Il giornalino di Gian Burrasca/10 gennaio

10 gennaio

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9 gennaio 13 gennaio


10 gennaio.


In questo momento vorrei avere la penna di Edmondo De Amicis perché la scena che è successa a scuola stamani è una di quelle da far piangere la gente come vitelli.

Appena sono entrato in classe si è sentito un gran brusìo: tutti i compagni avevano gli occhi fissi su me.

Certo è una bella soddisfazione l’essere stato il protagonista di un’avventura come quella dell’automobile, e io non stavo in me dalla gioia, e guardavo tutta quella massa di ragazzi dall’alto al basso, perché nessuno di loro s’era mai trovato a un pericolo come quello che avevo passato io...

Ma però sbagliavo: ce n’era uno, invece, che ci s’era ritrovato come me... e quest’uno uscì faticosamente dal suo posto, puntellandosi con le mani sul banco e mi venne incontro reggendosi su una stampella.

Io mi sentii tutto un rimescolìo dentro l’anima e il corpo, e in un baleno mi andò via tutta la vanità d’essere stato un eroe, mentre mi saliva un nodo alla gola e, pallido come un morto, ripetevo dentro di me:

«Oh povero Cecchino! Oh povero Cecchino!».

In un momento io e il Bellucci ci si ritrovò avvinghiati insieme, tutti bagnati di pianto, singhiozzando, senza poter dire una parola. Tutti i ragazzi avevano le lacrime agli occhi e persino il professor Muscolo che aveva incominciato a dire: Tutti fermi, rimase sull’effe che gli uscì di bocca come un lungo soffio: il quale finì da ultimo in un dirotto pianto.

Povero Cecchino, davvero!

Malgrado tutte le cure che gli hanno fatto fare gli è rimasto la gamba destra più corta e dovrà andare zoppo per tutta la vita.

Ah credi pure, giornalino mio! il vederlo ridotto a quel modo, con la stampella, mi ha fatto una grande impressione, e io che mi ero ormai quasi dimenticato il fatto dell’automobile, dinanzi allo spettacolo di sì terribili conseguenze, mi accorgo di tutta la leggerezza che mettiamo spesso noi ragazzi nell’affrontare certi rischi senza dar loro l’importanza che devono avere.

Naturalmente mi son guardato bene dal chiedere al povero Cecchino Bellucci i dieci pennini nuovi e il lapis rosso e turchino che avevamo scommesso e che gli avevo vinto.