Vertice

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La madonnina degli involti Dio e il diavolo

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Vertice.

Appena arrivati al paesetto alpestre, i due stranieri non più giovani ma ancora vigorosi, che dovevano essere marito e moglie, o forse anche fratello e sorella poichè si rassomigliavano, chiesero se si poteva fare subito la salita alla cima della montagna.

La guida era sempre lì pronta, con quanto occorreva; si partì dunque subito: dieci ore di salita, ed ecco al riparo dell’immenso macigno che è come il cappuccio del monte, il Rifugio dove i viaggiatori entrarono con piacere perchè già cominciava a soffiare il vento.

Nulla manca nella solida cameretta che resiste alla persecuzione folle del vento e alle intemperie invernali; i letti addossati alle pareti, l’uno sopra l’altro come nelle cabine dei piroscafi; le panche, la tavola, le stoviglie; e come l’altare nella chiesa, il camino profondo nella cui canna il vento già suona appunto una grave musica d’organo.

Sebbene di piena estate faceva freddo. La guida però aveva portato due buone [p. 74 modifica]coperte di lana, e la signora ammise che erano più utili del vasetto per fiori che lei teneva, assieme con una corda, nella sua borsa: tanto più che i fiori si lasciavano sognare, e non c’era pericolo di arrischiare la vita con l’andare a raccoglierli sulle cime.

Le cime erano tutte nude, di roccia nera, ma del nero brillantato dello schisto che al riflesso ultimo del tramonto prendeva il cupo tono rosato della brage che lentamente si carbonizza: solo qualche felce agitava le sue grandi mani verdi nei nascondigli dove il vento non riusciva a divorare la terra.

Eppure, senza fiori, senza erba, senz’alberi, si aveva l’impressione di una ineffabile primavera: quella primavera di febbraio, nuda, nuova, piena di promesse. La neve si scioglieva nei burroni, e se ne sentiva l’odore. La guida accese il fuoco nel camino e arrostì la coscia di capretto portata dal paese; c’era anche il vino, e i viaggiatori si ristorarono completamente. Ma il vento cresceva, sempre più incessante, come rabbiosamente destato e irritato dalla presenza degli uomini nel suo dominio; e il freddo, anche, si faceva intenso; non c’era dunque che d’andarsene a letto e aspettare l’alba.

— Di solito all’alba il vento cessa e vien su una bellissima giornata — disse la guida chiudendo la porta col catenaccio. [p. 75 modifica]

— C’è pericolo dei ladri? — domandò la signora, che parlava poco e non rideva mai.

— Non se n’è mai visti; la montagna è completamente disabitata e la salita, come abbiamo veduto, non è facile: ad ogni modo per stanotte certo non verranno.

— Eppoi anche se vengono! — esclamò l’uomo, con un sorriso ironico, toccandosi le saccoccie; ma a un rapido sguardo della donna aggiunse gravemente: — ci sapremo anche difendere.

E trasse la rivoltella, che depose sulla tavola. Ed ecco subito qualcuno battè alla porta.

La donna trasalì.

— Niente paura — esclamò la guida. — So ben io di che si tratta.

E riaprì la porta bestemmiando. Non c’era davvero da intimorirsi; un ragazzino pallido vestito di stracci e con un gran berretto a visiera forse perduto da qualche escursionista, stava davanti alla porta, e guardò la guida con due occhi scuri, fissi, che imploravano ma non speravano. Infatti, gli fu subito minacciosamente indicato di andarsene. Invece di obbedire, egli volse agli stranieri, che s’erano avvicinati curiosi, i suoi tristi occhi di animale addomesticato, e, poichè la guida accennava a chiuder la porta, mise la sua manina giallognola e [p. 76 modifica]adunca sul legno dello stipite, deciso a farsela schiacciare; e tremava tutto, di freddo, di paura, ma esagerando.

— Chi è? — domandò la donna.

— Ma è la mia croce, signora! È un idiota, sordo muto, che viene sempre appresso quando si fa qualche gita, per chiedere l’elemosina.

— E fatelo entrare — disse l’uomo.

— Mai più. È pieno di pidocchi, e se si attacca non lascia più in pace. Vattene! — urlò, strappandogli la mano dallo stipite.

— Non permetterò mai una crudeltà simile, — disse l’uomo con forza, — lasciatelo entrare; la notte è troppo brutta per scacciare così una creatura di Dio.

— Ma non dubiti, ci ha il suo covo, più riparato di questo rifugio: sa tutti i buchi della montagna. Adesso gli dò un pezzo di pane, e basta.

Mentre però egli andava verso la tavola per prendere il pane, lo straniero fece cenno al ragazzo di entrare e richiuse la porta. La guida non nascose la sua contrarietà: ma non osò insistere; gettò il pezzo del pane al ragazzo come ad un cane e come ad un cane gli accennò di accucciarsi nell’angolo dietro la porta, e di non muoversi più. Il ragazzo però si sentiva protetto; scivolava con le spalle contro la parete tentando [p. 77 modifica]di avvicinarsi al camino, e morsicando il pane non cessava di fissare gli occhi dello straniero. Ed erano occhi quali egli non ne aveva veduto mai: di un azzurro luminoso, dolci e pietosi come quelli di Gesù.

La donna, invece, dopo il primo impeto di curiosità più che d’altro, pareva anche lei un poco ostile: e anche i suoi occhi erano azzurri, ma freddi e tristi come il cielo di quella notte lassù.

— Domani mi pagherai tutto — disse la guida con gesti minacciosi, mentre lo straniero gli si metteva davanti in modo che il ragazzo raggiunse il suo intento, ch’era quello di accucciarsi nell’angolo del camino: una volta lì non si mosse più; rosicchiava il pane, e adesso i suoi occhi fissavano il fuoco, e pareva che di null’altro al mondo gl’importasse.

*

Tutta la notte il vento soffiò con ira implacabile, sbattendosi come uno spirito maligno contro le pietre del rifugio: pareva volesse a tutti i costi scovare gli uomini lì nascosti e buttarli giù nei burroni della montagna.

Mentre la guida russava come fosse a casa sua, lo straniero non poteva chiuder occhio; di tanto in tanto sollevava la [p. 78 modifica]testa e guardava se il ragazzo era lì: era lì, raggomitolato nel cerchio della sua ombra, e dormiva profondamente. E lo straniero lo invidiava. Poi il fuoco si spense, e il sonno, unico bene della terra che non inganna, scese anche sul rifugio tormentato.

Allo svegliarsi, fu uno stupore profondo, quasi l’illusione di un sogno. Il vento era completamente cessato: il sole illuminava le pareti del rifugio con un chiarore iridescente, e il cielo era vicino, lì sulla porta, d’un azzurro vivo, netto, che pareva non avesse mai conosciuto la macchia delle nuvole.

Affacciandosi alla porta si vedevano le valli e le falde della montagna allagate di nebbia chiara e ondulante, talchè pareva di essere in un’isola deserta; e il silenzio infinito, e la purezza dell’aria davano un senso di leggerezza, di libertà.

Gli stranieri si mostrarono talmente presi dalla bellezza del luogo, che espressero il desiderio di restarci qualche giorno. Mancavano però i viveri: allora fu proposto alla guida di ritornare al paesetto e risalire con altre provviste: sarebbero ridiscesi poi tutti assieme; per persuaderlo gli fu offerta l’anticipazione del compenso e di quanto altro occorreva; e sebbene protestando egli finì con l’accettare. [p. 79 modifica]

*

Il ragazzo, intanto, era scivolato fuori del rifugio, e aspettava, addossato al muro, senza mai perdere d’occhio lo straniero. E lo straniero a sua volta badava a che la guida non mantenesse le minacce della sera prima: però cominciava a infastidirsi anche lui: trasse un pugno di monetine dalla tasca dei pantaloni e accennò al ragazzo di avvicinarsi, anzi gli andò incontro e gliele diede ma indicandogli bonariamente di andarsene.

E quello obbedì subito, balzando di roccia in roccia coi suoi stracci all’aria come le piume selvagge di un nibbiotto.

*

Rimasti soli, i due sedettero sulla panchina di pietra accanto alla porta del rifugio, e l’uomo prese la mano della donna.

Ella trasalì, come quando aveva sentito bussare alla porta, e la sua vibrazione si comunicò all’uomo; tremarono entrambi, per un attimo, come gli anelli d’una stessa catena, poi l’uno cercò di nascondere il proprio turbamento all’altro, e la vibrazione cessò. [p. 80 modifica]

Non si guardavano; non pronunziarono una parola.

La nebbia si diradava ai loro piedi e il panorama si denudava, con le sue vaste ondulazioni grigie e verdi, fino al limite argenteo del mare; ma essi non guardavano più nulla: e anche il viso dell’uomo, privo del suo sorriso, aveva qualche cosa di freddo, di rigido, come quello di un morto.

D’un tratto egli si alzò e andò in fondo al breve spazio davanti al rifugio; guardò in su, cercando il passaggio che portava all’estremo vertice del monte, poi tornò verso la compagna.

Anche lei si alzò: prese la corda che aveva deposto sulla panchina, e seguì l’uomo che la precedeva a testa bassa.

Camminavano senza affrettarsi, badando bene dove posavano i piedi. La salita era ripida ma non difficile: lo schisto brillava e mandava odore di metallo.

D’un tratto, dove il sentiero spariva per lasciare ai viaggiatori il rischio di arrampicarsi su una specie di scaletta naturale, l’uomo si fermò per lasciar passare la donna avanti. Ella sollevò lievemente le spalle; non le importava del pericolo, tuttavia passò avanti e continuò la salita senza mai piegarsi nè avanti nè indietro. [p. 81 modifica]

*

Una piccola piattaforma circolare formava il vertice della cima; la pietra sembrava levigata dal vento e dava quasi un senso di paura a guardarla; bisognava guardare lontano, per non perdere l’equilibrio, l’attaccamento alla terra che sostiene in piedi.

Una parete a picco, spaventosamente profonda scivolava giù a nord, dentro un abisso dal quale saliva un alito gelido che sembrava il respiro stesso della morte; e fu appunto verso questo limite che i due s’avvicinarono.

La donna svolse lentamente la corda e se la passò intorno alla vita, poi mentre con una mano ne teneva ferma un’estremità porse l’altra all’uomo; egli fece un cenno vago, per significare forse che tutto era inutile, oramai, che erano bene uniti per l’eternità anche se i loro corpi andavano dispersi lontano l’uno dall’altro; tuttavia prese la corda e se la passò anche lui intorno alla vita.

La donna la riprese, ma mentre stava per annodarla trasalì una terza volta.

Due zampe come d’aquila, prima l’una [p. 82 modifica]poi l’altra, si ficcarono sull’orlo ad ovest della piattaforma; poi apparve il berretto, poi la testa del ragazzo: e d’un balzo egli fu accanto ai viaggiatori, sicuro e dritto come nella piazza del paesetto.

Non si preoccupò nel vederli legati: di solito i viaggiatori paurosi facevano altrettanto: solo si guardò attorno per assicurarsi che non c’era la guida.

Allora accennò all’uomo di seguirlo, e alla donna di star lì ad aspettare; e come nessuno dei due gli dava retta, trasse di tasca una pietra sfaccettata, brillante e pesante, e la porse all’uomo.

L’uomo la guardò e i suoi occhi parvero rifletterne le scintille.

— Questo è argento; dove l’hai preso?

Il ragazzo accennò ancora di seguirlo; e la donna disse:

— Va, ti aspetterò qui.


Quanto tempo aspettò non seppe mai. S’era accucciata per terra, come il ragazzo davanti al fuoco, e si sentiva circondata di tutto l’azzurro dei sogni della fanciullezza.

Finalmente l’uomo riapparve, si buttò accanto a lei un po’ anelante.

— Si tratta proprio di un giacimento argentifero, di metallo allo stato quasi puro, — disse. — Il ragazzo afferma che nessuno [p. 83 modifica]lo sa, che non c’è proprietario; che posso essere io il padrone. In tutti i modi, capisci sarebbe la salvezza dalla nostra rovina, dal disonore... dalla morte... — aggiunse senza voce.

— Tu lo meritavi — ella disse con semplicità.