Il filosofo inglese/Lettera di dedica

Lettera di dedica

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Il filosofo inglese L'autore a chi legge
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ALL’ILLUSTRISSIMO

SIGNOR

GIUSEPPE SMITH

Console per la Nazione Britannica

in Venezia.


L’
ARGOMENTO più ardito che io abbia scelto da trattare in una commedia, egli è certamente, Signore, il Filosofo Inglese. Un Filosofo e assai rispettabile; molto più, tratto dal seno di una Nazione che pensa e che ragiona forse più delle altre. Lasciamo a parte i gran Maestri ch’ella ha prodotto, ma le persone tutte che hanno qualche coltura, riconoscono il merito della loro buona condotta dai semi interni della Filosofia; ed io che ho avuto la buona sorte di trattarne parecchi in varie parti d’Italia, li ho conosciuti quasi tutti filosofi, del carattere appunto di questo mio, che vale a dire di una filosofia civile, discreta e sociabile. Non vi è paese del quale io ricerchi con maggiore avidità i Viaggiatori oltre quello dell’Inghilterra; leggo le opere Inglesi tradotte con un piacere infinito, e vi trovo una tale robustezza di pensieri e di sentimenti, che sempre più mi sorprende, e mi fa piangere gli anni miei perduti senza aver appreso il linguaggio degli uomini Dotti, e senza aver veduto il Paese delle Arti, delle Scienze e della buona Filosofia. Con tutte queste mie giustissime prevenzioni, ho avuto dunque l’ardire di scegliere per soggetto di una Commedia il Filosofo Inglese, e non mi pento e non mi vergogno d’averlo fatto. Io non sono dell’oppinione di certi tali scrittori dell’arte comica, de’ quali, nel corso di tre o quattr’anni, non picciol numero ne abbiam veduto sortire: io non credo, voleva dire, come alcuni di essi credono, che il Protagonista di una Commedia debba sempre essere o vizioso, o difettoso, o fanatico, per trarne da lui principalmente il ridicolo, il disinganno, o la correzione, che sono i [p. 306 modifica]fini principali della Commedia. Mi sono assai volte provato a fondar la Commedia sul carattere nobile e virtuoso, e sulla passione, e ne ho veduto i migliori effetti, anzi queste sono sempre state le Commedie mie più felici. Alla virtù ho sempre posto in confronto il vizio, colla sua pena o col suo disinganno, e in questa guisa non ho abbandonato lo scopo finale della Commedia, e ho consolato gli animi de’ spettatori, innamorati del carattere principale. Il mio Filosofo Inglese è un uom saggio, discreto, civile, non posto in scena per deridere il sacro nome della Filosofia, ma per esaltarla, per innamorare di essa gli animi degli uditori, e per onorare precisamente una nazione ch’io stimo. A fronte dell’uomo onesto, dell’uomo saggio, del filosofo buono, non ho mancato di mettervi degl’impostori, degl’ignoranti, onde maggiormente risulti il di lui merito e la di lui onestà. So esservi in Inghilterra un certo numero di persone, conosciute sotto il nome di Quacheri, i quali in mezzo ad un certo modo di vivere estraordinario, conservano però le più rigorose leggi dell’onestà, immancabili alla fede de’ loro contratti, nemici dell’adulazione e del fasto. I due impostori da me introdotti nella Commedia, nemici del mio Filosofo, sono due ignoranti, fanatici, che per comparire distinti si gettano dalla parte più stravagante dei Quacheri, senza conoscere nè i loro principi, nè le loro leggi, nè i loro onesti costumi. Il Garzone del Caffettiere ne fa il ritratto, e ciò può bastare per giusiificarmi presso di chi si sia, ch’io non ho avuto in animo di far credere diversamente, sapendo benissimo che ogni corpo deve essere rispettato.

Finora, Signore, ho cercato giustificarmi nella scelta del titolo della Commedia, confessandolo ardito; ma quanto maggiore sarà l’ardir mio reputato, ora che pubblicandosi la Commedia mia colle stampe1, a Voi la raccomando? Due ragioni addur posso per mia discolpa; una che riguarda la mia persona, l’altra che riguarda la vostra. In quanto a me, sono da molti anni in possesso di presentare le Opere mie ai più riguardevoli personaggi per nascita [p. 307 modifica]o per dottrina, e male profitterei della mia fortuna, se fra la serie de’ miei Mecenati non collocassi il nome vostro, e farei un’ingiuria alla mia edizione, se non le procurassi un sì prezioso ornamento. Riguardo a Voi, Signore, la ragione che mi anima a farlo si è la cortesia e la benignità dell’animo con cui avete sempre pazientemente sofferto e validamente difeso le opere mie Teatrali, da che ne deriva un qualche impegno di doverle difendere ancora stampate. So che ogni altra Commedia avrei dovuto presentarvi fuori di questa, che tratta per l’appunto della vostra illustre nazione; poichè niuno meglio di Voi potrà scoprirvi i difetti; ma Voi sapete altresì più di tutti, che in una Commedia qualche cosa è tollerabile per la Scena, nè vi piccherete contro di me, come fece un amico mio Italiano, il quale per essere stato qualche anno in Londra, trovò che dire contro la mia Commedia, e mi è diventato nemico. Voi, Signore, siccome non isdegnate passar la sera sovente al Teatro, resosi oggi divertimento non indegno de’ pari vostri, così mi lusingo che qualche fiata trovar possiate diletto a veder sotto gli occhi alcuna di quelle scene che vi averanno più divertito, quasi per respirare dalle seriose occupazioni vostre, e da quei studi ne’ quali non va disgiunta dal piacere l’applicazione. In fatti converrà meco ciascheduno, Signore, che voi sortiste la mente più felice di questo mondo. Chi entra nella vostra Casa, ritrova l’unione più perfetta di tutte le Scienze e di tutte le Arti, e Voi sedete in mezzo di esse non come un amante che le vagheggia soltanto, ma come un conoscitore impegnato per illustrarle. Ciò chiaramente dimostra la libreria sceltissima che Voi avete, ricca delle più accreditate edizioni antiche, non meno che delle più pregievoli e più eleganti moderne, in cui niente manca alla perfetta raccolta d’istoria, di belle lettere, di belle arti e delle più nobili scienze. La copia numerosa di tali libri formato ha un grosso Volume col solo indice, intitolato Bibliotheca Smithiana; onde la rarità di alcune vostre edizioni può molto contribuire alla Repubblica letteraria. La Pittura, l’Architettura, il disegno regnano a gara fra le Vostre pareti. Il vostro buon gusto, la vostra cognizione perfetta vi hanno ispirato a scegliere le cose migliori, e il [p. 308 modifica]coraggio dell’animo vostro generoso vi ha mosso la mano per acquistarle. Che non avete Voi di raro, di singolare, di sorprendente in ordine a camei, a pietre dure intagliate, avanzi miracolosi della rispettabile antichità? Io non istarò a descriverne la quantità ed il pregio, perchè non sono di tali studi bastantemente informato, ma so bene che cento e cento volte, in Venezia e altrove, ho sentito esaltare le Vostre raccolte per singolari e sublimi, e non vi è persona intendente che non desideri di vederle, e non parta maravigliata. Tutte queste magnifiche cose le avete poi collocate in una casa degna di tali ornamenti, in cui spicca egualmente il Vostro buon gusto per l’Architettura, e la proporzione delle idee della Vostra mente. Questa Fabrica fa l’ornamento del luogo ov’è situata, siccome l’altra da Voi eretta in campagna forma il piacere di chi la mira, e molto più di chi ha la fortuna di seco Voi abitarla. Tutto quello che finora di Voi ho detto, poco sarebbe, se la vostra persona amabile non superasse il merito delle preziose cose che possedete. Qui mi si aprirebbe un largo campo per ragionare delle Vostre virtù, ma so che se finora mi soffriste a stento, principierei a divenirvi stucchevole. Siete Inglese, siete Filosofo, amico del merito, ma non della lode. Voi credete che le Vostre virtù siano doveri dell’uomo, e che il lodarle soverchiamente sia un far torto alla umanità, alla ragione. La liberalità dell’animo Vostro non è che una grata corrispondenza al Cielo che vi ha colmato di beni; la dolcezza del Vostro tratto è una conseguenza delle idee della vostra mente, e della perfetta organizzazione del vostro corpo. La vostra cortesia, la vostra benignità... lasciatemi lodare queste due belle parti del vostro animo, poichè sono quelle che mi hanno incoraggiato ad offerirvi questo misero parto del mio talento, sono ammirabili, sono grandi, non ho stile bastante per commendarle, meglio sarà che io le veneri col silenzio, e dia fine a questo troppo tedioso foglio inchinandomi umilmente.

Di V. S. Illustriss.

Umiliss. Dev. Obblig. Servidore
Carlo Goldoni.


  1. Questa lettera di dedica fu stampata in testa alla commedia nel t. I del Nuovo Teatro Comico dell’Avv. C. G., ed. Pitteri di Venezia, l’anno 1757.