Il guarany/Parte Terza/Capitolo XI

Parte Terza - XI. Il frate

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José de Alencar - Il guarany (1857)
Traduzione dal portoghese di Giovanni Fico (1864)
Parte Terza - XI. Il frate
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CAPITOLO XI.


IL FRATE.

Uscendo dalla stanza di Cecilia, Pery si era avviato pel corridoio che comunicava coll’interno della casa.

L’Indiano, alla cui perspicacia nulla sfuggiva di quanto accadeva nell’interno dell’abitazione per insignificante che fosse, si era accorto del disegno di Loredano fin dal primo colpo dato per aprire la breccia.

Il suono del ferro nella parete avea desta la sua attenzione nella sala, ove riposava un momento ai piedi del letto della sua signora; col suo udito fino e delicato si pose ad ascoltare il seno della terra.

Alzossi, e attraversando tutto l’edifizio arrivò, guidato dal martellare, al luogo ove Loredano e l’avventuriere cominciavano ad aprire una fessura nel muro. [p. 105 modifica]

Invece di intimorirsi per questa nuova audacia del nemico, sorrise; la breccia che apriva sarebbe la sua rovina, perocchè darebbe a lui facile passaggio.

Contentossi perlanto di esaminare tutte le porte che comunicavano colla sala, e di puntellarle per di dentro; sarebbe questo un nuovo ostacolo che farebbe indugiare gli avventurieri, e darebbe a lui agio di sterminarli.

Perciò uscendo dalla stanza di Cecilia camminò difilato al luogo ove la parete era stata tagliata ed entrò nella cucina degli avventurieri.

Era questa una stanza assai spaziosa, nella quale vedeasi una tavola, alcuni vasi e una grossa anfora da vino; l’Indiano all’oscuro accostossi a ciascuno di que’ vasi; e per alcuni istanti si sentì un lieve diguazzamento del liquido che contenevano.

Fu allora che scôrse un lume che si avvicinava; era Loredano e il suo compagno; accostossi alla parete e riuscì a spegnerlo.

Volle fuggire, ma si accorse che Loredano si era messo alla porta; Pery ebbe timore in quel momento; allora più che mai avea bisogno della vita per compiere la sua opera e salvare la sua signora.

Poteva gettarsi sopra Loredano e opprimerlo; ma ciò produrrebbe una lotta, e denuncierebbe la sua presenza: avea bisogno di fuggire senza lasciare il menomo vestigio del suo passaggio: il più lieve sospetto manderebbe a vuoto i suoi disegni. [p. 106 modifica]

Gli venne un buon pensiero; alzò la mano ancora bagnata, e toccò il viso di Loredano; nell’atto che questi diè un passo indietro per tirare la pugnalata all’oscuro, l’Indiano scivolò tra lui e la porta.

Ebbe non pertanto ferito il braccio sinistro; ma non mandò fuori un gemito, non fece un sol moto che lo tradisse; arrivò al fondo dello stanzone prima che l’avventuriere tornasse col lume.

Ma Pery non era ancor soddisfatto; il suo sangue poteva denunciarlo, ed egli non doveva in alcun modo indur sospetto in Loredano che fosse stato colà.

I vipistrelli che svolazzavano spaventati attorno al soffitto, gli fornirono un buono spediente per trarsi d’impaccio; afferrò il primo che gli passò alla distesa del braccio, e facendogli una scalfittura col pugnale lo lasciò andare.

Sapea che il vampiro correrebbe in cerca della luce, e andrebbe a svolazzare attorno i due avventurieri; prometteasi che le goccie di sangue cadenti dalla sua ala ferita, li ingannerebbero; l’effetto rispose alle sue previsioni.

Come tosto Loredano disparve, Pery continuò l’esecuzione del suo disegno; venne a un canto dello stanzone ove ci avea un resto di fuoco coperto dalla cenere, e vi gettò sopra qualche arnese degli avventurieri che ivi stava asciugando.

Questa volta non ebbe tema di tradirsi; nulla di più naturale infatti che la roba fosse caduta sul fuoco o pel proprio peso o pel vento; e bruciando riempisse la casa di fumo. [p. 107 modifica]

Soddisfatto dell’effetto ottenuto, Pery attraversò lo spianato e avviossi dalla parte dell’uscita; qui però fu obbligato a retrocedere, maravigliato di ciò che vide.

Un uomo della parte di don Antonio de Mariz e un avventuriere dei rivoltosi conversavano a traverso lo steccato che separava i due campi nemici; eravi in ciò ben motivo di far maravigliare l’Indiano.

Quanto accadeva contravveniva non solo agli ordini espressi di don Antonio de Mariz, che avea vietato qualsivoglia comunicazione fra la sua gente e i rivoltosi, ma contrariava anche il disegno di Loredano, che paventava tuttavia il rispetto e l’abito di obbedienza, che gli avventuturieri sentivano pel fidalgo.

Il seguito poc’anzi rendea ragione di quel caso strano.

L’avventuriere mandato da Loredano al suo rientrare a far la guardia sullo spianato, si era messo a correre su e giù da un estremo all’altro del luogo.

Ogni qualvolta arrivava presso allo steccato, scorgeva che dall’altro lato un uomo si accostava esso pure, volgevasi indietro e poi si dilungava fino all’orlo dello spianato; indovinò facilmente che era anch’egli una sentinella.

L’avventuriere era un franco e gioviale camerata, e non potea sopportare quel tedio di un passeggio a notte così avanzata, nel mezzo di un sonno interrotto, senza un sorso di vino, [p. 108 modifica]senza un compagno per conversare, infine senza una distrazione.

Per maggior suo affanno, in una delle volte che si approssimò allo steccato, sentì una buffata di tabacco, e vide che il suo compagno di guardia fumava.

Mise la mano nelle tasche, e ne trasse alcune foglie, ma non avea seco la pipa; s’indispettì e determinò di rivolgersi all’altro.

— Olà, amico! Fate pure la vostra guardia?

Quegli voltossi, e continuò il suo cammino senza rispondere.

Nel secondo giro l’avventuriere fece un nuovo tentativo.

— Per buona fortuna il giorno non tarda a spuntare: non vi par egli?

Vi fu silenzio come la prima volta: tuttavia l’avventuriere non si scoraggiò, e al terzo giro riprese:

— Siamo nemici, camerata, ma ciò non impedisce a un uomo cortese di rispondere quando viene invitato.

Questa volta la muta sentinella cambiò tenore e disse:

— Prima della cortesia sta la nostra santa religione, che comanda ad ogni buon cristiano di non parlare a un eretico, a un reprobo, a un fariseo.

— Che è ciò? Parlate sul serio, o volete farmi arrabbiare per nove?

— Vi parlo sul serio, come se fossi dinanzi [p. 109 modifica]al nostro santo Redentore confessando le mie colpe.

— In questo caso vi dico che mentite! Perchè chiunque voi vi siate, non ci ha miglior credente di me.

— Avete la lingua un po’ lunga, amico; ma Belzebù vi farà i conti, e non io: perderei la mia anima, se toccassi il corpo di un indemoniato!

— Per san Giovanni Battista, mio patrono, non mi fate saltare questo steccato per chiedervi ragione del vostro porre in dileggio la divozione degli altri. Chiamateci ribelli, ma non eretici.

— E come volete dunque che chiami i compagni di un frate sacrilego, maledetto, che abiurò i suoi voti e appiccò il suo abito alle ortiche?

— Un frate! dite voi?...

— Sì, un frate. Nol sapete?

— Quale? Di qual frate parlate?

— Di Loredano!

— Lui!...

Quell’uomo, che non era altri che mastro Nunes, di nostra antica conoscenza, raccontò allora esagerando col fervore de’ suoi sentimenti religiosi quanto sapea della storia di Loredano.

L’avventuriere inorridito, tremante di rabbia, non lasciò che mastro Nunes terminasse la sua storiella; ma corse difilato allo stanzone, ove vedemmo la minaccia fatta a Loredano.

Quando si separarono, Pery fece un salto a traverso lo steccato, e tornò alla stanza di Cecilia, donde poco prima era uscito. [p. 110 modifica]

Il giorno cominciava a spuntare; i primi raggi del sole illuminarono tosto il campo degli Aimorè, collocato nel piano sulla sponda del fiume.

I selvaggi, irritati, guardavano da lungi la casa, facendo gesti di rabbia per non poter superare la barriera di pietra che proteggeva i loro nemici.

Pery guardò un momento quegli uomini di statura gigantesca, di aspetto orribile, quei dugento guerrieri di una forza prodigiosa, feroci come tigri.

L’Indiano mormorò:

— Oggi cadranno tutti come l’albero della foresta, per non sorgere mai più.

Sedette nel vano della finestra, e posando il capo nella curva del braccio, cominciò a riflettere.

L’opra titanica che stava per imprendere, opra che pareva eccedere ogni possa umana, era vicina ad effettuarsi: già era giunto a metà di essa, mancavagli il termine, la parte più difficile e più scabrosa.

Prima di arrischiarsi, Pery voleva preveder tutto; fissar bene nel suo spirito le menome circostanze; tracciare la sua linea invariabile di condotta per marciar fermo, diritto, infallibile alla meta cui mirava; affinchè la menoma esitazione non rendesse vano l’effetto del suo disegno.

Il suo spirito percorse in alcuni secondi i vasti dominii del pensiero; guidato dal suo istinto maraviglioso e dal suo nobil cuore, concepì in un rapido istante un grande e terribile dramma, [p. 111 modifica]di cui egli sarebbe l’eroe; dramma sublime di eroismo e devozione, che per lui era soltanto il compimento di un dovere e la soddisfazione di un desiderio.

Le anime grandi hanno questo di singolare: le loro geste, che destano in noi ammirazione, si agevolano in faccia di quella nobiltà innata d’un cuore sublime, per cui tutto è naturale e possibile.

Quando Pery alzò il capo, era raggiante di felicità e d’orgoglio: felicità per salvare la sua signora; orgoglio per la coscienza di bastar egli solo a fare quello cui verrebbero meno cinquanta altri, compreso il proprio padre o l’amante.

Non dubitava più del risultato: vedeva chiaro negli avvenimenti futuri come nello spazio che gli stava dinanzi, ove neppur un oggetto sfuggiva al suo limpido sguardo; per quanto è fattibile ad un uomo, avea la certezza e la convinzione che Cecilia era salva.

Si coperse il petto e le spalle d’una pelle di serpente che legò strettamente al corpo; indossò la tunica di cotone; sperimentò i muscoli delle braccia e delle gambe, e sentendosi forte, agile e flessibile, uscì fuori senza prendere un arma.