profitto, coi loro mezzi, nella produzione; la monogamia da coloro che non possono mantenerne o sfruttarne più di una; la poliandria soltanto da coloro che si trovano nelle condizioni più misere. È ben naturale poi che il generalizzarsi, in una società od in un popolo, di questa o quell’altra forma di matrimonio dipende dallo stato generale della ricchezza e dalla maggiore o minor capacità produttiva del territorio. I Veddah e i Boschimani sono monogami per forza, e i Tibetani poliandrici; ma in tutti i popoli andrarchici che siano ricchi di caccia o di pesca o di greggi e di pascoli o di messi, la poligamia o il suo sostitutivo, il concubinato, predomina. Il rapporto numerico dei due sessi, che come causa biologica sembrerebbe dover occupare il primo posto13ha nella concreta realtà un’importanza secondaria persino nella poliandria dei popoli, in cui le donne sono scarse (Salvioli). Non ne ha poi alcuna nel seno di ciascuna società di fronte alla quantità dei beni economici, dove son sorte le classi e massime dove il privilegio economico è stato sancito dal diritto. Allora, qualunque sia la proporzione dei sessi, avviene pressappoco quel che il Waitz dice dei Polinesi: ai ricchi la poligamia e il concubinato, al popolo la monogamia, il celibato, la promiscuità, la sodomia e l’onanismo.

Le variazioni dell’economia, si riflettono persino nel più complesso dei fenomeni genetici, ch’è il parentado, così sotto il rapporto condizionale come sotto quello teleologico. E qui mi limito a ricordarvi l’estrema variazione che il clan o la gente (la forma più vasta del parentado) può subire: la sua sparizione. Questa deve avvenire ed avviene dovunque manchi la condizione economica. Così tra gl’indigeni del Brasile e altrove si son visti ad una qualche distanza dai clan esogami, gruppi sociali dell’identica popolazione, che, costretti a disperdersi dalle condizioni del suolo, aveano perduto non solo ogni legame tra loro ma la stessa idea di parentela; onde ciascuno da clan era divenuto semplice gruppo, e il matrimonio avveniva indistintamente tra i suoi membri e talora regrediva sino al ratto violento delle donne. Il clan o la gente tende pure a dileguarsi, ma in una formazione sociale superiore, se, anco perdurando la condizione, cessi il fine economico. Infatti non appena il villaggio dove i membri di una frazione di clan o frazioni di clan diversi, coabitano, si rende stabile e territorialmente indipendente, l’appartenenza al medesimo clan può perdere ogni importanza pratica, se gl’interessi economici che prima univano gl’individui appartenenti allo stesso clan, vengono a legare i coabitanti del villaggio, come tali. E la perde inevitabilmente quando sorge la proprietà individuale e alienabile, la diseguaglianza delle fortune, il commercio con persone di qualsiasi gente. Così, indipendentemente dalla reazione che potranno esercitare l’esigenze del reclutamento militare, la difesa sociale e la conquista; il dissolversi degl’interessi comuni ai parenti ed il sorgere d’interessi nuovi (cioè comuni con altri) basta a rompere la costituzione gentilizia, lasciando tutt’al più al cognome il valore di norma esogamica. Al che forniscono una riprova sufficente gli esempî offertici dalla sociologia descrittiva; e dall’altra parte non contradicono i casi, in cui la gente sorge o permane, meno compatta e meno consistente, per altri bisogni di decrescente intensità, tra cui principale è quello di protezione (Grosse); anzi dobbiamo vedere negl’interessi economici, progressivamente cangiantisi ed estendentisi a circoli sempre più diversi di persone, una forza capace di minare progressivamente lo stesso ufficio protettivo di quella istituzione.

Noi abbiamo dovuto conchiudere che le prime e più profonde variazioni dei fenomeni genetici si debbono a variazioni dei fenomeni economici. Il che riconferma, sempre col metodo deduttivo–induttivo, il secondo rapporto generale della Sociologia umana: i fenomeni genetici umani dipendono come da loro cause (condizionali e finali) oltre che dai bisogni genetici (che si suppongono preesistenti e generali) dai fenomeni economici, e la loro formazione e, sino ad un certo grado, la loro esistenza è indipendente da qualsiasi altro fenomeno sociale umano.

Ma con ciò non abbiamo inteso escludere l’azione e la reazione che i fenomeni genetici, una volta sorti, esercitano tra di loro. Indubbiamente vi sono variazioni genetiche prodotte da altre variazioni dello stesso ordine, mentre lo stato dell’economia rimane invariato. Così per es. l’alta posizione della donna può reagire su la forma del matrimonio, impedendo la poligamia anche là dove sarebbe lecita, come tra i Tuareg; viceversa la poliandria può rialzare la condizione della donna anche in popolazioni patriarcali; mutando la forma del matrimonio, mutano anche alcune relazioni dei figli ai genitori ecc. Ma evidentemente queste variazioni vengono dopo di quelle che noi abbiamo avuto principalmente di mira e sono secondarie di fronte ad esse.

Tanto meno abbiamo inteso di trascurare l’azione propria degli affetti disinteressati, che in questo come in ogni altro campo del fenomenismo sociale si formano o si sviluppano da analoghi sentimenti sottoumani14. Gli affetti conjugali, famigliari e di parentela, che possono costituire, come i sentimenti di altri ordini, materia di fatti morali, ma non sono ancora i fatti morali propriamente detti15 appartengono alla stessa classe di fenomeni che la Sociologia genetica dove studiare; e ne costituiscono, per così dire, prima, lo strato più alto. Senonché la verità che li concerne è questa, che non solamente la loro intensità varia con le condizioni economiche, e la miseria vi esercita un’azione dissolvente, ma anch’essi prendono forme e direzioni diverse col variare delle relazioni genetiche, determinato alla sua volta dai mutamenti economici. Ciò è inevitabile. Così per es. là dove cause economiche hanno prodotto il matrimonio ambiliano, e i figli convivono intimamente con la madre e tutto ricevono da lei, nome, sostentamento ed averi, mentre il padre entra nella casa come un estraneo od un servo, o vi passa solo la notte, grande sarà l’affetto e la pietà filiale per la propria madre, ma come mai potrebbero formarsi sentimenti simili per il proprio padre? Al contrario se, come avviene per lo più nella pastorizia tipica, i figli tutto ricevono e tutto sperano dal padre, mentre la povera mamma, comprata, nulla tenente, costretta ai lavori più bassi, disprezzata, non può neppure dirigere la loro condotta, perché nuocerebbe alla stessa azienda domestica, ch’è regolata dal capo di famiglia, a cui appartengono i mezzi di produzione ed il lavoro principale, gran rispetto potrà crearsi per il proprio padre, ma non già per la propria madre. Così ancora nella famiglia materna, ma non matriarcale, lo zio susciterà necessariamente quei sentimenti da cui in quella patriarcale è circondato il padre. Così, per citare un altro esempio, dove i bisogni economici han determinato la famiglia punalua od altra consimile, è impossibile un amore speciale per i figli proprî:, l’affetto ricadrà egualmente su tutti i piccoli. E ancora: se le necessità economiche costringono le famiglie a separare i loro interessi e a dissociarsi, come mai potrebbe conservarsi a lungo andare quel sentimento vivo ed intenso della parentela, che avvince membri di un clan collettivista? Or il procedere di tali mutamenti è semplice e chiaro: una variazione delle circostanze primarie ed extra–sociologiche (ambiente e popolazione) determina una variazione dei fenomeni economici, indipendentemente dalle relazioni genetiche e ordinariamente senza contradire ad esse; ma a poco a poco questa variazione rende necessario un riadattamento delle relazioni genetiche, che s’inizia anch’esso ordinariamente senza contradire agli affetti disinteressati, ma alla sua volta, procedendo, determina una nuova forma o direzione di questi affetti16

Ma se i sentimenti genetici disinteressati sono l’effetto e non la causa delle relazioni genetiche, e se le loro variazioni sono l’effetto e non la causa delle variazioni genetiche: in che consisterà mai la loro azione propria? Consisterà, se non altro, nel rafforzare la situazione stessa che li ha prodotti o ne ha reso possibile lo sviluppo; nell’attenuare gli effetti dell’egoismo cosciente e calcolatore su le relazioni genetiche; nell’opporre, in certi limiti, una resistenza a quelle variazioni genetiche che ad essi contradicono; nell’accelerare quelle altre che con essi si accordano. Ma neppure questo punto mi è dato di svolgere qui; e, d’altronde, io intendevo soltanto richiamare ancora una volta la vostra attenzione sul fatto che al di là delle prime e più gravi e più estese variazioni dei fenomeni genetici, prodotte da variazioni dell’economia e come tali rientranti nel quadro del determinismo economico, esistono altre due, per quanto meno estese e più complesse, specie di modificazioni che trascendono il compito di quello, ma non già della scienza sociale, e son dovute: 1º all’azione delle stesse relazioni genetiche; 2º alla reazione dei sentimenti. Il che vuol dire che neppur quella classe di fenomeni che nella nostra serie viene immediatamente dopo dell’economia, possiamo esaurire tutta quanta mercé il puro, rigoroso determinismo economico. Al di là, ancora, si trovano le variazioni prodotte dalla reazione di fenomeni più complessi, diritto, guerra, morale, religione, scienza. Ma questa reazione non si può in nessun modo calcolare a principio, nella parte più semplice ed astratta della sociologia genetica, senza venir meno all’esigenza del metodo sociologico (deduzione progressiva verificata dall’induzione) il quale va sempre dal più semplice al più complesso.


Note

  1. Vedi la Sociologia zoologica generale, e La Sociologia, i suoi metodi e le sue scoperte
  2. Essa presuppone sempre il matrimonio e deriva ordinariamente dalla combinazione della poligamia e della poliandria fraterna. Ma forme simili possono anche derivare senz’altro dalla monogamia e dalla semplice poliandria.
  3. Vedi la nota B.
  4. Anche nell’ipotesi inverosimile che la produzione umana cominci nella dissociazione animalesca delle famiglie, le quali poi si uniscano per cooperare parzialmente, senza passare mai per il gruppo perfettamente comunistico.
  5. Tal’è appunto la stessa diffusione del matrimonio fatto per scopo economico, e poi dei fidanzamenti ed accapparramenti precoci delle ragazze.
  6. L’amor idealizzato è impossibile nello stato di libertà e disponibilità delle ragazze, così diffuso tra i popoli primitivi, ed è tanto poco generale anche negli stadî consecutivi che in molti popoli praticanti il matrimonio più esclusivo il prezzo che si paga nel prender moglie, è maggiore per una vedova che per una bellissima vergine, perché quella ha già un valore come massaia, ed è talora proporzionale al numero dei figli ch’ella ha già fatto, perché anch’essi sono altrettante forze di lavoro! La dolce amicizia è smentita dall’immensa facilità del divorzio e dalla trasformazione, in tanti popoli, della moglie in bestia da soma; l’amore per i figli dalla facilità in cui, anche in popolazioni non primitive, i genitori li vendono!
  7. La legge del dominio come fenomeno sottoumano e generale, è questa, che i dolori ch’esso produce nel dominato non possono soverchiare i vantaggi della convivenza di lui col dominatore, altrimenti egli abbandona la convivenza e il dominio cessa. Allorché questo abbandono è impedito con la forza si ha la schiavitù non il dominio in genere.
  8. Non occorre qui decidere la questione che si potrebbe sollevare se la donna fosse in origine disadatta, o divenisse tale in seguito alla divisione del lavoro. Vedi a proposito l’ipotesi del Letourneau
  9. GROSSE. Die formen der Familien und die formen des Wirthschaft. La condizione della donna si fa in tal caso tanto peggiore quanto più avara è la natura e più gravi gli sforzi dell’uomo.
  10. Naturvölker, 111, 102.
  11. La stessa marka agricola differirà dal collettivismo o comunismo agrario sorgente in popolo cacciatore. La popolazione è già più densa. Il terreno ha maggior valore ed è già appropriato dall’uomo. I patresfamilias attribuiscono a sé i singoli lotti, siano pur provvisoriamente assegnati. Ecc.
  12. D’ALBERTIS, Nuova Guinea
  13. Bisognerebbe supporre una società isolata, che non possa acquistare al di fuori donne od uomini, ed i cui membri sieno perfettamente eguali non solo economicamente, ma persino in forza personale.
  14. Vedi Sociologia, i suoi metodi e le sue scoperte, Genova 1898. — Lo dichiarai sin dalla prima esposizione delle serie dei fenomeni sociali (prelezione del 1895) e in tutti i corsi precedenti.
  15. Questi sono assai più complessi in quanto presuppongono almeno gli effetti dell’approvazione o disapprovazione sociale. Gli stessi sentimenti detti morali sono assai più complessi dei sentimenti familiari ed appartengono alla classe dei reflex affections dei moralisti inglesi.
  16. Nella mia prelezione del 1895 su la Serie dei fenomeni sociali, dimostrai che nel caso di contradizione il mutamento economico, come quello che corrisponde alla condizione prima di esistenza del gruppo sociale, si compie egualmente, dissolvendo a poco a poco i sentimenti preesistenti, e se ciò non avvenisse il gruppo sparirebbe o sarebbe a lungo andare sostituito da altri.