Il giornalino di Gian Burrasca/18 gennaio

18 gennaio

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18 gennaio.

Mi convinco sempre più che è molto difficile per un ragazzo il prevedere le conseguenze di quello che fa, perché anche la burla più innocente può causare a volte delle complicazioni straordinarie, che neppure a esser grandi si saprebbero immaginare.

Iersera, dunque, appena Ambrogio ritornò al suo solito tavolino e si mise le lenti sul naso, fece un atto di meraviglia: e dopo averle rigirate tra le dita e ben considerate da tutte le parti e averle appannate più volte col fiato e ben ben ripulite col suo fazzolettone a scacchi turchini ed essersele rimesse sul naso, incominciò a mugolare:

- O Dio, o Dio, o Dio! Che diamine mai m’è accaduto? Non ci veggo più... Ah! Ho capito... questa è una conseguenza dello spavento di ieri! Vuol dire che sono ammalato grave... Pover’ a me! Son rovinato... - E andò a rammaricarsi col Maralli, al quale chiese il permesso di assentarsi subito dallo studio per recarsi in una farmacia, perché sentiva di non reggere e certo gli era per venire qualche cosa di molto serio.

E questa è una conseguenza. L’altra è anche più strana e complicata.

Stamani il signor Venanzio s’è messo nella poltrona per leggere come fa sempre il Corriere della Sera che, invece, gli arriva la mattina; ma appena s’è messo le lenti ha incominciato a dire: - Uh! mi si appannano le pupille... Uh! mi si confonde la vista... Mi gira la testa... Ah, ci siamo! Per carità, mandate subito a chiamare il medico... e un notaro, mi raccomando! Un notaro! -

Allora in casa è successo una rivoluzione. Il Maralli è accorso al fianco dello zio e, ficcatogli il corno acustico nell’orecchio ha cominciato a dirgli - Coraggio, zio... Ci son qui io, non tema di niente! Penso a tutto io... Non si spaventi, è un deliquio passeggero... -

Ma il signor Venanzio aveva chiuso gli occhi ed era stato preso da un tremito che andava aumentando sempre più.

Arrivato il medico l’ha visitato e ha detto che il malato era in condizioni disperate. A questa notizia il Maralli è diventato di tutti i colori, non poteva più star fermo, e non faceva che ripetere:

- Zio, coraggio... Sono qui io! -

Per metter fine a questa scena tragica son corso nella stanza d’aspetto e ho preso le lenti d’Ambrogio (che egli aveva lasciato iersera sul suo tavolino) con l’intenzione di portarle al signor Venanzio, e che avrebbero fatto il miracolo di guarirlo immediatamente. Ma quando son ritornato la porta era chiusa e di fuori stava mio cognato e Virginia.

Il Maralli era piuttosto allegro, e ho sentito che diceva:

- Ha detto al notaro che sarebbe stata una cosa lesta... e questo, capirai, è un buon segno perché vuol dire che ci saranno pochi legati... -

E a me che avevo steso la mano per aprir la maniglia della bussola ha soggiunto:

- Lascia andare... Non si può entrare. C’è il notaro... fa il testamento... -

Di lì a poco mio cognato se n’è andato nello studio perché gli è venuto un cliente, e anche Virginia è andata via, raccomandandomi di star lì e di avvertirla appena fosse uscito il notaro.

Ma io, invece, quando il notaro è uscito sono entrato in camera e presa la trombetta ho gridato al signor Venanzio:

- Non dia retta al dottore! Lei si è impaurito perché non ci vedeva più coi suoi occhiali... Ma si tratta probabilmente di un indebolimento di vista. Provi questi d’Ambrogio che sono più forti dei suoi... -

E messegli sul naso le lenti che avevo con me gli ho presentato davanti agli occhi il Corriere della Sera.

Il signor Venanzio allora, nel vedere che ci vedeva, s’è calmato subito, poi ha fatto il confronto fra le due paia di lenti, e abbracciandomi mi ha detto:

- Ma tu, ragazzo mio, sei un portento! Tu hai un acume molto superiore alla tua età, e diventerai certamente qualcosa di grosso... E mio nipote dov’è?

- Era lì fuori, ma ora è nel suo studio.

- E che diceva?

- Diceva che se lei si sbrigava presto col notaro era buon segno, perché significava che c’erano pochi legati. -

A queste parole il vecchio ha dato in una tal risata che credo non ne abbia mai fatte di simili in tutta la sua vita, e poi regalandomi i suoi occhiali d’oro che gli avevo chiesto e che gli erano oramai inutili ha esclamato:

- Ah, questa poi è la più carina di tutte! E ora non mi dispiace che di una cosa: di non potere, quando sarò morto, risuscitare per assistere all’apertura del testamento... Rimorirei dal ridere! -

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È tornato Ambrogio, tutto impensierito perché il medico gli ha detto che ha una nevrastenìa acuta e gli ha ordinato di smettere di fumare e di mettersi in assoluto riposo.

- Pensare - diceva quel pover’uomo - che non posso fare né una cosa né l’altra! Come fo a mettermi in riposo se ho bisogno di lavorare per vivere? E come farò io, disgraziato, a smettere di fumare... se non ho mai fumato in vita mia neppure una sigaretta? -

Ma io l’ho tolto da ogni imbarazzo, e, presentandogli gli occhiali d’oro del signor Venanzio, gli ho detto :

- Si provi un po’ queste lenti, e vedrà che gli passerà la nevrastenìa... -

Bisognava vedere la gioia d’Ambrogio! Pareva diventato pazzo e voleva sapere una quantità di come e di perché; ma io ho tagliato corto dicendogli:

- Questi occhiali mi son stati regalati dal signor Venanzio e io li regalo a lei. Se li tenga e non cerchi altro!... -