I due

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Il tesoro La lettera
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I due.

Viaggiavano a piedi, su e giù per le valli rocciose della Gallura, due uomini senza bisaccia e senza mantello, che discorrevano sempre e col discutere pareva si dimenticassero della fatica del viaggio.

E il più vecchio finiva sempre col dare ragione al più giovane: anzi sembrava, com’è giusto, voler imparare da lui; e spesso gli domandava spiegazione di quello che non riusciva a capire.

Così avvenne che arrivarono a uno stazzo, abitazione campestre di un povero pastore di pecore. Lo stazzo era, più che povero, primitivo, composto di una casupola di pietra grezza, un recinto di siepe per il bestiame a una tettoia di frasche che serviva a più usi.

Nel momento in cui arrivavano i due sconosciuti, la giovine moglie del pastore lavava, sotto questa tettoia, i suoi due bambini gemelli, nudi, grassocci e allegri come [p. 162 modifica]due angioletti autentici. Il cane scherzava intorno a loro, e un agnellino di pochi giorni che ancora non si reggeva bene sulle gambe stava presso la donna come un suo terzo figliuolo e col suo belato pareva la chiamasse mamma.

Il quadro era così bello, con lo sfondo del prato fiorito di asfodeli e di nuvole rosa all’orizzonte, che il più vecchio dei due uomini si mise a piangere: tanto più che tutte quelle buone creature, compreso il pastore che venne fuori dallo stabbio, accolsero con gioia, come fossero vecchi amici, i sopraggiunti.

— Dateci da bere — disse il più giovane.

E il pastore diede loro del latte appena munto, e li invitò a riposarsi: poi, sentito che andavano lontano e sprovvisti di tutto, li invitò anche a desinare e a passar la notte nello stazzo, se volevano: non solo, ma ammazzò una pecora, per far loro onore, e le carni che avanzarono dal banchetto le diede a loro, per il resto del viaggio, avvolte nella pelle della bestia uccisa.

Infine, sentito che andavano verso i monti raccomandò loro di recarsi presso un suo parente ricco, il quale possedeva molti terreni, molto bestiame, molti servi, e uno stazzo grande come nessun altro nei dintorni. [p. 163 modifica]

— Egli vi offrirà ospitalità più gradevole della mia — disse; ma la moglie che era una donna fina, aggiunse:

— Se sarà di buon umore!

Verso il tramonto i due partirono, lasciando con rimpianto quel luogo di pace. Da lontano il più vecchio si volse e vide il pastore che giocava coi suoi bambini e col cane e con l’agnellino, felice tutti come gli uccelli che svolazzavano fra le macchie. E il sole che cadeva sul mare pareva allungasse i suoi raggi fino a loro per prendere parte alla loro felicità.

— Signore, — mormorò, — io ti ringrazio poichè mi hai fatto vedere che la gioia esiste ancora sulla terra.

Cammina cammina essi arrivarono prima che fosse notte alta allo stazzo del ricco proprietario. Più che stazzo poteva dirsi quasi un piccolo castello, con le sue facciate di granito, le sue inferriate, i muri alti dei suoi cortili e dei suoi stabbi. La luna lo illuminava, e al suo chiarore la chiostra dei monti sovrastanti pareva tutta una fortificazione ciclopica, una cinta di torri e di spalti messi lì a difesa della casa del ricco.

I cani abbaiavano; e attraverso il loro urlo assordante si sentiva una voce d’uomo che gridava improperi contro qualcuno. Poi [p. 164 modifica]si sentì un grido di donna e pianti di bambini. Qualcuno buttò da una finestra una stoviglia che si fracassò contro una pietra: e il rumore fu così stridente, e vibrò così a lungo, così in lontananza, che parve tutto il passaggio s’incrinasse.

Il vecchio fu del parere di andar oltre e passare la notte all’aperto piuttosto che chiedere ospitalità in una casa tanto agitata.

Ma il più giovane battè alla porta.

Tosto il chiasso dentro si calmò: una serva aprì, diede uno sguardo ai due e nel vederli così malvestiti s’irrigidì.

— Se il padrone non vi conosce non potrà darvi ospitalità — disse. — Sarebbe bella che in una casa come questa si accogliessero tutti i vagabondi che passano. Ad ogni modo vado a vedere.

Chiuse loro la porta in faccia e andò a vedere. Ma non tornava mai. Dentro ricominciarono le voci, i pianti, gli strilli. Il più giovane dei due uomini tornò a picchiare.

— Picchiate e vi sarà aperto — diceva.

Questa volta venne un servo: aveva un aspetto più benevolo di quello della serva, ma anche un po’ sarcastico.

— Proprio stanotte! — esclamò. — Stanotte che ci sono tutti i diavoli in casa. Il [p. 165 modifica]padrone ha bastonato la padrona, e la padrona se la prende coi bambini e coi servi. Sempre così, del resto, sempre questioni d’interessi, sempre inquietudini e malumori.

— Va a vedere se il tuo padrone ci dà ospitalità — disse il più giovane.

Il servo andò a vedere; e non tornava mai.

Il più giovane picchiò una terza volta.

E questa volta venne il padrone in persona, rosso in viso per la collera, con un bastone in mano e un cane appresso.

— Se non smettete di picchiare — disse — voi assaggerete il sapore del legno, e questo cane saprà il sapore dei vostri polpacci sporchi.

E chiuse bestemmiando.

Il più vecchio s’era prudentemente tirato da parte e faceva il segno della croce: il più giovane non disse parola, ma nel passare davanti a uno stabbio vuoto vi buttò dentro le ossa della pecora che il pastore povero aveva ammazzato per festeggiare i due ospiti.

E d’improvviso da quelle ossa seminate sul terreno nudo sorse un gran numero di pecore grasse e pregne; tante che lo stabbio ne fu colmo. I due andarono oltre.

— Perchè hai fatto questo? — domandò il più vecchio. — Tu non hai dato niente [p. 166 modifica]al povero che ci ha ospitato e accresci la ricchezza di questo maledetto?

— La ricchezza è la sua maledizione e la sua maledizione crescerà con la sua ricchezza. Beati i poveri di spirito, poichè in essi è il regno dei cieli anche sulla terra — disse Gesù. Poichè il più giovane era Lui e il più vecchio era il suo servo Pietro; e tutti e due se ne andavano in giro per il mondo in cerca di uomini di buona volontà.